La futuribile trasformazione amorosa del volatile più pesante al mondo – Il blog di Jacopo Ranieri

La futuribile trasformazione amorosa del volatile più pesante al mondo

Dov’è la testa? Dov’è la coda? Mentre agilmente si aggira sobbalzando, il petto ribaltato a dimostrare la vaporosa approssimazione di una nube marrone, l’essere agita le molte punte tigrate che caratterizzano la propria forma irreale. Due generate dagli ornamenti araldici attorno al suo collo. Altrettanti a quelle che parrebbero proprio essere, contrariamente all’intuito, un paio di ali in posizione ricurva. Ed una curva verso il suolo che ad uno sguardo più accurato rappresenterebbe niente meno che il timone dei suoi metodi ed approcci al decollo. In chiara contrapposizione ad una biglia sfavillante tra il piumaggio. È forse un occhio, quello? Che scruta con intento stolido la forma indistinta di Qualcuna tra l’erba? Oh, silenzio benedetto, che anticipa e favorisce la meditazione sulla Natura…
Negli uccelli dal nome breve non è insolito che le due o tre sillabe impiegate vogliano, in qualche maniera, approssimare il verso che questi producono per dare affermazione al proprio essere o l’imprescindibile ambizione d’accoppiamento. Detto ciò bastano pochi secondi, ascoltando il gutturale e ripetuto grugnito dell’otarda maggiore, quasi minaccioso nel suo tenore, per comprendere come questo non sia certo il elemento di fascino maggiore. Potendo di suo conto relegare una simile qualifica all’aspetto visuale (e rituale?) del suo speciale metodo di affascinare l’effettiva controparte con cui auspica costruire un nido e la famiglia. Un’approccio che potremmo accomunare a quello utilizzato assai probabilmente sul pianeta Cybertron, dalla stessa razza di robot senzienti cui appartengono Optimus Prime, Bumblebee e Starscream: Transformers di nome e di fatto, in una maniera che istintivamente non saremmo inclini ad associare ad esseri fatti di carne e sangue, sulla base dei processi evolutivi tipici del nostro recesso galattico privo di occasioni comparative. “Oh, Otis tarda che possiede il mistico segreto della metamorfosi!” avrebbe potuto scrivere Plinio il Vecchio menzionandola nella sua Storia Naturale (77 d.C.) se non fosse rimasto piuttosto colpito dal modo in cui gli abitanti della Spagna rifiutassero consumarne le carni, a causa dell’odore nauseabondo del suo midollo (!) E d’altra parte non è particolarmente probabile che ne avesse visto una con i propri occhi, considerata l’effettiva diffusione all’epoca di un simile pennuto principalmente nelle steppe asiatiche, le pianure cinesi e determinati recessi della penisola iberica. Questo perché l’impressionante creatura, proporzionatamente e concettualmente non dissimile da un tacchino del Nuovo Mondo, ha diversamente da quest’ultimo sempre vantato una spiccata preferenza per le pianure aperte ed assolate. Che nel mondo antico, prima delle trasformazioni agricole del paesaggio europeo, erano ancora subordinate a vaste distese ininterrotte d’ombrose foreste. E l’otarda non aveva, ancora, l’occasione di risplendere cangiante nell’inanimato participio della Creazione;

