Chi ha paura di Giacomo Matteotti? - thedotcultura

Chi ha paura di Giacomo Matteotti?

La figura del deputato socialista ucciso dai fascisti provoca ancora imbarazzi

Sono piccoli episodi, qualche volta ritrattati, a volte no, altre volte ancora spacciati, a torto o a ragione, come fraintendimenti. Eppure, l’impressione che si ricava, mentre si sta scivolando lentamente verso il 10 giugno che segnerà il passare dei cento anni dalla morte di Giacomo Matteotti, deputato del parlamento italiano, socialista, rapito e ucciso dai pretoriani di Mussolini a Roma, dopo un discorso intemerato che ancora oggi si cita, dopo un’esistenza votata al concreto riscatto delle classi subalterne, dopo aver subito, lui pacifista a oltranza, l’isolamento da parte dei suoi stessi compagni, l’impressione che si ricava, ripetiamo, è che un certo nervosismo, un certo disagio ancora serpeggi nel Paese rispetto a questo imprenditore socialista, pacifista, riformista.

Timore di cosa, ci si potrebbe chiedere. Lo dicono le belle pagine di due libri, uno di Stefano Caretti e Marzio Breda, “Il nemico di Mussolini. Giacomo Matteotti, storia di un eroe dimenticato” e l’altro, “Matteotti e Mussolini. Vite parallele. Dal socialismo al delitto politico” di Mimmo Franzinelli . Due libri che danno la dimensione dell’esistenza di Giacomo Matteotti sia nella vita privata, in particolare il volume di Caretti-Breda, che ne indaga la vita e le vicende prima di essere trasformato in un’icona dell’antifascismo, sia, per quanto riguarda il libro di Franzinelli, l’interessante accoppiata, tutta nata in seno al socialismo, dei due nemici giurati, Matteotti e Mussolini; socialista massimalista l’uno, socialista riformista l’altro. Una dialettica, se non uno scontro, che data da subito, dal primo conoscersi, per finire come sappiamo; non solo per Matteotti, ma anche per l’Italia e per l’illusoria democrazia dello stato liberale e monarchico.

L’ombra di Matteotti si allunga ancora sulla coscienza di un’Italia che si mostra torbida e infingarda, come nel remake di un vecchio film dell’Albertone nazionale, che mise allo specchio il Paese colluso e vigliacchetto dell’Italietta. Sì, perché i condomini che non vorrebbero la parola fascista nella targa commemorativa dell’omicidio Matteotti sulla facciata del palazzo dove viveva sul lungotevere, in quanto divisiva, anche se poi si scopre che potrebbe trattarsi di una bega di condominio e precedenze, i ritardi che hanno fatto temere per le risorse stanziate dal Parlamento per le cerimonie commemorative e infine l’ultima perla, il divieto del sindaco di un paese del padovano di far tenere la presentazione del libro di Franzinelli “Matteotti e Mussolini”, in quanto si tratterebbe di “contenuti informativi non neutrali” visto che siamo in campagna elettorale, sono tutti parte, a uno sguardo allargato, di un medesimo moto. Ovvero: Matteotti è figura scomoda, fastidiosa, o forse e meglio, turba ancora le coscienze. Di amici e nemici, si potrebbe aggiungere.

E allora, chi ha paura di Giacomo Matteotti? Ebbene, qualcosa di urticante emerge sin dal titolo del saggio Caretti-Breda, ovvero, Matteotti “dimenticato”. La definizione infatti sembrerebbe essere smentita ampiamente se non altro dalla toponomastica: qual è la città italiana che non vanti almeno una piazza Matteotti, un viale o via Matteotti, uno slargo Matteotti, e così via? … Probabilmente nessuna, in Italia. Eppure, Caretti dice il vero quando afferma che la potenza del mito che nacque subito dopo la sua uccisione , lì per lì politica (fu il primo vero rischio che corse Mussolini) ma soprattutto popolare, mise in ombra l’esistenza politica e sindacale di un grande riformista, che nel rovigotto, in zone per lui familiari ma segnate da fame e povertà, riuscì a mettere insieme cooperative di lavoratori occupandosi dei profili amministrativi, diventando consigliere comunale e mettendo in atto politiche attive, per quanto possibile visti i tempi, a favore dei più deboli nella scala sociale.

