Late Night with the Devil: recensione del film
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    Late Night with the Devil: recensione del film con David Dastmalchian

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    L’Australia è indubbiamente una delle nazioni più attive nell’ambito del cinema horror. Dal cult Babadook fino al recente Talk to Me, passando per Relic, l’Australia ha infatti regalato agli appassionati diversi notevoli lavori e altrettanti autori da tenere d’occhio. A confermare questa tendenza sono i fratelli Cameron e Colin Cairnes, che dopo 100 Bloody Acres e Scare Campaign danno vita a Late Night with the Devil, sorprendente horror non ancora distribuito in Italia ma che sta facendo molto discutere nel resto del mondo.

    Ci troviamo nella notte di Halloween del 1977, in cui il programma televisivo notturno Night Owls con Jack Delroy è nel pieno di una difficile battaglia di ascolti con il popolarissimo The Tonight Show Starring Johnny Carson. Dopo un periodo di grande successo, questo talk show sta vivendo un periodo di appannamento, che va di pari passo con la crisi personale del conduttore Jack Delroy (David Dastmalchian), vedovo dopo la prematura morte di cancro della moglie Madeleine. Con la tecnica del found footage, ci viene raccontata questa bizzarra e spaventosa serata, in cui Jack Delroy cerca di risollevare gli ascolti della trasmissione invitando un sensitivo, un ex mago scettico, una parapsicologa e la paziente di quest’ultima, la piccola Lilly. In un’atmosfera sempre più sinistra, si susseguono eventi inspiegabili, che generano terrore nel pubblico, fornendo al tempo stesso al conduttore un’occasione più unica che raraper risalire la china.

    Late Night with the Devil: il demone in diretta

    Per Late Night with the Devil il found footage non è il fine, ma il pretesto con cui ricostruire un racconto angosciante, che corre sul sottile crinale fra il paranormale e la più cinica realtà. Lo studio di un tipico talk show degli anni ’70 (epoca televisiva ben ricostruita attraverso i colori, le scenografie, i costumi e la stessa grana dell’immagine) diventa il teatro di uno scontro fra la più incrollabile fede e lo scetticismo, con il freddo e calcolatore Jack Delroy a fare da arbitro interessato della disputa. Dopo diversi ruoli secondari (The Suicide Squad – Missione suicida, Dune, Oppenheimer), David Dastmalchian centra una performance in grado di impreziosire ulteriormente la sua carriera, tratteggiando una parabola esistenziale sospesa fra dolore e spietatezza, con sfumature ancora più luciferine delle inquietanti presenze del Night Owls con Jack Delroy.

    Cameron e Colin Cairnes mantengono la tensione sempre alta, centellinando le informazioni per accrescere il mistero, per poi mollare gli ormeggi in un climax conclusivo di terrore e violenza, dalle suggestioni faustiane. I registi lavorano inoltre sull’immagine attraverso dinamiche sempre efficaci, come l’inserimento di velocissimi dettagli stranianti e spaventosi (inevitabile in questo caso ripensare a Rec e Paranormal Activity). La riflessione sul paranormale e sul nostro approccio a esso è però inserita in un universo ancora più perverso, che allarga il campo a una suggestiva cospirazione come quella del The Grove, gruppo di uomini ricchi e potenti a cui è legato Jack Delroy.

    Un film horror inquietante e di rara intelligenza

    Late Night with the Devil

    Al contrario di pietre miliari come Videodrome e Quinto potere, la critica al potere e al cinismo del mezzo televisivo è solo sottesa, in quanto parte di un puzzle narrativo in cui a pesare maggiormente è il tema della scelta, insieme alle conseguenze che ne derivano. Una scelta fra credulità e raziocinio, ma anche fra il bene e la malvagità, con quest’ultima in grado di tentare anche la mente più incorruttibile. La critica sociale fa così spazio allo spiritismo e alla possessione demonica, che Cameron e Colin Cairnes affrontano con la freschezza e l’originalità garantite da un’ambientazione lontana dalle ormai abusate case infestate.

    Il potenziale scoop del secolo, ovvero un’intervista televisiva in diretta col Diavolo, si trasforma in un viaggio di sola andata nell’orrore e nel demoniaco, che sfocia in un finale incendiario, in grado di fare rileggere tutti gli eventi sotto una nu0va luce, lasciando aperte diverse possibili interpretazioni. L’ennesimo sberleffo di un film horror con qualche eccesso narrativo ma di rara intelligenza, che pur rievocando le dinamiche massmediali della fine degli anni ’70 mette in scena anche un ficcante monito sul nostro presente, in cui i telepredicatori e il far west contenutistico e morale della televisione notturna sono stati sostituiti da non meno subdoli imbonitori e piazzisti di varia natura.

    Late Night with the Devil

    Overall
    7.5/10

    Valutazione

    I fratelli Cameron e Colin Cairnes firmano un horror originale e inquietante, che all’interno di uno studio televisivo degli anni ’70 mette in scena un memorabile viaggio nel terrore e nel paranormale.

