Sei tribù di nativi americani del South Dakota hanno votato per destituire il governatore repubblicano Kristi Noem dalle loro riserve. Un chiaro messaggio per Donald Trump in vista delle elezioni presidenziali Usa del prossimo 5 novembre
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L'ultima comunità di indigeni a esprimersi per bandire Noem, che amministra il South Dakota dal 2019, è stata la Crow Creek. In precedenza, il 10 maggio, lo stesso aveva fatto lo Yankton sioux tribe business and claims committee, il principale organo eletto della tribù che discende dai sioux.
Secondo Noem alcuni leader tribali stanno beneficiando dei cartelli della droga messicani. Una dichiarazione, rilasciata lo scorso marzo durante un forum in municipio a Winner, proprio nel South Dakota, che gli elettori indigeni hanno ritenuto «profondamente offensiva».
«Alcuni leader tribali traggono vantaggio dalla presenza dei cartelli», ha spiegato la repubblicana. «È per questo che mi attaccano ogni giorno». I rapporti tra i capi tribù e Noem si sono ulteriormente deteriorati quando il governatore ha affermato che i cartelli della droga messicani hanno «aperto negozi» nelle riserve statali.
«Le comunità indigene dovrebbero agire per bandire i cartelli dalle loro terre e accettare la mia offerta di aiutarli a ripristinare la legge e l'ordine nelle loro comunità, proteggendo al contempo la loro sovranità», ha incalzato ancora Noem.
Gli indigeni del South Dakota sono rimasti colpiti anche da un passaggio del nuovo libro di Noem, No going back, in cui l'esponente repubblicana, chissà perché, scrive di voler sparare al cane di famiglia e a una capra d'allevamento.
Nel marzo del 2017 migliaia di nativi americani avevano manifestato davanti alla Casa Bianca dopo una marcia nel centro di Washington per protestare contro la decisione di Trump, allora presidente degli Usa, di avviare la costruzione degli oleodotti che passano nelle loro terre.
I rappresentanti delle tribù indiane avevano presidiato l'esterno della Casa Bianca a colpi di tamburi e slogan in difesa dell'ambiente e dell'acqua. «Abbiamo marciato contro l'ingiustizia e continueremo la nostra protesta pacifica», aveva sottolineato Dave Archambault, capo della della tribù Sioux standing rock.
Quella di Trump, per gli indiani d'America, era una violazione della legge e un'aggressione alle loro terre, col rischio di possibili inquinamenti delle falde acquifere. E il tribunale aveva concordato.
Nel luglio del 2020 il giudice federale James E. Boasberg, della Corte distrettuale del district of Columbia, aveva stabilito la chiusura temporanea del cantiere per la costruzione del Dakota access pipeline, un oleodotto di quasi 2 mila chilometri che avrebbe dovuto collegare il North Dakota all'Illinois attraversando quattro Stati.
Il tracciato dell'opera era stato contestato dalle tribù dei nativi americani e da associazioni ambientaliste, secondo cui la parte sottomarina avrebbe messo a rischio il bacino idrico delle comunità, a violare i terreni e luoghi sacri dei sioux.
Da quel momento le relazioni tra gli indigeni e i repubblicani si sono deteriorate, sino ad arrivare al voto delle sei comunità che intendono allontanare Noem dal South Dakota. Tutto si deciderà tra pochi mesi, quando, in concomitanza con le presidenziali, si terranno le elezioni vere e proprie.
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