Il mondo questa settimana: Putin in Cina, Blinken a Kiev, i legami Turchia-Hamas, i russi avanzano in Ucraina - Limes
numero del mese

Fine della guerra

Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà
numero del mese

Fine della guerra

Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà
numero del mese

Fine della guerra

Conflitti infiniti perché senza scopo
sono la malattia dell'Occidente
Solo il ritorno alla politica ci salverà

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

IL MONDO OGGI

Riassunto geopolitico della giornata, con analisi e link per approfondire e ricostruire il contesto.

Il mondo questa settimana: Putin in Cina, Blinken a Kiev, i legami Turchia-Hamas, i russi avanzano in Ucraina

Il riassunto geopolitico degli ultimi 7 giorni.
di Orietta MoscatelliFederico PetroniDaniele SantoroMirko Mussetti
Pubblicato il Aggiornato alle
Carta di Laura Canali - 2023
Carta di Laura Canali - 2023 

RUSSIA - CINA

di Orietta Moscatelli

Per Vladimir Putin tra Russia e Cina ora c’è “un partenariato con prospettive illimitate”, formula aggiornata rispetto all’amicizia senza limiti dichiarata a febbraio 2022 e in pochi giorni sepolta dall’invasione russa dell’Ucraina. Oltre due anni dopo, il leader russo in visita a Pechino ha ottenuto la conferma del sostegno cinese, necessario per continuare la guerra e, in prospettiva, per cercare una soluzione. L’accoglienza con cerimoniale da grandi eventi su Piazza Tiananmen serve al capo del Cremlino a mostrare al mondo e in patria che la Russia è tutt’altro che isolata, anzi, conta dove bisogna contare in una fase di turbolenta riorganizzazione dell’ordine globale. Nella dichiarazione congiunta sull’approfondimento del partenariato strategico globale firmata da Putin e Xi Jinping spicca il proposito di approfondire le relazioni militari, passaggio che a Mosca traducono in risposta alle pressioni americane affinché la Cina limiti le vendite di componenti utili per produrre armi. Il documento promette anche una soluzione ai problemi di transazioni bancarie attribuibili ai timori cinesi di incappare in sanzioni Usa. I due punti sono cruciali per Mosca, come conferma la presenza nell’ampia delegazione russa del nuovo ministro della Difesa Belousov, dell’ex Shoigu spostato al Consiglio di Sicurezza e della governatrice della Banca centrale Nabiullina. Prima di ripartire, venerdì, Putin si è profuso in dichiarazioni sulla guerra in Ucraina, argomento al centro dei colloqui privati con Xi la sera precedente. Così le parole del leader russo hanno assunto il valore di affermazioni concordate, a partire dal chiarimento su Kharkiv: l’esercito russo non intende “ad oggi” prenderla, ma creare “una fascia di sicurezza”. La prossima conferenza sull’Ucraina a Ginevra? “Non accetteremo ultimatum”. Mentre per un negoziato, ha rilanciato Putin, i cosiddetti accordi di Istanbul – che nel 2022 prospettavano la neutralità dell’Ucraina in cambio di garanzie internazionali – sono una buona base da cui (ri)partire.


USA - UCRAINA

di Federico Petroni

La visita del segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken, a Kiev avviene in un momento delicato della guerra dal punto di vista americano. Washington ha approvato un nuovo pacchetto di aiuti, ma non ha elaborato una nuova teoria del successo, nemmeno fantasiosa. Nel 2023 questa teoria, benché fragile, esisteva: la controffensiva ucraina riconquisterà alcuni territori, magari senza arrivare alle porte della Crimea, ma abbastanza da mettere Kiev in una posizione di forza dalla quale aprire i negoziati. Era il contenuto di una promessa strappata in tarda primavera dal direttore della Cia William Burns. Ora non ci sono aspettative concrete, solo speranze. Anche i più ferventi sostenitori dell’Ucraina ammettono che l’amministrazione Biden non ha idea di come andrà avanti il conflitto. Restano solo, appunto, speranze: che il fronte non collassi (raggiungibile), che nel 2025 gli ucraini riescano a tornare all’attacco (con quali uomini?) e che nel frattempo la Russia superi il picco della produzione bellica. Vista la vastità del programma, non è escluso che siano allo studio soluzioni alternative. L’annuncio che i membri della Nato stanno valutando l’invio (ufficiale, quello ufficioso è già in essere da tempo) di personale militare potrebbe essere un messaggio alla Russia dell’intenzione di evitare a tutti i costi un crollo dell’Ucraina. Retorica pericolosa, perché avvicina la guerra. Ma se nel frattempo Putin dice a Xi Jinping di non avere intenzione di prendere la città di Kharkiv, ecco che rientra il meccanismo di contenimento del conflitto in essere sin dall’inizio di questo conflitto.

Dettaglio di una carta di Laura Canali. Per la versione integrale <a href=https://www.limesonline.com/carte/carta-inedita-della-settimana/le-priorita-dell-america-15621420/ class=articolo_limes>clicca qui</a>.
Dettaglio di una carta di Laura Canali. Per la versione integrale clicca qui


TURCHIA - HAMAS

di Daniele Santoro

Il documento pubblicato dal Times in base al quale Hamas avrebbe pianificato di insediare una base operativa in Turchia al fine di realizzare attacchi mirati contro obiettivi israeliani è un’ulteriore conferma della spinosa condizione a cui Israele ha costretto Ankara con l’offensiva di Gaza. Fino al 6 ottobre Erdoğan aveva scelto lo Stato ebraico, disarticolando la struttura di Hamas in Turchia e coltivando grandiosi progetti strategici con Gerusalemme. Dalla ridefinizione dei parametri della partita energetica del Mediterraneo orientale alla ristrutturazione geopolitica del Caucaso meridionale e del Vicino Oriente. Le recenti bordate sferrate dalla Turchia a Israele sono manifestazione di tale disagio, emerso nitidamente dalla narrazione con la quale Erdoğan ha giustificato la sospensione degli scambi commerciali con lo Stato ebraico: “Non potevamo stare a guardare”. Il presidente turco si trova nella scomoda posizione di dover rincorrere l’Iran sul piano regionale e di dover contestualmente arginare gli avversari interni. Gli islamisti che gli rinfacciano un’eccessiva condiscendenza nei confronti di Netanyahu – premiati dal 10% degli elettori del partito di governo – e l’ingombrante sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, che da un lato definisce pubblicamente Hamas come “organizzazione terroristica” e dall’altro riceve in pompa magna il suo omologo di Ramallah.

