L'impossibile che a Bergamo non esiste (e l'Atalanta sogna l'Oscar)
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L’impossibile che a Bergamo non esiste: Atalanta doppiamente in FINALE (sognando l’Oscar tra Roma e Dublino)

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L’Atalanta raggiunge per la prima volta nella sua storia due finali (Coppa Italia ed Europa League): una serata che rimarrà negli annali

Doppia finale. Davanti a imprese straordinarie come questa le metafore si sprecano tra statistiche e racconti vari dove una vita non basterebbe per raccontarle tutte. L’Atalanta in Europa e principalmente nelle coppe può essere facilmente paragonata ai film di Rocky: non solo per la trama, ma anche per quella che è stata la costruzione cinematografica dell’intera pellicola.

Basso profilo, duro lavoro, budget limitato rispetto ad altre realtà (nel calcio Inter, Milan e Juve), ricerca accurata del talento, passione e nel successo avere la capacità di confermarsi. La Dea è tutto questo dove c’è stata la trasformazione da provinciale (comunque di grande lusso) all’exploit del 2017, poi il consolidamento tra attori, comparse, registi e infine quel picco che, come Rocky insegna, può essere in crescendo.

La saga di Sylvester Stallone poteva fermarsi al primo, così come al secondo, al terzo, al quarto, rinunciare dopo il flop del quinto e infine raggiungere l’apoteosi con l’ultimo. Stessa cosa l’Atalanta In Europa League: prima l’impresa erano gli Ottavi, poi il Liverpool e poco dopo una Finale che si aggiunge all’altra di Coppa Italia.

Quella storia di Malines tramandata ai figli che, riprendendo la coreografia in Pisani, sono pronti a raccontare Dublino. Una storia che vede un’Atalanta forse meno bella di quella degli Ilicic-Gomez-Zapata, ma più concreta, completa e soprattutto matura nonostante qualche altalena nei risultati, capace di normalizzare partite difficilissime. La nuova storia capace di evolversi senza tralasciare le tradizioni dove può capitare che un figlio di Zingonia ti porti in alto; nel mezzo una fetta di “vecchia guardia” consolidata anche oltre il rettangolo verde che sa cosa voglia dire indossare quella casacca.

Storia anche di una società passionale e professionale come la famiglia Percassi rispondendo con i fatti a chi sostiene che per realtà come queste non esiste né blasone né storia. Poi lo scrittore, colui che ha la penna in mano per scrivere quelle pagine: un Gasperini mai sazio di raggiungere vette alte raccogliendo elogi anche dagli avversari.

La storia di una città che, seppur diventata grande, non ha mai perso i suoi valori trovando entusiasmo nelle piccole cose all’insegna di un sostegno compatto e coinvolgente. Unita nei momenti difficili e capace di lasciarsi andare in Piazza Papa Giovanni tra vessilli, canti vari e un solo grido “Ce ne andiamo a Dublino olé”.

Una serie dove all’Atalanta manca solo il capitolo finale tra campionato, Europa League e Coppa Italia: comunque andrà sarà un successo, una storia da raccontare tra qualche anno, insegnando che, come è stato per Rocky, l’impossibile non esiste e chissà se a maggio si conquisterà l’Oscar.