Animali Notturni è l'ultimo romanzo di Carlotta Vagnoli, una racconto che cattura la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra; l'autrice questa volta dà voce a una generazione perennemente esclusa, sfruttata, messa da parte: quella dei millennials.

Dopo averci raccontato il femminicidio e la violenza di genere, la Vagnoli ci delinea i pezzi di una fotografia di ragazze e ragazzi, un'immagine masticata e sputata via nell'intrepida Milano, uno scenario spietato e bivalente, tra il diurno di una città grigia di uffici e fatturato, e il tramonto come rivalsa in una metropoli seducente alla quale abbandonarsi.

L'abbiamo incontrata per voi.

instagramView full post on Instagram

Com' è nato Animali Notturni?

Animali Notturni nasce due anni fa a Torino, per l’esattezza nasce a un tavolo di Platti dove ero a fare un aperitivo con Marco Peano, scrittore nonché editor di questo libro.

Gli stavo raccontando alcuni dubbi e perplessità che avevo ormai da anni su come la mia generazione, quella dei millennial, fosse stata considerata poco o nulla dopo i tragici fatti di Genova del 2001. Parlando, gli ho espresso la voglia di indagare su come fossimo riusciti collettivamente a sopravvivere.

Marco, entusiasta, mi ha proposto di buttare giù questi pensieri. Così ho fatto.

Ma con mio grande stupore, le cose che volevo raccontare avevano bisogno di una collocazione spazio temporale precisa e soprattutto di personaggi: non potevo descrivere asetticamente quegli anni di crisi economica, sociale, culturale e lavorativa che ha colpito la mia generazione. Non potevo farne un saggio.

Quindi è nata la storia degli Animali Notturni, un viaggio pulp, non poteva essere altrimenti, nella caduta di una generazione invisibile.

I dati raccolti in questi anni di ricerca mi sono serviti tantissimo, così come le consulenze (ne ho fatte con economiste, psichiatre, attiviste e attivisti). Usarle in un modo per me nuovo, ovvero nella narrativa, è stato sicuramente interessante.

Cosa ti manca della vecchia era e cosa invece ti spaventa della nuova?

L’energia. Avevamo energia, da vendere. Solo che non avevamo dove incanalarla, probabilmente. Dopo il g8 e con la prima crisi economica e l’inasprirsi sempre più veloce della gentrificazione non avevamo più ascolto al tavolo dei cosiddetti adulti -che a dirla tutta si sono dimostrati molte cose, ma adulti responsabili proprio mai, e abbiamo creato un mondo imperfetto quanto nuovo dal nulla, unendo culture differenti, sfruttando l’ allora neonato internet per crearci dei lavori, provando a ridefinire le sorti del nostro futuro.

Di questa nuova era mi spaventa solo una cosa: che alla nuova generazione tocchi quello che è successo a noi.

carlotta vagnolipinterest
Pietro Baroni
Carlotta Vagnoli

Quanto c'è di autobiografico nel tuo ultimo libro?

Sicuramente conosco a menadito il contesto del libro: sono stata una lavoratrice notturna per dieci anni, dietro al bancone dei cocktail bar o come cameriera, alle volte dj, alle volte pr per arrotondare. Ho vissuto molte di quelle situazioni, conosco quei luoghi come le mie tasche. Ma di autobiografico, in senso stretto del termine, ci sono giusto un paio di cose. Volevo fosse un mosaico di mille storie diverse, moltissime inventate.

Credi che il futuro sia realmente differenziato in base al background generazionale? Tu come ti vedi fra 20 anni?

Il futuro è differenziato in base al background generazionale almeno già da vent’anni.

La mia generazione è quella che ha in assoluto studiato di più e che ha lavorato di meno (a contratto, in nero sicuramente ci hanno sfruttato a dovere). Part time, co co co, contratti a chiamata, prestazioni occasionali, settori svuotati, stage che sono delle vere e proprie schiavitù hanno condito gli anni in cui l’ascensore sociale si è bloccato del tutto e hanno investito in pieno le nostre decadi.

Tra vent’anni non so cosa ne sarà di me, in verità. Mi piace pensare che finalmente riuscirò a fare soltanto il mio lavoro di scrittrice senza bisogno di dovermi arrabattare in altri sedici progetti per volta. Sicuramente continuerò a fare rumore, che è la mia attitudine preferita che spero di non perdere mai.

