Perché i family office sono gli investitori ideali del private capital

Una delle ultime notizie che racconta il sodalizio, sempre più significativo, tra il mondo dei family office e il private capital riguarda Larry, il single family office presieduto da Enrico Falck della nota famiglia delle Acciaierie Falck, che siglato un accordo con l’asset manager Quaestio Capital Sgr per sviluppare un fondo di debito privato in delega. Prima di allora ci sono stati tanti altri esempi di investimenti più o meno diretti di questi soggetti che gestiscono le grandi somme guadagnate dalle famiglie imprenditoriali italiane, si pensi ad esempio all’attivismo di H14, il veicolo di Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi, o la Athena FH, holding di investimento della famiglia Nalini, che ha investito tramite club deal nel capitale della società di healthcare Recovery for Life.

Stando all’ultima ricerca di PwC sul settore, il 28% del portafoglio dei family office intervistati è investito in asset alternativi. Il 30% dell’allocazione totale viene destinato nel medio termine a progetti di expansion & growth mentre il 29% a operazioni di leveraged buyout e late stage. E questo matrimonio è destinato a durare: il 68% degli intervistati della survey di PwC sostiene infatti di voler mantenere invariata la quota dell’investimento, nel caso di private equity e venture capital, e solo il 3% di diminuirla.

Questo interesse non può che essere positivo per il comparto e le ragioni sono molteplici. Intanto perché sono sempre di più le famiglie imprenditoriali che vendono la loro azienda, per la metà delle volte a un private equity, e che quindi si trovano a dover gestire il famoso liquidity event, cioè una discreta quantità di denari che deve essere messa da qualche parte. E dove se non in altre imprese?

Questo legame di sangue imprenditoriale è un altro elemento che rende i family office, e quindi le famiglie che vi stanno dietro, investitori naturali del private capital. Non solo, o non soltanto, per le risorse che si possono immettere nelle imprese che ne hanno bisogno ma anche per la competenza e i contatti. Un imprenditore vero non smette mai di fare impresa, d’altronde.

Poi c’è il tema del ricambio generazionale. Al 2022, dati del rapporto di PwC, il 50% della ricchezza è in mano alle seconde (32%) e alle terze (18%) generazioni, quindi persone anagraficamente più giovani che vedono i mercati privati in maniera differente. Non è un caso che tanti rampolli, oltre ai già citati Berlusconi possiamo fare l’esempio di Leonardo Maria Del Vecchio, figlio dell’omonimo fondatore di Luxottica, investono in venture capital se non anche direttamente in startup.

Altro vantaggio è una certa libertà regolamentare che questi soggetti hanno rispetto ad esempio ad altri investitori istituzionali, nonché tendenzialmente maggiori flessibilità e velocità decisionale.

Certo, c’è anche il rovescio della medaglia. Le opportunità sono talmente tante e il business dei family office si sta evolvendo talmente velocemente che non tutti sono ancora strutturati per poterle gestire. Una sfida, che richiede anche una certa celerità, ma che è fondamentale vincere se si vogliono cogliere tutte le occasioni offerte dal mercato e contestualmente supportare le imprese, quelle di oggi e quelle di domani.

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