L'iperattivismo di Meloni in Nord Africa, per dividere e non per unire - HuffPost Italia

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L'iperattivismo di Meloni in Nord Africa, per dividere e non per unire

La premier Giorgia Meloni lo scorso 7 maggio a sorpresa ha compiuto un viaggio lampo di poche ore in Libia. Nelle settimane precedenti Meloni si era recata per la quarta volta in Tunisia, insieme ai suoi ministri, Anna Maria Bernini e Matteo Piantedosi. Nel luglio 2023 il Memorandum tra Ue e Tunisia aveva previsto un miliardo di euro di aiuti al paese per tenere a bada gli sbarchi di migranti, nonostante la deriva autoritaria in corso nel paese come ha confermato l'arresto dell'avvocata che difende i diritti umani, Sonia Dahmani. Mentre lo scorso marzo Meloni aveva raggiunto l'Egitto, altro paese impegnato in una repressione del dissenso senza precedenti, insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Con al-Sisi, Italia e Ue hanno firmato accordi bilaterali in tema di migrazioni ed energia per un valore pari a 7,4 miliardi di euro.

Gli autocrati non fanno bene alle migrazioni

L'iperattività nel Nord Africa della premier Meloni è direttamente collegata al tema centrale per la sua agenda politica: le migrazioni. E per questo, con la ripresa degli sbarchi, principalmente dalla Libia (9085 dal 29 aprile al 5 maggio) più che dalla Tunisia (8044 sempre dal 29 aprile al 5 maggio), l'attenzione di Meloni si è diretta di nuovo verso il paese, piombato nel caos dopo la fine violenta dell'ex raìs Muammar Gheddafi nel 2011, in seguito ai disastrosi attacchi della Nato. 

Tuttavia, nonostante le nuove regole approvate in sede Ue in materia di migrazione che prevedono nuovi meccanismi di solidarietà tra stati, resta solida l'impostazione di Bruxelles, avviata con i 6 miliardi di euro accordati al presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, per bloccare i migranti siriani in Turchia. E così autocrati, potenziali dittatori, milizie e guardiacostiera ricattano l'Ue come gli unici capaci a tenere a freno i flussi. Mentre i migranti si organizzano per raggiungere l'Europa diversamente, sbarcando in Spagna, dove sono aumentati gli arrivi (20428 da inizio 2024) o dirigendosi verso la rotta balcanica e nuove rotte (Finlandia, Bielorussia, ecc.).

Il piano Mattei

In parallelo, queste missioni di Meloni hanno sempre avuto lo scopo di promuovere il piano Mattei in tema di istruzione, sanità, agricoltura, energia e infrastrutture che dovrebbero coinvolgere i paesi africani a partire da Tunisia, Algeria, Egitto e Libia. E qui iniziano i primi problemi. Il piano Mattei è stato tacciato di riproporre logiche coloniali da parte di molti paesi africani già il giorno del suo lancio a Roma nel gennaio 2024, quando molti capi di stato e di governo del continente hanno disertato la cerimonia. 

Non solo. Soprattutto l'Algeria, molto attenta al tema dei rapporti post-coloniali con i paesi europei è sembrata, negli ulitmi mesi, meno interessata degli anni scorsi alle promesse di investimenti italiane, vissute come una riproduzione di logiche coloniali. Questo ha diradato le visite di Meloni verso il paese nordafricano che è stato usato, soprattutto dal governo di Mario Draghi, in funzione di sostituzione energetica del gas russo, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina nel 2022. 

