L'Italia ce la potrà fare? È questa la domanda che ci si pone dopo la lettura di "Vuoto a perdere" - Basilicata24

L’Italia ce la potrà fare? È questa la domanda che ci si pone dopo la lettura di “Vuoto a perdere”

Riflessioni sul nuovo saggio di Marco Esposito

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Di seguito la recensione di Emma Tarulli, al libro di Marco Esposito “Vuoto a perdere”.

L’Italia ce la potrà fare? È questa la domanda che sale subito alle labbra dopo la lettura di Vuoto a perdere – Il collasso demografico. Come invertire la rotta – Rubbettino Editore 2024 con prefazione di Gian Carlo Blangiardo scritto da Marco Esposito, noto giornalista del Mattino di Napoli nonché saggista.

Il testo dal titolo sembrerebbe una provocazione, ma è invece una attenta e profonda riflessione sullo scenario Italia e, soprattutto, sulle sorti assai incerte del futuro del nostro Mezzogiorno partendo dall’argomento centrale che è il collasso demografico. Lo scrittore, meridionalista di penna e di fatto, uno dei più autentici di questi decenni, è tenace ed infaticabile nel seguire passo dopo passo il cammino troppo accidentato di questa parte del Bel Paese, il Mezzogiorno, che porta i segni indelebili della sua traumatica storia centenaria.

Marco Esposito non è nuovo a questo tipo di saggio. È del 2013 il suo Separiamoci (sottotitolo: il Sud può fare da sé) ed. Magenes, anch’esso giudicato da qualche lettore attento “una intelligentissima e costruttiva provocazione” (in copertina il tricolore tagliato da una forbice!), che tuttavia è sempre uno sguardo drammaticamente realistico sulla condizione di una terra a cui converrebbe separarsi dal resto di Italia (il nuovo nome Mediterranea ne segnerebbe l’inizio).

L’alternativa alla separazione sarebbe la nascita di uno Stato rifondato in cui tutti gli italiani abbiano parità di diritti e condizioni civili di vita. Può essere un sogno? Intanto parliamone, sembra essere l’invito dell’autore. In realtà Marco Esposito con i suoi libri inchiesta vuole denunciare soprattutto le distorsioni ai danni del Meridione, e spingere la politica a correggerle, a volte riuscendoci (come nel caso noto di Zero al Sud , altro libro inchiesta, che portò a interventi correttivi sul numero degli asili nido).

IL COLLASSO DEMOGRAFICO Vuoto a perdere può essere definito un libro inchiesta che si muove, come detto, attorno ad un’unica tematica, il collasso demografico, che ha estrema importanza per il futuro dell’umanità, ma principalmente per il futuro e la sopravvivenza del Paese Italia, Mezzogiorno incluso (cioè il Vuoto a Perdere). Tematica mondiale, pari per importanza, a mio avviso, all’altra, similmente inquietante, del cambiamento climatico. Essa infatti investe tutti i Paesi del globo, con la sola eccezione di alcuni Paesi dell’Africa dove la fecondità è ancora alta.

Nell’affrontare l’argomento la prima cosa che, a sorpresa, emerge in negativo è “il caso Italia”. L’Italia, cioè, si rivela essere un’eccezione a livello mondiale per la sorprendente accelerazione del fenomeno. La popolazione, in un tempo brevissimo (mezzo secolo), si è assottigliata in modo impressionante: “da 1.035.207 nati nel 1964 a 657.278 nel 1980 fino a 393.333 nel 2022, con un trend da 100 a 38 che non può lasciare indifferenti “

Ancora più impressionante è quello che è accaduto al Sud, storico presidio dell’alta natalità e fecondità, nello stesso lasso di tempo: “I nati nel Mezzogiorno si sono contratti in modo ancora più brusco e sorprendente data la tradizionale maggiore fecondità: da 436.558 del 1964 a 141.393 del 2022 con un trend da 100 a 32” Viviamo dunque in pieno collasso demografico da alcuni decenni. L’anno 1980 fu il primo anno dopo l’Unità di Italia in cui “le culle sono andate al di sotto della “soglia di Caporetto “(1917) la più bassa natalità in assoluto. Tuttavia, quello che più inquieta è che il Paese Italia mostra di non avere la giusta consapevolezza di quello che tra qualche decennio – cioè a breve – potrà rivelarsi come un disastro annunciato. Lo stesso demografo Gian Carlo Blangiardo, nella prefazione al volume, parla di “decenni di latitanza di fronte all’inarrestabile avanzare di quello che èdi moda chiamare «inverno demografico». Non un dibattito nazionale aperto, non uno studio sistematico del problema, non un’azione di divulgazione conoscitiva da parte dei canali di informazione.

