Un robot che va oltre
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Un robot che va oltre

La mela – cadendo da un albero – ha suggerito a Isaac Newton la legge di gravitazione. E un’altra mela è al centro di una impressionante performance del robot della startup Figure
Patrizia Pesenti
Patrizia Pesenti
15.05.2024 06:00

La mela – cadendo da un albero – ha suggerito a Isaac Newton la legge di gravitazione. E un’altra mela è al centro di una impressionante performance del robot della startup Figure. Hanno dato un corpo e una faccia alla tecnologia ChatGPT. È passato appena poco più di un anno e interagire con il sistema intelligente di OpenAI sembra già una cosa normale. Adesso Figure01 - questo il nome del robot – va decisamente oltre e usa un cosiddetto Visual Language Model. In poche parole, un modello che dopo essere stato allenato su un enorme quantità di dati, testi e anche immagini, può riconoscere e localizzare oggetti. Ma c’è di più, le domande si possono porre a voce, conversando, non occorre digitare o scrivere. 

La startup (valutata a più di due miliardi e mezzo con investitori come Microsoft, OpenAI, Nvidia e Bezos) è ancora agli esordi, ma il risultato lascia a bocca aperta. Un uomo dice al robot: «Avrei fame, posso avere qualcosa da mangiare?». E l’umanoide sceglie velocemente tra diversi oggetti sul bancone davanti a lui e gli porge una mela. In seguito, gli viene chiesto di mettere i bicchieri e un piatto su uno scolapiatti. Lo fa con tranquilla destrezza. E uno potrebbe dire, niente di che, oggi tanti robot sono precisi e abili nel maneggiare oggetti. Già, ma non lo fanno perché qualcuno, semplicemente parlando, glielo chiede. 

E il bello viene quando la persona gli chiede: «Puoi dirmi perché mi hai dato la mela, intanto che metti le cartacce nel cesto?». La risposta, immediata e cortese: «Ti ho dato la mela perché avevi fame ed era l’unica cosa commestibile sul tavolo». E nel frattempo l’umanoide mette alcune cartacce nel cestino. Beh, questo si, è davvero impressionante. Il robot non solo risponde alla richiesta vocale in modo corretto, ma mette la domanda in un contesto e fornisce la risposta corretta in dieci secondi. E i più lo fa intano che si occupa di un’altra cosa. 

Dietro c’è un mondo fatto di telecamere e microfoni e sensori. La trascrizione della domanda va in un modello di intelligenza artificiale allenato da OpenAI. E risponde «ragionando» come siamo (ormai) abituati con ChatGPT. Certo, non sono veri ragionamenti umani, sono i cosiddetti Large Language e Visual Language Model, sistemi intelligenti capaci di mettere, secondo la migliore probabilità, una parola dopo l’altra come ha imparato a fare nutrendosi dei testi trovati in internet. Ma questo nuovo robot è un passo oltre, per certi versi anche inquietante. Figure, l’azienda che lo produce, afferma senza mezzi termini che l’umanoide possiede una capacità di «ragionamento avanzato». Certo dimostra di essere in grado di connettere e desumere alcuni fatti partendo dalle informazioni a disposizione. Quando dice «Ti ho dato la mela perché hai detto che avevi fame ed era l’unico cibo qui» fa, in un certo senso, un ragionamento. Anche alla domanda finale: «Come pensi di essertela cavata?» il robot risponde con garbo: «Mi pare di aver fatto giusto, la mela ha un nuovo proprietario, i piatti sono a posto e la cartaccia è nel cesto». D’accordo, non si può dire che un sistema di intelligenza artificiale «ragioni». La nostra di mente è cosciente, quando pensa sa che sta pensando. L’intelligenza artificiale funziona grazie all’immensa capacità di calcolare la probabilità che ad una parola ne segua un’altra e un’altra ancora. Non sempre il risultato è buono, a volte l’intelligenza artificiale ha le allucinazioni, le risposte sembrano ragionevoli, ma non lo sono. Capiterà, immagino, anche agli umanoidi. Solo che invece di generare testi scritti possono muoversi, prendere oggetti e servirsene. Brett Adcock, il fondatore di Figure, afferma che stiamo per raggiungere i limiti della nostra capacità produttiva e che «gli umanoidi saranno al nostro fianco per lavorare, pensare e apprendere». E «interagire in sicurezza», aggiunge. Viene in mente un altro Isaac, non Newton ma Asimov la cui trilogia sui robot ha ispirato il film «Io, Robot». Ma lì gli umani si salvano per un soffio.