Meloni contro le divisioni dei libici

Particolarmente significative sono state due prese di posizione da parte di Meloni nel suo viaggio in Libia. Una ha riguardato la ricetta di superare le divisioni tra i libici, ridimensionando la presenza straniera nel paese. In altre parole, il problema centrale del caos libico sono gli interessi per procura difesi dall'esterno da Russia, Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto. Questo impedisce al paese di uscire fuori dallo stallo politico in cui si trova.  Una lettura di questo genere potrebbe far pensare in un rinnovato ruolo italiano in Libia. L'Italia, con gli attacchi di Francia e Gran Bretagna del 2011, ha lasciato gli interessi libici principalmente in mano a questi due paesi. E l'incontro di Meloni con il generale Khalifa Haftar che fa il bello e cattivo tempo in Cirenaica potrebbe essere letto in questa chiave. Non c'è solo la Francia quindi a sostenere l'uomo che più volte ha tentato di arrivare al potere a Tripoli ma anche l'Italia. In realtà Haftar, e i suoi figli, hanno dimostrato di avere poca presa anche sulle istituzioni di Tobruk e di non avere la capacità militare di arrivare fino a Tripoli. Quindi questa visita di Meloni anziché far superare le divisioni tra i libici, le accentua, le esagera. Come ha fatto la Francia accreditando il ruolo politico di Haftar con visite a Parigi e incontri bilaterali con il presidente francese, Emmanuel Macron, così Meloni sta sostenendo la figura politica che più ha contribuito a spaccare la Libia in due tra Tripolitania e Cirenaica.

Uno sguardo alle divisione libiche  

Le divisioni interne in Libia riguardano prima di tutto la spaccatura tra il premier di Tripoli, riconosciuto dalla comunità internazionale e successore di Fayez al-Serraj, nominato dopo gli accordi di Skhirat (2015), Abdel Hamid Dbeibah, e il governo della Cirenaica, guidato da Osama Hammad. Nel 2019, Turchia e Russia si sono spartite la Libia in zone di influenza. Se, da una parte, il Cairo ha sempre appoggiato Haftar e le istituzioni di Tobruk, insieme ad Arabia Saudita, Emirati, Russia, i contractors della Wagner, le milizie 106, 201 e 604, e al premier Hammad che ha faticato molto aa arrivare al potere, dall’altra, la Turchia insieme al Qatar, ai mercenari siriani e turcomanni, si sono schierati con le autorità di Tripoli, le milizie di Misurata, al fianco del governo di unità nazionale del premier Dbeibah. 

Non solo, la guerra per procura in Libia si è continuata a combattere con l’uso dei droni cinesi Wing Loong, controllati dagli Emirati, contro gli aerei turchi senza pilota Bayraktar, che hanno dominato per mesi la Tripolitania. A determinare una possibile evoluzione nei rapporti tra Tripoli e Tobruk è arrivato poi il riavvicinamento tra autorità turche ed egiziane concretizzatosi con la visita di Erdogan al Cairo lo scorso febbraio. Egitto e Turchia condividono infatti una posizione comune in merito al conflitto in corso a Gaza, la cooperazione tra i due paesi si estenderà dall’ambito del gas ed energetico con la fornitura di droni turchi Bayraktar TB2 anche all’Egitto che potrebbe usarli proprio in Libia.

Meloni a favore del dialogo nazionale

L'altro punto sostenuto da Giorgia Meloni nel suo breve viaggio in Libia è stato di favorire il dialogo nazionale tra istituzioni libiche. Questa presa di posizione tardiva è arrivata dopo le dimissioni, lo scorso aprile, dell'ottavo inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, il senegalese Abdoulaye Bathily, dopo 18 mesi di sforzi inutili per stabilire una data per tenere le prime elezioni politiche dal 2014. Bathily ha fatto riferimento a una “mancanza di volontà politica e di buona fede” per superare il deterioramento della già caotica situazione in cui versa il paese dopo il 2011. “Le decisioni autoreferenziali dei leader libici di mantenere lo status quo attraverso tattiche e manovre che mirano a rimandare le scelte politiche vengono fatte a spese del popolo libico”, ha proseguito Bathily.  Prima di rassegnare le sue dimissioni, il diplomatico aveva assicurato che tutti i tentativi di far sedere intorno a un tavolo tutte le istituzioni libiche si sono scontrati con “una testarda resistenza, richieste non realistiche e indifferenza verso gli interessi dei libici”. 

La breve visita di Meloni in Libia nasconde la difesa di interessi post-coloniali, insiti nel piano Mattei. Rincorre le posizioni francesi verso il paese nordafricano che fin qui hanno solo contribuito a spaccare il paese e non a unirlo. Ne sono un esempio le divisioni emerse durante l'alluvione di Derna, costata la vita a venti mila persone, lo scorso autunno. I danni potevano essere contenuti se ci fosse stato un coordinamento tra le autorità libiche. Così come ora tutto sarebbe più facile per ricostruire la città costiera se ci fosse cooperazione politica tra Tripolitania e Cirenaica.

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