Perché? Come è potuto accadere tutto ciò? A cosa è dovuta tanta inerzia? L’Autore si pone ripetutamente la domanda, quasi a voler sconfiggere lo stato di incredulità in cui cade chi scrive e chi legge. E intorno a questo “perché “ prende corpo l’approccio meridionalista dell’autore che il torinese Blangiardo non può fare a meno di rilevare quando dice : “ Al centro di tutto c’è però – talvolta in ombra e talaltra in primo piano – il grande tema del Mezzogiorno: la sua storia, le sue criticità, le sue rivendicazioni, le opere e le omissioni succedutesi negli anni” e come “ quell’altra metà dell’Italia,” sia in realtà “ la grande protagonista – e forse anche la vera ispiratrice – di questo volume di riflessioni sull’incombente Vuoto a perdere.”

I giovani del Sud guardando al loro futuro si pongono una sola domanda: “dove andrò?” Ciò la dice lunga sulla percezione che essi hanno della propria terra, come di un luogo in cui è inutile vivere perché privo di ciò che serve loro per un dignitoso futuro di crescita personale; esso è appunto vissuto come un “vuoto a perdere”. Tuttavia la diaspora giovanile dal Meridione non è avvenuta a caso. Dice l’Autore: “Svuotare il Sud è stata la risposta italiana, tanto istintiva quanto errata, al declino demografico nazionale.” Una affermazione che rimanda a complesse implicazioni di ordine politico, sociale, economico ed anche culturale.

Indicazioni chiare, in alcune regioni, di decessi che superavano le nascite c’erano state nel 1972, poi nel 1980 altri segnali forti. Ma passarono inosservati perché il tema della natalità in Italia poggiava su una incrollabile certezza: la fecondità del Sud. Si poteva dormire sugli allori perché il Sud prolifico (e arretrato, cioè l’Africa del Paese) avrebbe continuato a riempire le fabbriche del Nord, per poi assicurare anche abbondanza di numeri alle università e poi ancora, come è accaduto nelle più recenti ondate migratorie, fornire schiere di professionisti, medici, ingegneri, bancari e ancora insegnanti, magistrati, poliziotti ecc. in pratica tutto ciò che torna utile alla prosperità di un territorio.

Questa è la situazione ben nota a tutti, che ha chiaramente una matrice nord-centrica. Il Sud serve al Nord, il Sud è funzionale alla crescita del Paese in termini di risorse innanzitutto umane. Il problema denatalità è stato quindi reso invisibile a lungo (malgrado la gravità fosse già palese) da una sorta di visione politico -sociale e culturale piuttosto strabica e dunque errata. Spostare i giovani da Sud a Nord infatti non può essere il toccasana per la stabilità economico-sociale del Paese, ciò crea piuttosto al contrario i presupposti per generare insidie e squilibri.

Quando, dopo gli anni novanta il sistema “ad incastro” così congegnato cominciò a dare segni di cedimento, era già tardi. Nel 2006 il Sud registrò il suo collasso demografico e la denatalità diventò la peggiore della penisola. La fecondità del Sud era ormai una leggenda del passato. Giungendo ad oggi, anno 2024, quale è il ritratto che facciamo della situazione del Paese? Un Sud sempre più allo sbando, perché vuoto delle sue risorse migliori, sempre più  solo, perché inchiodato alla sua inalienabile condizione di marginalità e sempre più povero, perché incapace di progettare il proprio futuro (un portato della condizione di subalternità). Un Nord che regge la propria prosperità grazie a tutte le risorse, soprattutto umane, acquisite negli anni ma che tuttavia ha uno stato di salute solo apparente. Il mondo lavorativo manda segnali di scricchiolii, con un mercato del lavoro che non agevola condizioni di vita ottimistiche ed incoraggianti: precarietà, inflazione, salari scarsi che non possono competere con il costo della vita… I giovani, delusi ed in affanno, sono chiaramente ben lontani dal sorreggere il trend della natalità dei loro padri tanto al Sud quanto al Nord. D’altro canto, i flussi migratori interni sono destinati a finire oppure a rallentare per una sorta di consunzione (al Sud i giovani sono sempre meno). Tutto ciò basta per rivelare la estrema precarietà e debolezza su cui il sistema Paese è appoggiato.

