Un poeta da ricordare
Situazioni, momenti, figure

Un poeta da ricordare

È Giovanni Raboni, incontrato varie volte – Ci lasciò venti anni or sono
Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
10.05.2024 06:00

La poesia torna a interessare, anche se è meno seguita della prosa ma in molti casi popolare e diffusa. Ogni nazione ha poeti entrati nella cultura internazionale. Per la nostra Radio ne ho incontrati alcuni e ho capito che nell’essenzialità della poesia condensavano quanto può essere espresso in un romanzo.

Presto si terrà a Lugano un evento che reca nel nome la poesia e mi offre l’occasione per rievocare una figura che confermava come la poesia talvolta ha una gestazione laboriosa. È Giovanni Raboni, incontrato varie volte. Ci lasciò venti anni or sono. Nella nostra ultima trasmissione disse che «quella dello scrivere è una forma di spossessamento». Riporto alcuni passi della nostra ultima conversazione. Parlammo del ritorno della poesia e dell’inaspettata accoglienza da parte del vasto pubblico dei libri di poesia abbinati al Corriere della Sera.

Quando presentammo la sua ultima silloge, “Barlumi di storia”, raccolse un numero inaspettato di telefonate e lo vidi felice, quasi immutato da quel pomeriggio di oltre trenta anni or sono quando lo avevo accolto al microfono con Vittorio Sereni e Mario Luzi e disse che «la felicità non è solo degli altri, di un’altra vita». Aveva già da tempo i capelli bianchi ma la sua saggezza e la sagacia erano ancora verdissime. Non gli feci leggere le sue poesie; lessi io dei versi perché, gli dissi, che ormai erano patrimonio dei lettori. Era d’accordo perché «la poesia una volta nata non appartiene più al poeta, secondo la celebre domanda che si poneva Victor Hugo: fino a che punto la poesia appartiene al poeta e il canto appartiene alla voce?». Gli chiesi se nel ventaglio dei nuovi modi e segni della comunicazione la poesia avesse ancora un posto di valore e la sua risposta fu limpida: «La poesia per me è una delle forme di comunicazione più complete, forse la più completa che si possa immaginare, nel senso che comunica un pensiero razionale ma comunica anche emozioni profonde e altrimenti incomunicabili e inesprimibili, attingendole a quelle zone segrete del nostro essere che alcuni chiamano inconscio. Io credo che non ci sia altro linguaggio altrettanto compiuto e compiutamente umano, perché fa riferimento alla totalità del nostro essere».

Gli chiesi se la poesia, come la prosa, ha un valore sociale e un valore critico ma costruttivo e se può essere la voce della nostra autentica coscienza. Ha un fine precisato o colpisce dove la Fortuna la spinge? «Credo che abbia un valore sociale indipendentemente dai suoi contenuti». Gli dissi però che la crescente mancanza di valori sembrava averla fatta dimenticare. È un mezzo consolatorio tutto privato o ha un valore sociale autentico? «Dal momento che rivaluta e fa circolare i sentimenti e l’umanità, ha un valore collettivo. Se diffonde pensieri può avere certamente un valore civile. Non è obbligatorio quello che si chiamava una volta l’impegno, ma può servire. Credo che scrivere poesia sia una necessità che abbia qualcosa a che vedere con una mancanza: i poeti non sono del tutto felici, se sentono il bisogno di esprimersi non solo vivendo. In una società perfetta nessuno si sognerebbe di aggiungere qualcosa alla vita. Noi vogliamo invece aggiungere qualcosa alla vita perché evidentemente non ne siamo del tutto soddisfatti; e una delle cose che abbiamo bisogno di aggiungere è l’arte e in particolare la poesia». Spiegò come la poesia diventa universale: «Credo che la poesia diventi universale nel momento in cui è davvero poesia, quando nell’esprimere le emozioni riesce a toccare quel punto nevralgico del linguaggio che diventa patrimonio di tutti perché fa scattare i sentimenti in chi la riceve».

Si potrebbe pensare che l’utilitarismo abbia piantato il suo vessillo nella carne della poesia e che sulle pagine dei poeti stravincano piuttosto le veline dalla coscia lunga. La colpa è di altre forme di espressione che sorreggono la società del profitto? «La poesia sicuramente non è facile da strumentalizzare e da usare e questo la tiene lontana dal grande pubblico e dalle grandi tirature però il bisogno di poesia credo che ci sia. Questo si esprime anche nel linguaggio comune, di tutti i giorni, se ci si fa caso; si dice ad esempio: questo è il poeta della moda, quello è il poeta della cucina... Il poeta esprime comunque un valore alto. Importante è mettere in comunicazione questo fantasma coi fruitori e trasformarlo in realtà. È una necessità più che un dovere; per questo la poesia resiste». Lungo la strada guardava in alto, come a cercare ancora la luce, lui che ne aveva data ai lettori.