Marie Aude-Murail: “La famiglia è chi ti ascolta”
Giovedì 23 Maggio 2024
BARBARA BERTI
Libri

Marie Aude-Murail: “La famiglia è chi ti ascolta”

La grande scrittrice francese per ragazzi a Firenze alla Giunti Odeon: “I figli di separati? Eroi, così come i genitori single”

Marie-Aude Murail, 70 anni

Marie-Aude Murail, 70 anni

Firenze, 11 maggio 2024 – A Firenze, per la prima volta la scrittrice francese Marie-Aude Murail. Insignita del prestigioso Andersen International Award nel 2022, è una delle più importanti autrici per ragazzi del mondo. Vincitrice di molti premi per la sua ormai sterminata produzione, sa affrontare temi delicati con grazia e con una sana e trascinante ironia. Nelle sue storie i personaggi sono tratteggiati nella loro complessità, senza sconti ma sempre con uno sguardo pieno di empatia. Ha vissuto a Parigi e a Bordeaux, ora abita a Orléans, ma è spesso in viaggio per incontrare i suoi lettori in tutto il mondo. E oggi 11 maggio alle 11,30 fa tappa alla Giunti Odeon di piazza Strozzi per il firmacopie di tutte le sue produzioni tradotte in italiano, compreso ‘Zombi’ (Giunti Editore), il quarto e ultimo (al momento) dei libri pubblicati in Italia della famosa serie ‘Sauveur &Figlio’ (in Francia arrivata alla settima stagione).

Il tema centrale delle storie di ‘Sauveur & Figlio’ è quello della famiglia, o meglio delle famiglie, che si separano, si ricompongono, si mescolano. Non esistono famiglie ‘tradizionali’. Gli adulti rappresentano talvolta una minaccia per i bambini, più spesso cercano di proteggere i piccoli senza riuscirci o senza riuscirci del tutto. Un meraviglioso affresco dei nostri tempi, dove drammi, tragedie, dubbi, ossessioni, paure si intrecciano, e dove ognuno, anche lo psicologo Sauveur, prende atto della propria ‘fallibilità’ e impara a perdonare se stesso e gli altri. “Un giorno, mentre visitavo una classe di bambini di 8 o 9 anni, ho chiesto loro: ‘Per voi, cos'è la famiglia?’. Ho avuto molte belle risposte, ma la più formidabile, la più aperta, quella che non esclude nessuno, mi è stata data da un bambino: ‘la famiglia è gente che ti ascolta’” racconta la scrittrice.

Marie-Aude, come e perché si è avvicinata alla scrittura?

“Sono cresciuta con un padre pittore e poeta, una madre scrittrice e giornalista. Mio fratello maggiore Tristan Murail è diventato un compositore di musica (Premio Villa Medici di Roma per due anni), mia sorella Elvire e mio fratello Lorris hanno iniziato anche loro a scrivere. Avevo davvero scelta? Oggi ho anche dei nipoti che scrivono e compongono, e io scrivo anche insieme a mia figlia. Non so se esiste un gene responsabile per le famiglie di artisti, ma la trasmissione culturale è sempre stata al centro della nostra”.

Se non avesse fatto la scrittrice, cosa le sarebbe piaciuto fare?

“L’esploratrice! Lo sognavo da piccola, per viaggiare in tutti i continenti che scoprivo nelle pagine di Tintin. Dai 17 anni, poi, ho deciso di essere esploratrice in verticale immergendomi in me stessa. Sapevo che sarebbe stato un pozzo senza fine”.

Quando ha iniziato a scrivere narrativa destinata ai ragazzi e quale è stata la molla che l’ha spinta a scegliere proprio i giovani come destinatari privilegiati dei suoi testi?

“Ho tenuto traccia dei miei primi scritti: una pseudo rivista che si chiamava ‘Le Journal de Zip et Zop’. Avevo 12 anni e scrivevo per la mia sorellina. Il mio target era già molto chiaro, infatti si legge sulla copertina cartonata: ‘Questo giornale è destinato ai lettori dagli 8 ai 12 anni’. Copriva una grande parte dello spettro della letteratura per ragazzi: un racconto di animali, una fiction poliziesca fortemente ispirata a Enid Blyton, un po’ di letteratura moralizzatrice con la vita del santo curato D’Ars, ricopiata dal mio libro di catechismo. Dico spesso ai giovani aspiranti scrittori che bisogna fare attenzione alla prima persona a cui si mostra ciò che si scrive, perché è la persona che ha il potere di incoraggiarci a continuare o di distruggerci duramente. Con la mia sorellina, come primo e unico pubblico, ero in una botte di ferro. Se trovo qualcosa di cui non posso parlare ai bambini scriverò per gli adulti. Ma per il momento non l'ho trovato. Anche il mio libro per adulti, un'autobiografia familiare che si intitola ‘En nous beaucoup d’hommes respirent’ (ed. L’Iconoclaste), può parlare a tutti i ragazzi e a tutte le ragazze che hanno già avuto una storia d'amore”.

Quali sono state le letture che l’hanno ‘formata’ e quali sono, oggi, i modelli letterari cui si rifà?