Più che l’annuncio di Erdoğan relativo al migliaio di combattenti di Hamas curati negli ospedali della Repubblica di Turchia – la cui dimensione minacciosa era rivolta soprattutto al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, che gli stava accanto – a rischiare di creare una frattura irricomponibile tra Turchia e Israele sono proprio le sanzioni commerciali comminate da Ankara a Gerusalemme. Anche nei momenti più bui le due potenze mediorientali erano riuscite a preservare la dimensione commerciale della propria relazione. Nel trimestre successivo all’incidente della Mavi Marmara del maggio 2010, ad esempio, l’interscambio bilaterale aumentò del 40%. Dopo il Covid Israele aveva puntato molto sulla Turchia, rivolgendosi al mercato anatolico per l’importazione di materie prime e componenti industriali al fine di accorciare le catene di approvvigionamento. Dinamica che nel 2023 ha reso Ankara il quarto partner commerciale dello Stato ebraico. L’Anatolia è (stata) inoltre imprescindibile fabbrica di prodotti kosher, con circa 300 aziende certificate dalle competenti autorità israeliane. Tanto che parte rilevante dei prodotti kosher esportati da Israele negli Stati Uniti è made in Türkiye. Alla luce della natura particolarmente strategica dei beni importati da Israele, a meno che in questa fase Erdoğan non aggiri le sanzioni da lui stesso comminate allo Stato ebraico il ritorno al business as usual dopo la fine (?) della guerra di Gaza è tutt’altro che scontato. Gli israeliani potrebbero non fidarsi più dei turchi. E se Ankara e Gerusalemme non riescono a preservare neppure la loro relazione commerciale, il futuro diventa plumbeo.

Soprattutto se si allarga il quadro. L’arroganza astrategica di Netanyahu sta infatti mettendo in grande difficoltà anche l’Egitto, che sta prendendo in considerazione l’ipotesi di degradare i rapporti diplomatici con Israele e di appoggiare l’accusa di genocidio contro lo Stato ebraico promossa dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia. Nell’apparente indifferenza di Gerusalemme, convinta che l’intesa formale con gli Emirati Arabi Uniti e quella informale con l’Arabia Saudita possano compensare le fratture nei rapporti con Ankara e Il Cairo. Errore strategico esiziale, potenzialmente persino più fatale del suicidio di Gaza.

Per approfondire: La Turchia spiazzata dall'Iran


GUERRA D'UCRAINA

di Mirko Mussetti

Le Forze armate della Federazione Russa hanno aperto un nuovo fronte nell'oblast' di Kharkiv, mettendo in difficoltà l'esercito ucraino. Le truppe moscovite stanno infatti avanzando dalla regione occidentale russa di Belgorod verso la seconda città più grande dell'Ucraina senza trovare una grossa resistenza. Nella speranza che le armi promesse dagli Stati Uniti possano confluire rapidamente nel paese aggredito dalla Russia, l'esercito di Kiev sta cercando in ogni modo di bloccare l'iniziativa dell'invasore nei pressi della cittadina di Vovchansk (17 mila abitanti) a circa 50 chilometri a nord-est del grande capoluogo ucraino. Nel tentativo di infondere speranza alle proprie truppe, il presidente Volodymyr Zelensky si è recato personalmente a Kharkiv. Difficile comunque pensare che le forze di invasione di Mosca possano in qualche modo accerchiare o assediare Kharkiv. Risulta molto più credibile l'intento di creare una fascia di contenimento lungo i propri confini volta a scongiurare nuove incursioni sul proprio territorio dei sedicenti "partigiani russi" al servizio di Kiev (Legione Libertà per la Russia, Corpo di volontari russi, Battaglione Siberia). 

Particolarmente interessante risulta essere l'esternazione dell'oligarca anti-Putin Mikhail Khodorkovsky: "L’Occidente sta perdendo la guerra: gli sforzi attuali sono insufficienti per impedire la caduta delle principali regioni ucraine nelle mani di Putin nei prossimi due anni". Dati alla mano, dopo aver invitato gli amici ucraini a "tapparsi le orecchie" per non ascoltare il funesto vaticinio, il grande oppositore [presto una sua intervista sulle pagine di Limes] dell'autarca pietroburghese ha descritto uno scenario infausto: "Al ritmo attuale, Kharkiv cadrà entro l’anno e Odessa l’anno prossimo. Entro il 2026, l’Ucraina sarà in grado di mantenere solo una resistenza partigiana su piccola scala. Questo nella migliore delle ipotesi". Naturalmente, il pensiero del politico russo-ebreo esiliato a Londra è volto a racimolare un sostegno più incisivo da parte delle cancellerie occidentali per scongiurare il tanto temuto collasso ucraino al fronte. Il leader della piattaforma politica Open Russia si candida ottimisticamente a sostituire al Cremlino l'attuale presidente russo Vladimir Putin – fresco di quinto mandato per sei anni – in un contesto di relativa benevolenza occidentale. Scenario attualmente improbabile.