Senso della vita e zavorre esistenziali: esce "Ponti sull'abisso" di Caracci - Affaritaliani.it
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Senso della vita e zavorre esistenziali: esce "Ponti sull'abisso" di Caracci

Ponti sull'abisso, la domanda di senso nell’epoca della zavorra triste di Roberto Caracci. Intervista all'autore 

In un’epoca in cui la domanda di un senso globale della vita sembra svanire in un’obsolescenza irreversibile, dietro la proliferazione degli scopi da inseguire e dei nuovi bisogni da soddisfare nell’era del consumo e della tecnologia onnipervasiva, ecco nell´esorcismo dell'horror vacui tanto temuto dal'Occidente, fra gli s´individuo ricorrere a salvagenti e zavorre esistenziali che lo aiutino nella saturazione dell'abissale vuoto di prospettiva radicale spettri del tempo e della morte. 

E’ la coltivazione delle spinoziane passioni tristi, che neutralizzano la vertigine dei ponti sull’abisso, a cui rimanere aggrappati senza guardare nel fondo dell’esistenza, sospesi come trapezisti e funamboli del pensiero e delle emozioni effimere. Roberto Caracci, con una analisi icastica che prosegue la serrata diagnosi nietzschiana delle Maschere del Senso, nel libro "Ponti sull'abisso", offre al lettore un affresco dove la domanda di senso campeggia ancora sovrana sull’insensatezza del mondo, e la cui esigenza rimossa filtra nella ricchezza della dimensione narrativa, la sola salvifica, capace di raccontare, accompagnare l’io spaesato e dare trama all’esistenza, comunque essa proceda, tra senso e non senso.

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Ponti sull'abisso, intervista all'autore Roberto Caracci 

Roberto Caracci, lei è narratore (il suo ultimo romanzo è Le crepe del Paradiso del 2021)- e si occupa anche di filosofia. Ora, dopo il noto volume filosofico Le maschere del senso del 2015, esce questo libro dal titolo profondo e particolare, Ponti sull’abisso. Che cosa intende lei per abisso e a quali ponti allude?

L’abisso è per noi uomini dell’Occidente il luogo senza fondamento che si apre alla domanda di Senso, ciò che una volta chiamavamo semplicemente il Senso della Vita, ultimo, radicale, estremo, al di là degli scopi, degli obiettivi, delle mete relative e non finali dell’esistenza. Oggi quella domanda appare obsoleta, vintage. Eppure ogni tanto, nelle varie epoche della vita, essa appare e ritorna come un rimosso.

E i ponti? Come quelli vertiginosi e pericolanti sull’inquieto mare che appaiono nel quadro-copertina di Nicola Perucca?

I ponti sono le vie, sopraelevate sull’abisso, che ci permettono di scavalcare o rimuovere la stessa domanda senso, ingannandola con leopardiane illusioni o rimuovendola dentro di noi con il pascaliano di-vertissment di impegni finalizzati solo alla distrazione.

Sono queste le zavorre tristi citate nel sottotitolo? Lei usa, provocatoriamente credo, un termine raro in filosofia.

Le zavorre tristi sono il controcanto moderno delle spinoziane ‘passioni tristi’, evocate da un celebre libro francese di una ventina d’anni fa. Le zavorre sono tutti quei pesi e contrappesi, escamotage esistenziali e sotterfugi teorici, passionali, morali, religiosi e pratici, che ci permettono di non lasciarci risucchiare dall’angoscia della libertà, del vuoto, dello stesso silenzio. Come se noi tutti, inavvertitamente, avessimo bisogno di rumore per coprire il silenzio, neutralizzare il vuoto che sottende a ogni esperienza. Il vuoto resta il nemico.

D’altra parte, però, come traluce dalla bella copertina, gli equilibristi sui ponti che provano a tenersi in bilico senza scivolare proprio grazie a strani bilancieri forniti di pesi….sembrano reggere pesi-lanterna, quasi dovessero farsi aiutare anche da piccole luci nella notte.

E’ proprio così. La scommessa di questi trapezisti dell’anima inquieta è proprio che le zavorre siano illuminate, che rischiarino nella notte una qualche traccia vera di senso, come faceva il cinico Diogene uscendo persino di giorno nell’antica Atene con la lanterna, e dicendo di cercare l’uomo.

