"Devi essere forte", dicevano alle mamme in depressione post partum. "Devi stare calma", dicevano alle ragazzine che avevano voglia di giocare e divertirsi. "Devi comportarti come si deve", dicevano alle adolescenti con normali pulsioni sessuali. "Devi sparire e non so come farti sparire", pensavano i mariti che volevano sbarazzarsi di mogli che non volevano più, o i parenti che non volevano impoverire il patrimonio di famiglia distribuendo la dote tra i matrimoni di troppe figlie. In tutti questi casi, oltre al convento, il manicomio poteva essere la soluzione ideale. Il 13 maggio del 1978 entrava in vigore la legge 180 promossa dallo psichiatra e politico Bruno Orsini, ma che diventerà famosa come Legge Basaglia, dal nome dello psichiatra Franco Basaglia che l'ha ispirata (e che non è mai entrato in politica), perché in quegli anni stava rivoluzionando la psichiatria italiana attraverso un approccio umano nella cura della malattia mentale. A mano a mano che gli orrori del "prima" diventavano un'eco lontano, l'espressione "Legge Basaglia" è entrata in molte battute e modi di dire. Ma c'è poco da ridere, perché questo provvedimento mise fine al dramma di migliaia di donne e uomini con anche solo lievi patologie come una depressione temporanea, uno stato d'ansia, un qualsiasi esaurimento nervoso, che venivano richiusi a forza in spazi lontani dagli occhi e dai rimorsi della società dei "normali", dimenticati lì in attesa di morire spontaneamente, in solitudine, spesso maltrattati se non torturati sadicamente senza che venisse loro somministrata alcuna terapia, a volte nemmeno garantendo loro l'igiene personale essenziale. Ma la cosa più grave è che molte, moltissime delle persone "alienate" in quelle che erano a tutti gli effetti prigioni alternative, non erano nemmeno malate. Erano tanti i buoni motivi per spedire in manicomio qualcuno e toglierlo dalla circolazione, anche se non era affette da alcuna patologia psichiatrica. La maggior parte di queste erano donne, la metà del mondo che fino alle contestazioni degli anni 70 e alle leggi dal 1946 che equiparano i diritti di genere, non aveva molti strumenti per difendersi. Era considerata "pazza" una madre in crisi dopo il parto, se non riusciva a prendersi cura del bambino sopraffatta dal crollo ormonale. Considerata inutile alla sua unica missione, ovvero crescere figli, diventava inservibile e andava sostituita. Era "preoccupante" per i genitori una bambina non conforme perché iperattiva, dall'intelligenza vivace, che esprimeva ingenuamente il desiderio di fare da grande mestieri che erano "inadatti" alle donne (ricordiamoci che solo nel 1963, ad esempio, le donne hanno ottenuto il diritto a diventare magistrate, e alcune discipline sportive sono state vietate alle done fino a poco fa): che futuro poteva mai attendere una bambina che non aveva come unico sogno l'essere moglie e madre? Era affetta da "ninfomania" una ragazza che veniva sorpresa a masturbarsi, o a letto col fidanzatino che si era intrufolato nottetempo dalla finestra, o che manifestava attrazione verso altre ragazze. "Malattie" che spesso in manicomio venivano risolte con l'escissione del clitoride, pensando così di farne una futura moglie e madre senza grilli per la testa. Ma per finire in manicomio bastava anche solo essere stravaganti, o avere un comportamento inspiegabile. Tutto si riassumeva nell'odiosa diagnosi di "isteria", da istero, il latino per "utero", l'affezione che si riteneva covassero dentro le donne in quanto portatrici dell'organo che le rendeva "naturalmente instabili", che Sigmund Freud pensò di curare somministrando radiazioni all'apparato riproduttivo delle pazienti come fece con Alice di Battenberg, la madre del principe Filippo, imitato da molti dei suoi discepoli nel resto de'Europa. La poetessa Alda Merini, in manicomio, ci finì per quasi dieci anni, tra Milano e Taranto. La prima volta a soli sedici anni perché aveva un'indole malinconica e le era stato diagnosticato un disturbo bipolare. Lì dentro, da gente che non era in grado di percepire la genialità altrui, venne sottoposta a più di quaranta sedute di elettroshock per cercare di riavviarla come se fosse una macchina difettosa, un'esperienza che si portò dentro fino alla morte. E infine, c'erano le storie di tante donne come l'estetista e giornalista di Trento Ida Dalser, sposata in chiesa con Benito Mussolini da cui ebbe il figlio Albino. Dalser ebbe l'ardire di protestare pubblicamente ed energicamente più volte, recandosi anche a Roma, quando il futuro duce sposò con rito civile anche Rachele Guidi. Per questo le furono diagnosticati "isteria" e "nevrastenia" e finì i suoi giorni internata nell'istituto psichiatrico di San Clemente a Venezia, dove nel 1937 rimase vittima di una misteriosa quanto provvidenziale emorragia cerebrale. Stessa fine toccò al figlio Albino, che arruolato in Marina e imbarcato verso i mari della Cina, si vantava un po' troppo di essere il figlio del duce. Rimpatriato in Italia, fu internato a Mombello di Limbiate, nel più grande manicomio del milanese, dove nel 1942 morì di stenti. Soprusi a cui la Legge 180 Basaglia mise fine chiudendo i manicomi lager, luoghi così intrisi di dolore che in alcuni casi non sono stati nemmeno recuperati per altri usi (uno dei più famosi tra questi è il manicomio di Racconigi, fra Torino e Cuneo). La Legge Basaglia regolamentò il TSO, il trattamento sanitario obbligatorio e istituì i servizi di igiene mentale pubblici. E oggi, citandola, dovremmo riflettere su quanto siamo ingenui ogni volta che usiamo a sproposito la frase "i bei tempi di una volta", invece di ringraziare il destino che ci ha fatto nascere più tardi.