Hai mai ricevuto feedback particolarmente toccante o significativo da parte dei lettori sui tuoi libri?

Ci sono stati molti momenti emozionanti negli ultimi anni, in seguito all’uscita dei miei libri, in particolare modo dopo la pubblicazione di Maledetta Sfortuna, che è un manuale per capire, riconoscere e combattere il fenomeno culturale della violenza maschile contro le donne.

Tante persone mi hanno confidato le loro storie, che ho accolto e accoglierò sempre con affetto, rispetto e cura. Tante altre mi hanno detto di aver capito di essere in una relazione abusante grazie al mio libro. Altre lo hanno stampato e affisso per le strade di Bologna.

Quel testo ha portato tanto amore e consapevolezza, non lo dimenticherò mai.

animali notturnipinterest
Cortesy Image
Animali notturni

Ti definiresti un' attivista per scelta o più per dovere?

Per entrambe le cose.

Sicuramente ho un privilegio: posso parlare dei miei temi senza paura di ritorsioni e senza mettere in pericolo me e le persone a me vicine, questo purtroppo non è scontato.

Ho deciso che avrei fatto il possibile per sensibilizzare su alcuni temi perché non volevo e tuttora non voglio che qualcuno si possa sentire come mi sono sentita io quando ho subito violenza: abbandonata, non creduta, isolata.

Avere un pubblico è un privilegio e spero davvero di poter insegnare qualcosa di buono, qualcosa di pratico, qualcosa che contribuisca a dare un segnale alla politica, che di prevenzione ed educazione in merito alla violenza di genere ha sempre fatto se non poco, nulla.

Cosa direbbe la Carlotta di 20 anni a quella di oggi e viceversa?

Alla me di vent’anni direi che tutto è temporaneo e di non provare in tutti i modi ad adattarsi alle cose che le vanno strette e scomode.

Lei mi direbbe che mi prendo troppo sul serio. Che tutta quest’ansia per essere riconosciuta come una scrittrice brava nel suo mestiere è una roba radical chic. E a noi i radical chic fanno schifo.

E ha ragione, ma non glielo diremo.

Se la tua essenza, quella più intima e personale, potesse materializzarsi in un' abito, come sarebbe e di quale designer?

Non sono aggiornatissima sulla moda contemporanea ma sono una grande amante del vintage. Ricordo con affetto le creazioni di inizio 2000 di Vivienne Westwood, con ampie spalle o maniche a sbuffo, gonne molto corte, strutture molto gotiche. Ne ritrovo qualcosa in The Vampire’s Wife, al secolo Susy Cave. Ma anche un bel completo da uomo, rigorosamente YSL, me lo vedo molto mio. Spigoloso e slanciato. Due visioni opposte, ma complementari.

Se dovessi scegliere come protagonista del tuo prossimo libro un designer, chi sarebbe e che tipo di romanzo sarebbe?

Sono affascinata dall’immaginario artistico e visuale di Alessandro Michele, che ha un gusto decadente che mi è irresistibile e da un cupo fascino erotico. Perfetto per il mio prossimo pulp.

In cosa bisogna essere veramente coraggiosi oggi?

Nel dissentire.

Lo stiamo vedendo molto bene: dai giovani attivisti e attiviste di Ultima Generazione e XR Italia alle manifestazioni in sostegno del popolo palestinese, dalle censure alle cariche della polizia, alle vendette ad personam, non manca mai occasione per punire chi dissente. E questo è tutto il contrario della definizione di democrazia.

Puoi dedicare una passo del tuo ultimo libro ai lettori di Harper Bazaar?

Dedicherei un pezzo del capitolo introduttivo, chiamato L’Odio, come il film di Kassovitz, perché spiega perfettamente la sensazione di vuoto e abbandono che abbiamo provato in quegli anni.

Era primavera, stavamo cadendo e lo sapevamo perfettamente.

Questa è la storia della caduta di una generazione. La mia generazione, chiamata millennial, che ha abita- to Milano – una città fatta di promesse non mantenute – nei primi anni del Duemila.

Questa è la storia della caduta di una generazione che ha fatto di tutto per arrivare incosciente al suolo, per ignorare di non avere piú futuro.

Questa è la storia della caduta, perché l’atterraggio non potrei scriverlo io.

L’atterraggio lo può raccontare solamente chi non c’ è piú.