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    Mostra del Cinema di Venezia: Alberto Barbera confermato direttore fino al 2026

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    Il Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia, presieduto da Pietrangelo Buttafuoco, ha confermato Alberto Barbera Direttore Artistico del Settore Cinema per gli anni 2025 e 2026. Si rinnova così un sodalizio che continua ininterrottamente dal 2012, impreziosito da un ulteriore triennio di direzione fra il 1999 e il 2001. Un riconoscimento che certifica l’ottimo lavoro svolto da Alberto Barbera negli ultimi anni, grazie a cui la Mostra del Cinema di Venezia è diventata un punto fermo per la stagione cinematografica e per la corsa ai principali premi, arrivando a battagliare alla pari con il Festival di Cannes.

    Alberto Barbera direttore artistico per altri due anni

    Alberto Barbera
    Alberto Barbera sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia

    Il Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ha così commentato la notizia:

    «Ho provato immediata sintonia con Alberto Barbera e ho grande rispetto per la competenza, la professionalità e la passione da lui dimostrate negli anni alla conduzione della Mostra d’Arte Cinematografica tali da riuscire ad accrescere il prestigio del più antico festival al mondo. Sono vivamente lieto che La Biennale di Venezia possa proseguire con lui questo percorso».

    Alberto Barbera nel 2022 ha ottenuto il Tributo speciale dai Gotham Awards di New York. Nel 2021 gli è stato invece conferito dalla storica rivista Variety l’International Achievement in Film Award. Entrambi i riconoscimenti sono stati attribuiti allo stesso tempo a La Biennale di Venezia. Dal 2020 fa inoltre parte dell’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, che attribuisce i premi Oscar. Dal 2019 è stato inserito da Variety fra le 500 persone più influenti al mondo dell’industria dello spettacolo. Nel 2000 è stato insignito del titolo di Chevalier des Arts et des Lettres, riconoscimento culturale della Repubblica Francese. A partire dal 1982 ha iniziato la collaborazione con il Festival Internazionale Cinema Giovani (oggi Torino Film Festival), diventandone poi Direttore dal 1989 al 1998. Nel 2002 è divenuto consulente per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e da giugno 2004 sino a dicembre 2016 ne è stato il Direttore.

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    Venezia 2024: Peter Weir riceverà il Leone d’Oro alla carriera

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    Peter Weir in Kleparz, Lesser Poland. Author Piotr Drabik - Creative Commons Attribution

    Il 79enne regista e sceneggiatore australiano Peter Weir riceverà il prestigioso Leone d’Oro alla carriera della 81. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che si terrà dal 28 agosto al 7 settembre 2024. Lo rende noto la Biennale di Venezia, che ha fatto propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera. Peter Weir è universalmente conosciuto per aver firmato opere entrate nell’immaginario collettivo, come Picnic ad Hanging Rock (Il lungo pomeriggio della morte), L’ultima onda, Witness – Il testimone, Mosquito Coast, L’attimo fuggente, The Truman Show e Master & Commander – Sfida ai confini del mare.

    Venezia 2024: le dichiarazioni di Peter Weir e Alberto Barbera

    Una scena de L'attimo fuggente, capolavoro del Leone d'Oro alla carriera di Venezia 2024 Peter Weir.

    Peter Weir ha così commentato la notizia:

    «La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia e il suo Leone d’Oro fanno parte dell’immaginario del nostro mestiere. Essere premiati per il lavoro di una vita come registi è un grande onore».

    Questa invece la dichiarazione di Alberto Barbera:

    «Con soli 13 film realizzati nell’arco di quarant’anni, Peter Weir si è assicurato un posto nel firmamento dei grandi registi del cinema moderno. Alla fine degli anni Settanta, si era affermato come l’autore principale della rinascita del cinema australiano in virtù di due lavori, Le macchine che distrussero Parigi e Picnic ad Hanging Rock, il secondo dei quali acquisterà nel corso degli anni lo statuto di film culto. Il successo internazionale dei due film successivi, Gli anni spezzati e Un anno vissuto pericolosamente, gli aprirono le porte del cinema hollywoodiano, del quale divenne in breve uno dei principali protagonisti, fautore di un cinema in grado di coniugare la riflessione su tematiche personali e l’esigenza di rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile.

    Pur nella diversità dei soggetti affrontati, non è difficile rinvenire nel suo cinema, insieme audace, rigoroso e spettacolare, la costante di una sensibilità che gli consente di affrontare tematiche eminentemente moderne, come il fascino per la natura e i suoi misteri, la crisi degli adulti nelle società consumiste, le difficoltà dell’educazione dei giovani alla vita, la tentazione dell’isolamento fisico e culturale, ma anche il richiamo degli slanci avventurosi e l’istinto della salutare ribellione.

    Celebrando il gusto del racconto e l’innato romanticismo, Weir è riuscito nell’impresa di rafforzare il proprio ruolo nell’establishment hollywoodiano pur rimarcando una distanza piuttosto netta con l’industria del cinema americano. Witness – Il testimone, Mosquito Coast, L’attimo fuggente, Fearless – Senza paura, The Truman Show e Master & Commander sono le tappe principali di un percorso artistico che ha saputo conservare la sua integrità di fondo sin dentro il successo commerciale dei film realizzati».

