Segre boccia il premierato di Meloni: “Aspetti allarmanti, non posso tacere. Drastico declassamento del capo dello Stato” - la Repubblica

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Segre boccia il premierato di Meloni: “Aspetti allarmanti, non posso tacere. Drastico declassamento del capo dello Stato”

La senatrice a vita in Aula al Senato difende il ruolo del presidente della Repubblica e aggiunge: “Cambiare la Costituzione non è la vera necessità nel nostro Paese”. Elena Cattaneo: “Indebolisce il Parlamento”

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ROMA — «Non posso e non voglio tacere». Ore 17.30, nell’emiciclo di Palazzo Madama chiede la parola Liliana Segre. E l’Aula si ferma. Pure i lavori delle commissioni vengono eccezionalmente sospesi, le bizze sul Superbonus restano accantonate per una mezz’ora. La senatrice a vita decide di dire la sua sul premierato. Per la prima volta, la destra non l’applaude. Gelo polare dagli scranni di FdI che si sentono dire: «Anche le tribù della preistoria avevano un capo. Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan: “Scegliete voi il capo del governo”».

IL DISCORSO INTEGRALE DI LILIANA SEGRE

Il discorso della decana del Senato, testimone degli orrori della Shoah, è uno schiaffo alla “madre di tutte le riforme” sognata dai Fratelli. I toni sono al solito cortesi («non dubito delle buone intenzioni dell’amica Elisabetta Casellati»), ma il messaggio è severissimo, a tratti ruvido. Dall’inizio. Segre comincia così: la riforma della Costituzione «non è una necessità del Paese» e quella sponsorizzata da Meloni contiene «aspetti allarmanti». Toccherebbe piuttosto attuarla e rispettarla, la Carta, visto «l’abuso della potestà legislativa da parte dei governi».

Per Segre non occorrono «prove di forza o sperimentazioni temerarie». E nel disegno del centrodestra intravede due rischi. Il primo: «L’abnorme lesione della rappresentatività del Parlamento», perché col premio di maggioranza, senza soglie minime, a vantaggio del premier, sarebbero «stravolte al di là di ogni ragionevolezza le scelte del corpo elettorale», col paradosso che perfino la legge Acerbo voluta da Mussolini nel ‘23 risulterebbe «incostituzionale perché troppo democratica». Secondo pericolo: le Camere sarebbero ridotte a un organismo «riottoso», generando dunque una stabilità meramente «fittizia» (come dire: la riforma non migliorerebbe le cose, anzi). Segre ammonisce quindi i colleghi che vorrebbero «perseverare nell’errore», dopo il Porcellum e l’Italicum. Soprattutto, appare preoccupata per «il drastico declassamento a danno del presidente della Repubblica», che si ritroverebbe a guardare «dal basso in alto» un premier forte dell’investitura popolare diretta. Anche il Quirinale poi rientrerebbe «in un colpo solo nel bottino del partito che vince le elezioni», perché anche se espressione «di una porzione assai ridotta dell’elettorato», col premio di maggioranza potrebbe accaparrarsi «il controllo degli alti organismi di garanzia». L’appello quindi è tenere in piedi «gli argini per evitare di ricadere nelle autocrazie». In Senato le fa sponda un’altra senatrice a vita, la scienziata Elena Cattaneo. Che invita i colleghi a guardare «l’elefante nella stanza», cioè il Parlamento, «grande malato delle istituzioni». Un «Parlamento al contrario, degradato a mero ratificatore» già oggi, a cui il premierato darebbe il colpo di grazia, perché renderebbe le Camere «ostaggio di una persona sola, una deriva plebiscitaria».

IL DISCORSO INTEGRALE DI ELENA CATTANEO

Mentre il Pd con Francesco Boccia ringrazia Segre, Meloni in Aula non c’è. Ma replica da Milano, ospite de La Verità. La leader di FdI da mesi è proiettata sul referendum, anche se il Parlamento deve ancora dare il primo (di quattro) via libera alla riforma. E pare sfumata la possibilità che il Senato approvi il testo entro le Europee: oggi si chiuderà la discussione generale, ma con 3mila emendamenti consegnati dall’opposizione, il voto finale slitterà a dopo le elezioni. A meno che il governo non decida di calare la famigerata “tagliola”. Meloni, in questa fase, sembra attenta soprattutto a non trasformare il referendum in un test sul suo governo. Tanti, dice, «sperano in un revival di Renzi. Ma non sarà un referendum su di me, perché la riforma entrerebbe in vigore la prossima legislatura. E da qui ad allora a Roma si dice “beato chi c’ha un occhio”». Messaggio chiaro, ripetuto in loop: anche in caso di bocciatura, non si dimetterà.

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