“A parte i fumetti e i racconti del nostro universo infantile, ho ricevuto una formazione letteraria molto classica. Durante i miei studi superiori alla Sorbona ho frequentato solo vecchi testi e solo di autori francesi: quando siamo arrivati al XX secolo i professori hanno perso interesse. Mi sono quindi appassionata e mi sono formata da autodidatta alla letteratura d'infanzia e alla letteratura straniera, soprattutto quella inglese (Charles Dickens di cui ho scritto la biografia, Beatrix Potter che ho evocato in ‘Miss Charity’). A casa avevamo molti libri e nessuno controllava ciò che leggevamo. La biblioteca di mio padre non comprendeva libri per bambini, ma ho divorato tutto. Non credo al trauma delle letture troppo precoci. Lì ho trovato quello che potevo trovare, all’età che avevo. Ho delle affinità particolari con il XVI secolo, nel quale mi immergo regolarmente quando scrivo romanzi storici. Questo mi permette di scoprire dei testi che sono sfuggiti alla mia formazione iniziale. Ci sono delle autrici che ho conosciuto tardi ma che sono molto importanti per me: Jane Austen nel mondo inglese e George Sand in quello francese”.

La famiglia, o meglio le diverse famiglie, sono un tema ricorrente nei suoi romanzi. Perché?

“Sono una scrittrice comica. Lo humor ha come obiettivo quello di alleggerire ogni forma di oppressione, di mettere in discussione il potere che gli altri hanno su di noi. Quali sono queste fonti di oppressione per i bambini? I professori e i genitori. Quindi la cosa più importante per me è di far ridere della famiglia e della scuola. Ma, ridendo, interrogare molto seriamente i modelli e i sistemi che governano la nostra vita intima”.

Il dibattito sulle famiglie (tradizionali e non) è molto attuale: per lei quale è il concetto di famiglia?

“Ho fatto il mio ingresso nella letteratura per l'infanzia negli anni ‘80 con una serie di libri che raccontano in prima persona le avventure di Emilien Pardini, un adolescente che vive da solo con sua madre single, ‘Baby-sitter blues’. Nella zona di Parigi in cui abitavo vedevo che un bambino su due, tra gli amici di mio figlio, cresceva con genitori divorziati, in una famiglia monoparentale o in una famiglia ricomposta. Volevo dire a questi bambini (e ai genitori single) che sono dei veri eroi. La madre di Emilien non vuole dipendere da un uomo: durante un episodio della serie ha un bimbo da sola. Suo figlio, di 14 o 15 anni, talvolta è stanco dello spirito indipendente della madre e vorrebbe trovarle un fidanzato. Lui invece vuole sposare Martine-Marie, la sua amichetta saggia e molto cattolica e avere quattro figli con lei. È una fantasia romantica e rassicurante, nettamente più conservatrice delle scelte della madre. Alla fine della serie lei tornerà finalmente ad avere una relazione, con un uomo che non è padre di nessuno dei due figli. In fondo all'ultimo libro ho messo in rilievo una citazione dello scrittore Marcel Pagnol: ‘Il padre è colui che ama’. Se a volte scrivo storie di bambini orfani (‘Oh, Boy!’) è perché mi inserisco nella grande tradizione del romanzo di formazione. E se ho spesso degli eroi molto giovani abbandonati a se stessi (‘Mio fratello Simple’) è perché mi inserisco nella grande tradizione della favola. Mi appassionano le fratellanze e tutte le forme di famiglie ricomposte, scomposte, parentali, adottive, famiglie di accoglienza. Ma ho anche scritto molti romanzi che parlano delle famiglie ‘tradizionali’. In ‘Crack! Un anno in crisi’, i genitori non comunicano più, i bambini non comunicano più, tutta la famiglia porta il peso della vita moderna: il burnout, la crisi economica, la fobia scolastica. Ne ‘La figlia del dottore Baudoin’, volevo parlare anche di una famiglia molto tradizionale, dell'alta borghesia, in cui la figlia, Violaine, rimane incinta a 17 anni. In ‘Nodi al Pettine’ la famiglia sta male a causa di un patriarca molto sprezzante: un chirurgo che umilia la moglie e si prende gioco di suo figlio Louis quando quest'ultimo decide di fare uno stage in un salone di parrucchieri”.

Nei romanzi affronta tematiche forti ma con toni leggeri: come ci riesce?

“Mi hanno fatto spesso questa domanda, e spesso ho fatto fatica a rispondere. Dato che sono una persona molto emotiva le cose mi piombano in piena faccia. Potrei facilmente cedere alla rabbia, al panico, al rigetto o alla disperazione. Ma il mio riflesso di auto preservazione, addirittura di sopravvivenza, è di cercare il punto di vista comico, poetico o tenero in tutte le situazioni. Amo molto i miei personaggi, voglio loro bene, ma per farli crescere sono costretti ad attraversare delle situazioni drammatiche. Ogni bambino conosce dei drammi. Non voglio nascondere loro che la condizione umana è difficile, ma voglio anche che chiudano il libro con la voglia di vivere ancora di più, e più forte. Lo humor per me è un lavoro da equilibrista: avanzo su un filo teso tra una sitcom è una soap opera, tra il tragico e il comico”.

Come è nato il personaggio Sauveur Saint-Yves?

“Saveur è nato da un bisogno: vedevo intorno a me sempre più adolescenti e giovani che stavano malissimo, e non sapevo come aiutarli. Mancano gli psicologi, le terapie sono spesso costose, di difficile accesso, ci sono anche molti pregiudizi riguardo a questa professione, tutti freni per curarsi. Quindi ho voluto offrire loro uno psicologo di carta: un eroe che sdrammatizzasse il fatto di andare da uno psicologo. Tanto che a volte gli adolescenti mi dicono: ‘Ma anche io vorrei andare da uno strizzacervelli!’. E io rispondo: ‘Beh, comincia a sbagliare!’. Alcuni vedono la terapia come qualcosa di invidiabile. Il che dimostra che non li ascoltiamo molto”.

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