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    Bodkin: recensione della serie Netflix

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    Bodkin

    La passione per il true crime è sempre più dirompente, e la serialità non può fare altro che adeguarsi. Dopo Only Murders in the Building, tocca a Netflix cercare un difficile equilibrio fra questo filone, i gialli che sottende e la comicità, con un impianto narrativo in grado di tenere insieme tutte queste componenti. Arriva dunque nel catalogo della celebre piattaforma di streaming Bodkin, serie in 7 episodi ideata da Jez Scharf e prodotta da Barack e Michelle Obama, già coinvolti nel recente successo di Netflix Il mondo dietro di te. Lo show può contare sulla presenza nel cast di Will Forte (The Last Man on Earth), Siobhán Cullen e Robyn Cara, interpreti di un bizzarro gruppo di giornalisti e podcaster.

    Bodkin è il nome di una piccola cittadina irlandese, dove viene spedita controvoglia la giornalista investigativa Dove (Siobhán Cullen), originaria proprio dell’Irlanda e costretta a rinunciare a un importante caso. Qui si trova costretta a collaborare con il celebre autore di podcast Gilbert Power (Will Forte) e con la sua assistente Emmy (Robyn Cara) su una serie di avvenimenti misteriosi e sinistri avvenuti anni prima, che hanno portato addirittura all’interruzione dei festeggiamenti di Samhain, il capodanno celtico alla base delle celebrazioni di Halloween. I due approcci agli antipodi di Gilbert e Dove si scontrano con la piccola comunità locale, restia a scavare fra segreti fino a quel momento ben custoditi.

    Bodkin: a caccia di true crime in un’Irlanda misteriosa

    Cr. Enda Bowe/Netflix

    Bodkin mette molta carne al fuoco, non solo per i generi, ma anche per quanto riguarda i temi affrontati. Al centro della serie c’è soprattutto il contrasto fra la seriosità e il rigore di Dove e lo spirito più libero e affabile di Gilbert. Due modi opposti di intendere la vita e soprattutto il giornalismo, che riverberano nel corso di tutta la serie. Per Dove infatti i podcast true crime sono poco più che gossip, irrilevanti dal punto di vista giornalistico e irrispettosi da quello morale; Gilbert ribatte invece che questa forma di narrazione gli consente di arrivare a una platea sterminata di persone, appassionandole e favorendo la circolazione di storie e contenuti. Un contrasto perfettamente in linea con il dibattito contemporaneo sull’informazione (il discorso si può tranquillamente allargare ai content creator), che costituisce però uno dei pochi temi veramente a fuoco della serie.

    Già in bilico fra mistero e commedia, Jez Scharf farcisce infatti il racconto di diversi altri risvolti, come l’analisi dei costumi e delle tradizioni dell’Irlanda (in cui ha le origini anche Gilbert) e il punto di vista lucido e ravvicinato sui piccolissimi centri urbani, in cui tutti sanno tutto di tutti, anche se molto spesso fingono di non sapere nulla, soprattutto quando si confrontano con i forestieri. Il risultato è un racconto che ondeggia fra troppi registri e altrettante suggestioni, faticando non poco a trovare una sintesi coesa e abbastanza avvincente. Un caos narrativo che si riflette anche sui personaggi secondari, caratterizzati in modo piatto e poco ispirato.

    Un umorismo nero poco incisivo

    Cr. Enda Bowe/Netflix

    A metà strada fra l’ironia dissacrante alla base del già citato Only Murders in the Building e il sinistro fascino dei misteri connessi alle piccole cittadine di provincia, portato al successo da Twin Peaks, Bodkin finisce per non essere fondamentalmente né carne né pesce, anche per la scarsa consistenza del mistero su cui si regge il racconto. I suggestivi scenari irlandesi e i cliffhanger abilmente collocati al termine di ogni episodio attenuano l’effetto di queste lacune, ma si ha più volte la sensazione di trovarsi di fronte a una narrazione eccessivamente diluita e troppo esile per reggere un minutaggio così ampio.

    Non aiutano alla resa complessiva neanche le atmosfere magiche dell’Irlanda e le suggestioni ancestrali legate al Samhain, base per diversi riusciti folk horror ma in questo caso sacrificate in nome di personaggi ingenuamente bizzarri e di un umorismo nero che raramente va a segno. I pochi momenti significativi si riducono così alla già menzionata opposizione fra la respingente Dove e lo humour non particolarmente ficcante di Gilbert, che pone interrogativi non banali sui concetti di verità, indagine e narrazione. Troppo poco per una serie che avrebbe potuto lavorare sulle immagini e sulle atmosfere con intensità ben maggiore.

    Cr. Enda Bowe/Netflix

    Bodkin è disponibile dal 9 maggio su Netflix.

    Overall
    5/10

    Valutazione

    Bodkin cerca un difficile ibrido fra mistero, commedia e analisi del giornalismo moderno, dando però vita a una narrazione eccessivamente diluita e con troppa carne al fuoco.

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