Chi è Robert Fico, il premier della Slovacchia amico di Putin - la Repubblica

Esteri

Ultim'ora

Tennis: allenamento ok, Sinner giocherà al Roland Garros

Chi è Robert Fico, il premier slovacco accusato di ’Ndrangheta tra l’amicizia con Putin e la guerra ai giornalisti

Chi è Robert Fico, il premier slovacco accusato di ’Ndrangheta tra l’amicizia con Putin e la guerra ai giornalisti

Un ritratto del leader progressista di Bratislava trasformatosi in un populista xenofobo, No Vax e amico di Putin che ha messo nel mirino magistrati, media e ong

2 minuti di lettura

BERLINORobert Fico è l’uomo dei primati. È il primo leader “rossobruno” ad aver agguantato lo scettro da premier in Europa. In sostanza, è il primo ex comunista ad aver (ri)conquistato il potere scippando le bandiere della destra, diventando ferocemente nazionalista, xenofobo, complottista, omofobo e No Vax. Il camaleontico padre padrone della Slovacchia ha vinto la sfida elettorale 2023 al grido di «vogliamo la pace in Ucraina». E come tanti pacifisti putiniani ha proposto di abbandonare Zelensky al suo destino. Il suo mantra è stato, sin dalla campagna elettorale: «Non daremo più neanche una pallottola all’Ucraina». E a gennaio di quest’anno ha persino aggredito un cronista: «Mica penserà che a Kiev ci sia la guerra? Sta scherzando, non può essere serio. Ci vada e constaterà che in quella città si vive una vita assolutamente normale». Poche ore prima un missile aveva colpito un edificio della capitale ferendo una ventina di persone.

Grande ammiratore di Vladimir Putin, cui ha chiesto anche una mano in campagna elettorale secondo un’inchiesta di VSquare, Fico ha promesso che se ne infischierà del mandato d’arresto internazionale e ha giurato solennemente che non arresterà «mai» lo Zar se metterà piede in Slovacchia. Altro primato triste, il leader populista è stato il primo premier in Europa su cui si è allungata l’ombra della ‘Ndrangheta: sei anni fa è stato costretto a dimettersi a furor di popolo dopo l’omicidio di un giovane giornalista d’inchiesta, Jan Kuciak, che indagava sui legami tra l’entourage del primo ministro e le ndrine.

(afp)

Dipinto spesso come un Viktor Orbán in Do minore, il giurista dalla faccia eternamente imbronciata è nato sessanta’anni fa a Topolcani ed è forse il più opportunista e il più sanguigno degli autocrati dell’Est che hanno sfidato in questi anni l’Europa. Il copycat del tiranno magiaro è soprannominato “Red Bullo” per i modi spicci e l’insulto facile: all’ex presidente europeista Zuzana Caputova aveva dedicato un «cagna» e «marionetta di Soros». E lei, afflitta da una campagna d’odio senza freni e da minacce di morte, ha deciso quest’anno di gettare la spugna e non ricandidarsi più — soprattutto per tutelare la famiglia. Poche settimane fa gli slovacchi hanno eletto dunque presidente un sodale di Fico, Peter Pellegrini, leader di Hlas. E la morsa autoritaria del premier rischia di subire ora un’accelerazione ulteriore.

In questi decenni il pluri premier slovacco ha dimostrato di non essere meno scaltro del tiranno ungherese. Intorno a sé non ha riunito una corte di boiardi arricchiti come Orbán ma comunque una vera e propria banda criminale, secondo le procure slovacche. E da quando è tornato al potere, non a caso, ha chiuso d’imperio l’autorità anticorruzione che indagava, tra l’altro, su casi che riguardavano il suo partito. A dicembre aveva annunciato la mannaia sull’ufficio guidato da Daniel Lipsic accusandolo di «diffondere il male». Non pago, ha depenalizzato i reati da “colletti bianchi”. Il tutto, ignorando gli allarmi e i richiami delle istituzioni europee. Ma i socialisti europei, intanto, hanno cacciato il suo partito. Sulla carta, Smer si definisce ancora un partito “socialdemocratico”.

(afp)

Sempre su modello di Orbán e Kaczynski, il leader slovacco sta cercando con un colpo di spugna di liberarsi del pluralismo e del giornalismo indipendente. A fine aprile ha presentato una legge che ha l’obiettivo di smantellare l’emittente radiotelevisiva pubblica Rtvs per sostituirla con una rete totalmente controllata dalla coalizione di governo. Una mossa-fotocopia delle misure intraprese quattordici anni fa da Budapest e nove anni fa da Varsavia e che ha trasformato l’informazione pubblica ungherese e polacca in un totale megafono del regime.

E sempre ad aprile, Fico ha minacciato una legge, di nuovo su modello russo e ungherese, che impone alle Ong che ricevano più di 5000 euro al mese di rivelare le loro fonti di finanziamento. Un modo per intimidirle e stigmatizzarle. In politica estera Bratislava ha mostrato una linea meno radicale degli autocrati cui si ispira costantemente: non appoggia l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, ma non si oppone all’adesione di Kiev all’Unione europea.

Come disse la grande veterana della politica estera americana, Madeleine Albright, Bratislava ha continuato ad essere al lungo «un buco nero» nell’Europa liberata dai regimi sovietici. Devastata da corruzione, legami tra i palazzi e le mafie, permeata da un’insopprimibile nostalgia filorussa. E Fico ha fiutato il vento e la delusione diffusa per la rissosità dei governi diversi dai suoi che hanno cercato disperatamente di porre fine al banditismo di governo. E ha cavalcato quel vento e quei malumori senza pudore.

I commenti dei lettori