I Palestinesi uccisi in 215 giorni di conflitto sono quasi 35mila. In molti non sanno più dove fuggire. Gli americani sospendono l’invio delle bombe a Israele, dopo sette mesi di guerra e bombardamenti senza sosta dentro una crisi umanitaria sempre più grande. Joe Biden traccia una linea rossa in esclusiva alla Cnn: «Ho chiarito che se entrano a Rafah non fornirò le armi che sono state usate storicamente per affrontare Hamas». Gli Stati Uniti stanno cambiando opinione e atteggiamento verso Israele, il più stretto fra i suoi alleati? Le dichiarazioni così esplicite di Joe Biden – «stanno uccidendo i civili di Gaza, usando le nostre bombe» – sembrano confermarlo. La guerra di Gaza coincide politicamente con la campagna presidenziale americana. Il momento è abbastanza delicato. È per questo che il presidente americano sta volutamente camminando lungo una linea molto affilata fra la critica a Bibi Netanyahu e l’appoggio a Israele.

Ricordiamo come alla fine di aprile Joe Biden aveva fatto approvare l’invio di aiuti militari a Israele per oltre 25miliardi di dollari. Stop quindi a 1.800 bombe da 910 chili e 1.700 da 225 chili. Lloyd Austin, segretario alla Difesa, spiega che il blocco non è però definitivo, riconoscendo come la decisione di ritardare la consegna delle bombe pesanti fosse collegata alle minacce di Israele di invadere la città di Rafah.

Possibile svolta o frattura inevitabile? Intanto bisogna registrare una «prima volta», mai la Casa Bianca aveva sottoposto a condizioni – in maniera esplicita –l’invio di armi a Israele impegnato in una guerra contro Hamas, all’indomani dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso. Sulla bilancia, naturalmente, i 35mila morti tra i palestinesi che ci raccontano l’orrore della guerra e il dramma di popoli interi. Intanto i carri armati sono entrati dal valico di Kerem Shalon, riaperto agli aiuti, raggiungendo i cancelli del punto di frontiera con l’Egitto.

Oltre ci sono le case mal intonacate di Rafah, appunto, il milione e mezzo di sfollati dal nord della Striscia di Gaza ridotto ormai a polvere e macerie, le tendopoli degli accampati tra le case. Senza acqua potabile e servizi igienici, ma soprattutto senza il sogno di una speranza. Prima dell’ingresso di martedì mattina l’esercito ha ordinato a 100mila persone di evacuare la zona e spostarsi verso Khan Younis. Sì, ma per andare dove? «L’evacuazione non ha avuto la nostra approvazione» ha poi precisato il portavoce del Dipartimento di Stato americano. Rimane ancora la fragile intesa di USA, Egitto e Qatar di raggiungere una tregua. Arriverà? Dipende. La svolta di Biden è maturata alla luce della possibile invasione di Rafah, città dove vivono sfollati circa un milione e mezzo di palestinesi, e che potrebbe trasformarsi secondo l’Onu in un potenziale disastro umanitario. Il presidente ha esplicitamente sottolineato che gli Stati Uniti non stanno abbandonando la sicurezza di Israele e che continueranno a rifornire l’alleato di armi difensive, compreso il suo sistema di difesa aerea Iron Dome. Scelte che dividono. Finora Biden aveva fortemente sostenuto gli sforzi di Israele per attaccare Hamas anche a fronte di forti pressioni e lacerazioni dello stesso partito democratico, come sappiamo nelle ultime settimane la sua posizione ha generato proteste e sit-in nei campus universitari e alimentato le contestazioni di manifestanti che lo etichettavano come «Genocide Joe».

Se quindi tra i democratici progressisti la sua decisione incassa consensi, immediata è stata la critica dei repubblicani. «Lo scontro tra Stati Uniti e Israele in questo momento pericoloso rischia di incoraggiare i nemici di Israele e minare la fiducia che altri alleati e partner hanno negli Stati Uniti», hanno affermato il presidente della Camera, Mike Johnson e il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell in una lettera congiunta. Secondo Cliff Kupchan, presidente dell’Eurasia Group, la decisione di sospendere la consegna di armamenti «è un punto basso per le relazioni USA-Israele, ma Biden non aveva scelta» osserva: «La guerra è un freno alla sua campagna elettorale, all’unità del Partito Democratico e alla posizione degli Stati Uniti nel mondo». Ma qual è la realtà sul campo? Gli israeliani hanno bisogno dell’aiuto militare americano per affrontare Hamas a Rafah? Se il nemico da combattere fosse l’Iran, probabilmente sì. Così come se fosse Israele ad aggredire, gli Stati Uniti non metterebbero in discussione il loro aiuto militare, come sta accadendo per Rafah.

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