Secondo lei, perché la domanda di Senso Radicale, come lo definisce, non trova più consenso?

Ecco, consenso è la parola giusta. Il consenso è il tramonto del senso, o della sua domanda, che ha un’origine insieme universale e soggettiva. Si può dire che quando nella modernità anche il senso si storicizza, diventa storia, tempo e divenire, rischia di perdere la sua natura cosmica di domanda abissale, che passa attraverso le esperienze e i valori di sempre della vita umana, da quando l’uomo è apparso sulla terra. Lo stupore dell’uomo primitivo, ancora prima del linguaggio, quello che attraversa l’origine, il tempo, la morte, resta lo stesso del bambino e del vecchio di oggi, al di là della storia. La domanda di senso ultimo nasce con l’uomo, ma lo trascende, anche perché l’uomo non ha il senso, lo desidera in quanto non lo possiede. E neanche è capace di produrlo da zero. Probabilmente lo è, senza saperlo. C’è qualcosa di enormemente più grande di noi, di cui noi facciamo parte, ancora prima delle semplificazioni mitologiche e religiose, e la domanda di senso rimossa nasconde quella scintilla che ci avvinghia alla trascendenza.

C’è un questo libro radicale e caparbio, che espande le tematiche già affrontate nelle Maschere del Senso, una luce, una speranza, una via d’uscita dal rischio dell’abisso e della sua rimozione? C’è un ponte che scavalca tutti gli altri, sbilenchi e pericolanti, e ci conduce a una qualche salvezza?

Salvezza è una parola umana, troppo umana, direbbe Nietzsche, attorno a cui è nata la stessa filosofia dai primordi. Io più che un filosofo resto un narratore, e come esiste una poesia pensante, esiste una prosa pensante come quelle dei miei Ponti, o uno sviluppo del pensiero che passa attraverso la sua narrazione. Di salvifico in questo libro c’è il linguaggio, la narrazione, il racconto comunque esso si diriga. Il racconto scava il sentiero della ricerca, scava le strade dei sensi possibili. E’ la parola, soprattutto quella della narrazione, che ci fa sentire vivi e in viaggio. Il viaggio della vita va raccontato, a sé e agli altri, allo specchio dell’anima che ci riflette e a chi ci ascolta e ci ama. I veri ponti, i più arrischiati come direbbe Rilke ma i più paradossalmente stabili, sono quelli della parola, del racconto, della bellezza, della metafora. Proprio come metafora il linguaggio ci porta oltre, e se non coglie nel segno della vita, almeno trasforma la vita in segno, in cifra, in traccia di qualcosa che ci abbraccia e si fa illuminare, anche se debolmente, dalla straordinaria lanterna delle parole.

Chi è Roberto Caracci 

Roberto Caracci vive a Milano. Ha pubblicato tra le opere di narrativa: L’ingorgo, Rebellato 1984, Le radici del silenzio, Ati 2007, La cella della dea. Piccolo altare per una madre Moretti&Vitali 2018 Preludi&Deliri, Pentagora 2020, Le crepe del paradiso. Eclissi di un’infanzia Moretti&Vitali 2021 (Premio Città di Sarzana, 2022). Di critica letteraria: Epifanie del quotidiano: Veli e bagliori nella poesia italiana contemporanea Moretti&Vitali. 2010. Di satira politica: Il Ruggito del Grillo. Cronaca semiseria del comico tribuno Moretti&Vitali 2013. Di filosofia: Le maschere del senso. Come inganniamo il tempo, la morte, lo stupore di esistere, Moretti&Vitali 2015 e infine Ponti sull’abisso. La domanda di senso nell’epoca della zavorra triste, Moretti&Vitali 2024. Dirige dal 1992 il Salotto Caracci, cenacolo letterario-filosofico a Milano.

Infine, da segnare in agenda martedì 21 maggio, quando alla libreria popolare di via Tadino 18 a Milano, dalle ore 18, G. Comolli e M. Biecher dialogheranno con Roberto Caracci sul libro "Ponti sull'abisso". 






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