Un patrimonio di impegno ideale e concreto che venne dimenticato senz’altro dopo la fine che lo rese martire e simbolo di un’Italia che aveva detto no al fascismo. Se da un lato il libro di Caretti e Breda recupera anche lati meno noti dell’esistenza di Matteotti tornando a far brillare la sua capacità di di confrontarsi con la realtà concreta e allestire soluzioni politiche, il saggio di Franzinelli oltre a dare conto del contrappasso che porta Mussolini a dichiarare apertamente guerra a Matteotti, compagno di partito prima, poi, gettata la maschera, nemico temibile, mette in luce un lato che giustifica da un certo punto di vista anche l’imbarazzo che la figura di Matteotti ha provocato anche nell’ambito di una sinistra più “radicale”. Da mettere in conto, oltre al suo concreto riformismo e pacifismo che troverà ben poche sponde in tutti gli ambiti, fino a decretarne una solitudine quasi shakespiriana . Un altro aspetto, infine, emerge da entrambi i saggi, presentati nell’ambito della Fondazione Fratelli Rosselli, ovvero sotto l’invito di un’area ideale che ben si rapporta con le idee di Matteotti: la pericolosità per Mussolini dell’esponente del Psu non era solo per le idee politiche che professava e metteva in atto, ma per la sua implacabile precisione nel rilevare il deragliamento dell’azione fascista dal percorso della legalità e del sistema diremmo oggi costituzionale del vecchio stato liberale. Insomma la rivoluzione fascista era un colpo di stato volto a mettere in soffitta il vecchio stato liberale in cui qualche tutela era prevista. A dirlo, con la meticolosità e precisione propria del penalista qual egli era, Giacomo Matteotti,

Atti rivoluzionari, a ben vedere, forse ancora di più dei disperati scioperi delle pianure emiliane e romagnole, delle botte, degli arresti, delle disperate resistenze del bracciantato emiliano. Idee granitiche le sue, tradotte nel riformismo politico, che lo resero fin da subito incompatibile con Mussolini, che attirava le masse con i suoi modi teatrali e i roboanti discorsi. Eppure, quel padrone, quel ben nato, quell’avvocato di una delle provincie più povere d’Italia benché al Nord, spaventava la banda arrivata al governo. Franzinelli lo dice in modo chiaro, quando parla della sua capacità fredda e tagliente, di mettere in luce le irregolarità, i soprusi contro la legge, le infinite violazioni del diritto dello stato liberale di cui le camicie nere si rendevano protagoniste. Non era l’appassionata veemenza di altri leader dell’opposizione, non era neppure la critica politica a preoccupare gente avvezza a trattare il Parlamento come un’aula sorda e grigia, destinata a diventare bivacco di manipoli. Affatto, A turbare gli scherani e il gran capo erano le accuse lucide, circostanziate, competenti di Matteotti, forse come qualche storico ipotizza, la sua volontà di scoperchiare qualche scandalo in cui la stessa famiglia reale si ritrovasse coinvolta, ma forse neppure. Bastava il richiamo allo Stato e alle sue leggi a rendere nervosi il capo e la sua banda. Tanto nervosi, da volergli dare un avvertimento. Così nervosi, che chi lo eseguì, l’ordine, davanti alla fierissima resistenza di Matteotti, ci andò giù pesante e lo uccise. O forse, come si è teorizzato in seguito, lo scopo era proprio quello di eliminarlo senza esitazioni.

Dai due saggi presentati la settimana scorsa nella sede della Fondazione Rosselli a Firenze, al di là della complessità delle ricostruzioni e dei numerosi episodi e profili sorprendenti e non ancora indagati dell’esistenza e del pensiero di Giacomo Matteotti, emergono due riflessioni obbligate. Da un lato, l’Italia che si “accomoda”, quella che non vuole guardare in faccia ai regimi e chiamarli col loro nome, ancora lo teme, perché la costringe a prendere posizione e straccia gli alibi di chi vorrebbe non essere coinvolto e rimanere spettatore della storia; dall’altro, riprendendo le parole di Valdo Spini, presidente della Fondazione Rosselli, “sottolineare il centenario dell’omicidio di Matteotti in questi tempi è fondamentale”, in quanto è l’esempio di un politico con ” ideali e valori radicali, metodologia riformista”. Questo è Matteotti. E in estrema sintesi, questo fa ancora paura.

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