Israele-Hamas, pietà per i bambini di Rafah - la Repubblica

Commenti

Notturno occidentale

Israele-Hamas, pietà per i bambini di Rafah

Rafah (Striscia di Gaza), 19 maggio: bambini in attesa di ricevere un pasto
Rafah (Striscia di Gaza), 19 maggio: bambini in attesa di ricevere un pasto (afp)
Deve essere un imperativo politico per ogni sincero democratico
3 minuti di lettura

L’incursione delle forze israeliane a Rafah mette a rischio la vita di seicentomila minori. Dall’inizio dell’escalation più di metà della popolazione di Gaza si è, infatti, rifugiata a Rafah. Emettendo un ordine di trasferimento forzato, in assenza di un piano di evacuazione che garantisca la continuazione degli aiuti umanitari, il governo di Israele sta, di fatto, condannando molti di quei bambini alla denutrizione, alla malattia, in non pochi casi alla morte.

«Nella periferia di Rafah abbiamo visto scene di caos — dichiara Rachael Cummings di Save the Children, testimone dell’esodo forzato verso Al-Mawasi — c’erano bambini che cercavano disperatamente di correre e di stare al passo con gli adulti… fa caldo, ci sono mosche ovunque. Non è sicuro, non è pulito, ma la gente continua a venire perché crede di lasciarsi alle spalle qualcosa di ancora peggiore. I bambini sono ovunque. Sono smarriti, sono sconvolti».

Il prossimo 25 maggio a Roma si terrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini promossa da Papa Francesco. Con che cuore vedremo in televisione i nostri bambini cantare il gioioso inno composto appositamente per loro da Monsignor Frisina sapendo che i loro coetanei a Rafah si trascinano nella polvere e nel sangue?

La domanda è pertinente, anzi necessaria, perché, contrariamente a quel che sostengono con un sorrisetto di sufficienza i fautori della ragion cinica, in democrazia le considerazioni di ordine morale sono e devono restare parte integrante del ragionamento politico. Sebbene la retorica “umanitaria” abbia spesso camuffato contraddizioni e colpe delle democrazie occidentali, il principio della pari dignità di ogni vita pone l’umanesimo a fondamento stesso della società democratica.

Papa Francesco pregherà per i bambini di Rafah, ne sono certo. Ma non può bastare. La pietà per i figli del popolo palestinese deve essere un imperativo politico per ogni sincero democratico.

Personalmente, ho considerato l’attacco del 7 ottobre un crimine contro l’umanità (vale a dire, ne sono consapevole, contro l’idea di umanità coltivata dall’umanesimo europeo). Non ho cambiato idea. La sadica, deliberata, programmatica ferocia con cui la strage, gli stupri, i rapimenti furono compiuti da Hamas segna, a mio avviso, un data nera e memorabile nel pur fitto calendario degli orrori contemporanei.

Purtroppo, però, è caratteristica di questa immane tragedia che vittime e carnefici si scambino continuamente di posto. Nei giorni, settimane e mesi successivi alla carneficina abbiamo assistito sgomenti al massacro perpetrato dall’esercito israeliano tra la popolazione civile di Gaza. Talvolta, vi abbiamo assistito sgomenti e muti. È il mio caso, non lo nascondo.

Lo spettacolo delle vittime abbrutite dalla violenza fino a diventare carnefici è a tal punto agghiacciante da lasciare senza fiato, senza parole, senza speranza. Era accaduto ai palestinesi di Hamas, è accaduto agli israeliani di Netanyahu. Una implacabile inimicizia letale e mimetica tende a confondere i massacrati di ieri con i massacratori di oggi.

Come condurci, dunque, in questa luce crepuscolare che sfuma nella tenebra? Innanzitutto bisogna ostinarsi a porre il problema dell’azione come problema morale, a chiedersi cosa sia giusto fare. La nostra condizione di privilegiati osservatori a distanza ce lo consente, dunque ce lo impone.

Noi, non avvinti nella spirale dell’odio mortale, non sopraffatti dalla lotta feroce per la sopravvivenza, possiamo discernere e abbiamo il dovere di farlo. La ragion pratica, quando non smarrisca se stessa, è il luogo eminente del giudizio critico, non la sua obliterazione.

E, allora, dobbiamo continuare a distinguere, ad analizzare, a ragionare. Dobbiamo distinguere tra la vittima e il carnefice, perfino e soprattutto quando coincidano nel medesimo soggetto allorché la vittima di ieri sia divenuta il carnefice di oggi.

Dobbiamo ribadire che non è lecito, abbandonandosi all’ideologia vittimaria, giustificare con la violenza subita la violenza perpetrata. Dobbiamo distinguere, all’interno di Israele, tra le gravissime responsabilità dell’attuale maggioranza populista reazionaria e l’opposizione progressista, tra governo e Stato, tra fanatici guerrafondai e piazze pacifiste.

Dobbiamo distinguere, soprattutto, tra Hamas e il popolo palestinese. E, reciprocamente, distinguere tra il popolo palestinese e Hamas: se vogliamo tener fermo al principio che i sadici stragisti di Hamas non rappresentino l’intero popolo palestinese, dobbiamo agire di conseguenza, cioè fare tutto il possibile per condannare e fermare l’offensiva militare israeliana che imputa all’intera popolazione civile di Gaza i delitti di Hamas.

Dobbiamo, cioè, pretendere dai nostri governi che premano su quello di Israele affinché rispetti il divieto di trasferimento forzato dei civili previsto dal diritto internazionale umanitario, affinché fornisca loro i beni necessari alla sopravvivenza, affinché ponga fine al loro massacro con un immediato cessate il fuoco.

No, nessuna velleità da “anime belle”. Nutrire il nostro sentimento democratico è un esercizio di ragion pratica. Coltivare in noi l’umanità, educare il nostro cuore alla pietà per i bambini di Rafah sono atti politici.

I commenti dei lettori