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Pd, la politica estera che divide

Roma, 9 maggio: la segretaria del Pd Elly Schlein
Roma, 9 maggio: la segretaria del Pd Elly Schlein (fotogramma)
Le incertezze su temi cruciali trasmettono un messaggio negativo ai nostri alleati, in particolare agli Stati Uniti. E se a destra la contraddizione si risolve in un più forte appoggio della Casa Bianca a Giorgia Meloni, a sinistra è tutto più complicato
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Sia sul referendum della Cgil anti Jobs Act sia sugli emendamenti al progetto di “premierato”, nel Pd esiste una fronda più o meno agguerrita. In questo momento si tratta soprattutto di rendere una testimonianza perché nessuno ha intenzione di fare la guerra alla segretaria Schlein a quattro settimane dalle elezioni. La contesa interna al partito continua, ma alquanto sotto traccia: ci sarà tempo dopo per decidere che fare. Dipenderà, è ovvio, anche dai dati elettorali.

C’è tuttavia un tema che sovrasta gli altri e non riguarda solo le polemiche nel centro-sinistra, con le varie manovre per contenere o non farsi scavalcare dal massimalismo di Conte e dei 5S.

È la politica estera, l’argomento meno idoneo ad alimentare il piccolo cabotaggio a fini interni. Specie in un momento drammatico di crisi internazionale.

Per quanto Elly Schlein sia abbastanza abile nel tenere a freno la sua tensione “pacifista”, grazie anche al discreto lavoro di persuasione del presidente Mattarella, il problema non si risolve una volta per tutte. L’alleato/rivale Conte esibisce con la solita determinazione una linea anti-Ucraina, e dunque filo-russa, che di fatto crea sintonia con la Lega salviniana a destra, ma pure con i partitini che sono sorti in funzione di disturbo all’estrema sinistra: non tanto il gruppo di Fratoianni e Bonelli che ormai ha una storia, quanto le nuove liste di Santoro e Marco Rizzo.

C’è da dubitare, s’intende, che lo slittamento di Conte verso un “pacifismo” di maniera lo stia aiutando nel suo sogno di tornare un giorno a Palazzo Chigi. Certo gli è utile se il piano consiste nel fare pressione sul Pd, nella speranza di una vittoria di Trump in novembre. Lo vedremo. Peraltro tutti capiscono che mettere mano con leggerezza ai capisaldi della politica estera comporta non pochi rischi.

In sostanza, le incertezze su temi cruciali in una situazione di guerra guerreggiata trasmettono un messaggio negativo ai nostri alleati e in particolare a Washington. E se a destra la contraddizione si risolve in un più forte appoggio della Casa Bianca a Giorgia Meloni, alleata finora fedele in grado di rendere irrilevante o quasi Salvini, a sinistra è tutto più complicato.

Per rendere credibile l’alternativa proposta, il Pd, i 5S e le altre sigle dovrebbero offrire un’immagine più coesa circa i valori condivisi dell’alleanza occidentale. Ma non è sempre così.

Il Pd, ossia il partito più grande e con una salda tradizione di politica estera, ha voluto inserire nelle sue liste un paio di nomi in contro tendenza. Nomi che voteranno contro le armi a Kiev e cercheranno consensi su posizioni neutraliste contrarie alla linea del partito, ammesso che esista una linea a cui devono attenersi i candidati.

Marco Bentivogli, su questo giornale, ha spiegato come la tradizione cattolica del Dopoguerra, da De Gasperi in poi, fosse salda nel difendere l’aggredito contro l’aggressore: il presupposto su cui è fondata l’Alleanza Atlantica. Dimenticarlo è pericoloso e certo non avvicina il centro-sinistra, per come è composto oggi, all’area di governo.

Ecco perché è interessante il convegno organizzato dalla solita minoranza “riformista” del Pd sulle scelte internazionali da compiere: in Europa ma anche nel quadro delle alleanze militari.

Guerini, Pinotti, Quartapelle, Madia, Sensi e altri rappresentano l’ala filo-atlantica del Pd, la più lontane dalle pulsioni ambigue e neutraliste. Il loro obiettivo è ricordare ai partner che esiste nel centro-sinistra un “nocciolo duro” fedele alle alleanze occidentali. Ma il solo fatto di dover impegnarsi per riaffermare la linea storica, che dovrebbe essere ovvia, dimostra quanto gli scenari siano mutati. E come il Pd subisca spesso la suggestione di Conte anche in politica estera.

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