‘Limonov’, il fascino di un folle e controverso anarcoide - la Repubblica

‘Limonov’, il fascino di un folle e controverso anarcoide

Andrejs Strokins
Andrejs Strokins 

La recensione del film in concorso diretto da Kirill Serebrennikov dal romanzo di Emmanuel Carrère destinato al mercato internazionale

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Eduard Limonov (1943-2020) è stato un personaggio folle e controverso. Il romanzo ispirato alla sua vita, Limonov di Emmanuel Carrère (2011), è stato un caso letterario. Si parlava da anni di una versione cinematografica: era un progetto di Saverio Costanzo, che poi ha preferito concentrarsi per anni su un altro universo letterario popolarissimo, i romanzi di Elena Ferrante. È subentrato il polacco Pawel Pawlikowski, che firma ancora la sceneggiatura. Alla fine il film è tornato dove tutto è cominciato, in Russia: lo ha diretto Kirill Serebrennikov, classe 1969, regista scomodo sia in cinema sia in teatro, attivista dei movimenti Lgbt, a lungo perseguitato dalla “giustizia” russa dal 2017 in poi. Il film è però una co-produzione fra Italia, Francia e Spagna ed è stato girato in parte in Russia, in parte altrove. Le note di produzione raccontano che lo scrittore, Emmanuele Carrère, ha girato un suo cameo a Mosca il giorno prima che iniziasse l’invasione dell’Ucraina: il giorno dopo la produzione ha dovuto trasferirsi a Riga, in Lettonia, dove è stata girata quasi tutta la parte del film ambientata in America. È una curiosità: le strade di New York negli anni 70, che appaiono molto autentiche (complimenti allo scenografo Vlad Ogay), erano state prima ricostruite a Mosca e poi nuovamente allestite a Riga.

(reuters)

Partiamo dal nome che campeggia nel titolo: Limonov (con l’accento sulla prima “o”, come lui stesso precisa nella prima battuta del film), chi era costui? Vero nome Eduard Savenko, nella sua vita ha fatto di tutto: operaio, sarto (si manteneva realizzando blue-jeans made in Urss), poeta, avventuriero, homeless nelle vie di New York dopo la fuga dall’Urss nel 1974, scrittore di successo in Francia e infine esponente politico nella Russia post-Gorbaciov. Nel 2007 ha fondato un partito definito “nazional bolscevico” in cui il nazionalismo russo si sposava con influenze stravaganti e altamente discutibili che andavano da Stalin a Hitler, da Evola a Mishima. Ha anche combattuto nelle guerre della ex Jugoslavia a fianco delle tigri di Arkan e degli sgherri di Milosevic, ed è stato un sostenitore dei secessionisti filo-russi del Donbass (questa parte della sua biografia, raccontata da Carrère nel suo romanzo, è prudentemente omessa dal film).

(reuters)

Curioso percorso, per uno nato in Russia ma cresciuto a Charkiv, ora città-martire della guerra. Il suo vero nome, Savenko, è per altro indiscutibilmente ucraino (tutti i cognomi in -enko lo sono) ma suo padre, che viene rievocato in una breve scena, era stato un ufficiale della Nkvd, la famigerata polizia segreta di Stalin. Nel film Limonov torna a Charkiv in una delle ultime scene, per rivedere gli anziani genitori: in questa scena, il padre sembra solo un vecchietto nostalgico dei “bei tempi” di Stalin, ma la sceneggiatura gli affida alcune battute velenose (definisce Gorbaciov un bastardo e un traditore) che la dicono lunga su come la Russia profonda abbia vissuto gli anni della perestrojka che a noi occidentali sembravano entusiasmanti. Invece per molti russi Gorbaciov stava “svendendo” il Paese all’Occidente. L’ampio consenso di cui gode Putin nasce, in fondo, da lì.

(reuters)

Limonov – parliamo, ora del film – è un’operazione contraddittoria. Serebrennikov sa bene di che razza di arnese ideologico sta parlando, ma ne è affascinato esattamente come Carrère: perché l’uomo, nella sua follia spesso anarcoide, è alla fin fine affascinante. La produzione internazionale e l’occhio attento al mercato occidentale fanno sì che il film si concentri soprattutto sull’attività letteraria di Limonov e sul periodo trascorso prima negli Stati Uniti, poi in Francia. È la parte meno interessante, e forse l’unico guizzo sta nella rappresentazione al vetriolo di Evgenij Evtušenko (il famoso poeta beat sovietico) e degli altri “professionisti del dissenso”: ci sono battute feroci su Solženicyn e Brodskij, nonché una frecciatina quasi subliminale anche su Tarkovskij. Le parti più riuscite sono l’inizio e la fine, quando Limonov frequenta prima la Mosca “alternativa” del Disgelo e poi la Russia che si arrabatta dopo l’implosione dell’Urss. Sono i momenti che Serebrennikov padroneggia meglio e nei quali emerge la dimensione politica del personaggio, mentre gli anni newyorkesi tutto sesso e rock’n’roll (musiche di Lou Reed onnipresenti) non aggiungono granché. A Cannes abbiamo visto il film nell’edizione originale dove tutti, dal protagonista Ben Whishaw agli attori russi, parlano sempre inglese: anche i personaggi russi e francesi, con improbabili accenti. È una logica dovuta al mercato internazionale, che rende però il film pressoché inascoltabile. Paradossalmente il doppiaggio italiano (distribuisce Vision) rimetterà a posto le cose.

Limonov – The Ballad

Regia di Kirill Serebrennikov

Voto: 2 stelle e mezza su 5

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