Massima e più imponente creatura dell’ordine degli otidiformi, un tempo associati tassonomicamente alle gru ma oggi considerati monotipici e loro meri “alleati” per alcuni tratti ereditati da un antenato vecchio di milioni di anni, la Otis tarda rappresenta una tipologia di volatili onnivora e nobile, dignitosa, lenta nei movimenti e nel raggiungere l’età appropriata per la riproduzione. Il che non significa che, in determinate circostanze, non possano sfoderare i metaforici artigli, al fine di difendere se stessi e il territorio. Guai in effetti agli altri gruppi di volatili o i rari e coraggiosi predatori tra i mammiferi che dovessero introdursi a disturbare i loro stormi di svariate decine di esemplari intenti a foraggiare tra l’erba per vermi, semi, frutti e germogli, generalmente composti soltanto da maschi o da femmine (fatta eccezione per quelli intenti ad eseguire i lek della stagione riproduttiva) andando incontro a tutta la furia ben coordinata di un essere dal peso unitario medio già superiore ai 15 Kg. E che in alcuni casi particolarmente eclatanti, tra tutti quello di un esemplare reperito nella Manciuria contemporanea, anche in grado si superare agevolmente i 20 pur continuando fino ai casi estremi ad essere non meno agile e scattante. Dote in grado di farne, incidentalmente, l’uccello volante dalla massa maggiore al mondo, con la possibile eccezione alternativamente ipotizzata dagli appassionati del cigno reale o del condor andino. Per non parlare dell’otarda kori dell’Africa Orientale, la cui vittoria lascerebbe se non altro il notevole primato in famiglia. Non che alcuno dei reciproci rappresentanti di un simile club di titani abbia mai manifestato l’intento di aggredirsi vicendevolmente, laddove la sopravvivenza delle giovani otarde appare principalmente minacciata, oltre che dall’uomo, proprio dagli appartenenti alla propria stessa specie. Questo per la spiccata propensione, già oggetto di approfondito studio ed approfondimento, dei maschi in età riproduttiva a sfidare i propri simili in combattimenti che si rivelano essere spesso all’ultimo sangue, tutto per accaparrarsi il privilegio di poter modificare il proprio ambizioso contegno. “Trasformandosi”, in più di un senso, nell’oggetto dell’amore incondizionato di una partner elettiva d’accoppiamento. La femmina dell’otarda maggiore di suo conto, che presenta uno spiccato dimorfismo in termini di dimensioni e dieta conseguente, risulta esteriormente simile al suo maschio nelle piume e la livrea sfumata che possiede il privilegio di riuscire a caratterizzarla. Mentre molto diverso risulta essere il comportamento successivamente alla deposizione nel nido tra l’erba o cespugli di una-tre uova lucide tra i mesi di maggio e giugno. Incubate soltanto da lei per un periodo di circa un mese, prima della schiusa e conseguente vita di assoluta dipendenza dei nuovi nati per almeno un paio d’anni. Che non raggiungeranno la capacità di accoppiarsi prima di ulteriori tre, raggiungendo l’età minima connessa a quel momento tra le più avanzate dell’intera classe dei volatili di questa Terra.

Una situazione che non contribuisce certo a renderli, come potrete facilmente immaginare, dei pennuti particolarmente prolifici o inclini ad ampliare i confini del proprio territorio, ormai da svariate generazioni soggetto a progressivo restringimento. Per una plurima quantità di ragioni: la caccia insostenibile condotta nei secoli pregressi (pare che non molti condividessero l’opinione riportata da Plinio) l’urto da parte di autoveicoli o contro i cavi della luce, disposti esattamente all’altezza percorribile delle loro brevi ma reiterate migrazioni stagionali. E alquanto paradossalmente, la riforestazione di determinate aeree con finalità di salvaguardia naturale, laddove questi uccelli si diffusero in Europa Occidentale proprio a partire dall’epoca del Medioevo ed in forza dell’ampliamento dei campi coltivabili da parte dei nostri insigni predecessori. Fino alla scomparsa, generalmente collocata attorno all’inizio del XIX secolo, di questa notevole specie dall’intera zona delle isole inglesi, dove da tempo opera un’associazione intenta a ricostruirne la preziosa eredità immanente mediante l’importazione di esemplari strategicamente fatti riprodurre e reintrodotti nelle pianure del Wiltshire. Sto parlando del Great Bustard Group sotto l’egida del naturalista David Waters, più volte dimostratasi capace di costituire il portavoce della specie in servizi televisivi ed importanti eventi di tutela internazionale. Poiché non sono molti altri gli uccelli, nell’attuale stato delle cose, ad essere capaci di esprimere lo stesso senso di fascino quasi preistorico nella propria discordanza dai fattori convenzionali di riferimento. Diventando, nel momento della propria sincera espressione passionale, qualcosa di approssimabile ad un vero e proprio alieno intento a camuffare la propria reale identità pennuta.

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