Il tatuatore di Auschwitz, recensione: quando l’amore sboccia all’inferno

di Stefano Di Maria

L’amore può sbocciare anche nel peggiore degli inferni, ridando vita e speranza a chi la speranza di vivere l’ha ormai persa. E’ il messaggio della nuova miniserie Sky Original IL TATUATORE DI AUSCHWITZ, disponibile su Sky Atlantic ogni venerdì con due episodi e in streaming solo su Now, che narra di un amore nato nel più oscuro dei luoghi e in uno dei momenti più bui della storia: il campo di concentramento dove morirono un milione di ebrei durante l’Olocausto. Diretto da Tali Shalom-Ezer e prodotto da Claire Mundell, lo show è tratto dal bestseller internazionale di Heather Morris.

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IL TATUATORE DI AUSCHWITZ – LA TRAMA

La miniserie in sei episodi è la storia di un uomo, Lali (Jonah Hauer-King), ebreo slovacco, che nel 1942 viene deportato ad Auschwitz, il campo di concentramento dove oltre un milione di ebrei furono uccisi durante l’Olocausto. Poco dopo l’arrivo, Lali diventa uno dei iätowierer (tatuatori), incaricato di marchiare i compagni di prigionia con i numeri di identificazione. Un giorno incontra Gita (Hanna Próchniak), una ragazza appena arrivata nel campo di concentramento, e se ne innamora all’istante. Inizia così una storia coraggiosa e indimenticabile. Sotto costante sorveglianza da parte di un instabile ufficiale nazista delle SS, Stefan Baretzki (Jonas Nay), Lali e Gita sono determinati a mantenersi in vita a vicenda.

Circa 60 anni dopo, Lali (Harvey Keitel), ormai ottantenne, incontra l’aspirante scrittrice Heather Morris (Melanie Lynskey). Rimasto vedovo da poco, trova il coraggio di raccontare al mondo la sua storia. Raccontando il suo passato a Heather, Lali finalmente affronta i fantasmi traumatici della sua gioventù e rivive i suoi ricordi di un amore nato nel peggiore dei luoghi possibili.

IL TATUATORE DI AUSCHWITZ – LA RECENSIONE

Certo la prospettiva è diversa rispetto alla classica narrazione dell’orrore dei campi di concentramento nazisti, il racconto di una storia d’amore nell’inferno di Auschwitz, ma resta centrale il contesto in cui si svolge: le brutalità dei tedeschi, che fanno di tutto per togliere dignità agli ebrei fra soprusi, violenze e atti di puro sadismo. Mentre assistiamo a questo male dilagante fra baracche e campi di lavoro, la storia di Lali e Gita diventa quasi secondaria, come se restasse sullo sfondo per gran parte degli episodi: è paradossale, dal momento che tutto parte proprio da quell’incontro che fa nascere l’amore, eppure è inevitabile di fronte a una ricostruzione storica che conduce lo spettatore dentro l’orrore, con un angoscioso coinvolgimento emotivo di fronte alle atrocità cui assiste. A influire sono anche le emozionanti colonne sonore firmate dal pluripremiato Hans Zimmer e da Kara Talve (non è da meno il brano sui titoli di coda, “Love will survive”, interpretato da Barbra Streisand).

Jacquelin Perske sceneggiatrice principale, insieme coi co-sceneggiatori Evan Placey e Gabbie Asher, hanno creato una scrittura che, con un buon approfondimento psicologico dei personaggi, traspone perfettamente sul piccolo schermo gli avvenimenti del libro di Heather Morris: sempre in equilibrio fra il presente del protagonista Lale, che da anziano tormentato dai fantasmi del passato racconta alla scrittrice la sua storia, e i flashback dei traumi subiti ma anche dei sensi di colpa che si porta dietro. Ne esce una serie quasi perfetta, a cui si possono perdonare le scivolate nel romanticismo troppo marcato durante gli incontri fra Lale e Gita.

IL TATUATORE DI AUSCHWITZ forse porta poco di nuovo nel panorama dei racconti dell’Olocausto, ma la qualità di produzione, il cast, la fotografia e la sapiente regia di Tali Shalom-Ezer ne fanno una miniserie dal grande impatto emotivo, che a modo suo lascia un segno indelebile sulla rappresentazione del più terribile sterminio della storia dell’umanità.

GIUDIZIO: 4 su 5

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