Allora, anziché puntare il cannocchiale su quello che accadrà tra 50 anni, occorrerebbe, partendo dai segnali presenti abbastanza netti, autoproclamarsi in emergenza, come Paese, già dai prossimi lustri. “Cosa dovremmo fare oggigiorno? Se finalmente avessimo la seria intenzione di iniziare a fare.” Se lo chiede anche Blangiardo.

Il nostro Vuoto a perdere come libro inchiesta muove il suo sguardo sul pianeta terra, tenendo ben fissi gli occhi sulla particella Italia e ben piantati i piedi al Sud, terra dei sogni (dove si trova Napoli, città del cuore). “…la formula di un’inchiesta è sempre la stessa: porsi domande e cercare fatti che permettano al lettore di farsi un’opinione e magari suggeriscano al decisore politico risposte sensate”, precisa l’Autore. Dunque il testo, perlustrando gli avvenimenti ed i percorsi, da quelli storici a quelli politici e istituzionali a quelli formativi, affronta tutta una serie di questioni aperte che, mantenendo al centro il problema cardine del collasso demografico, si interconnettono tra loro in modo conseguenziale.

Per dimostrare la sua tesi l’Autore ricorre, per pagine e pagine, ad un lungo e minuzioso utilizzo di numeri, dati, dati statistici tanto dettagliati e difficili da seguire quanto esaustivi nella dimostrazione di quello che egli vuole affermare. Lo stile è sempre accattivante e discorsivo, tratta contenuti caldi e impegnativi porgendoli con un linguaggio chiaro, a tratti confidenziale, come volesse farli conoscere anche al fruttivendolo sotto casa. Cosa pregevole. Affiora anche qua e là una propensione a sottolineare con velata ironia le tante e vistose contraddizioni in cui si muove la macchina Italia. Ciò per cui la lettura diventa anche godibile e stimolante per chi legge.

La parte centrale del saggio è dedicata a sciogliere i nodi della annosa Questione Meridionale (la Semicolonia tacitamente accettata a tutti i livelli, istituzionali e non; i pregiudizi che sostengono la tesi del suo mantenimento – l’ incapacità endemica ad amministrare, la fannulloneria congenita (echi di lombrosiana memoria); l’origine storica del divario – prima politico, poi, dal 1860, economico; la rimozione – cioè la denatalità come no problem; la resa del PNRR – la progettazione pensata su un elemento dato per certo che l’emigrazione dal Sud sia un fatto immutabile; la questione ( incredibile!) degli asili nido – l’ utilizzo del tasso storico che lascia il Sud in un perenne stato di bisogno; e per finire le mani nel Salvadanaio, vale a dire l’Autonomia Differenziata, ultimo atto il cui scenario è tuttora aperto). E tuttavia è proprio dal disegno della Autonomia Differenziata e dal salario differenziato che potrebbe partire il colpo definitivo allo svuotamento del Sud. Essi si preannunciano come strumenti potentemente attrattivi per quei meridionali che sono alla ricerca di un lavoro o di una sistemazione di vita.

Il risultato è come il concavo e il convesso di una lente: il rallentamento dell’incipiente decremento demografico del Nord coincide con il completamento del collasso del Mezzogiorno. L’analisi si fa via via più interessante quando acquista ampiezza culturale. La decrescita della natalità non deriva necessariamente dalle ristrettezze economiche (“i soldi non danno la fecondità”) ma anche da fattori cosiddetti immateriali. Ciò a conferma che le motivazioni della denatalità sono tutt’altro che banali. Essi sono, ad esempio, il nodo della genitorialità, il desiderio di avere figli sia nella donna che nel maschio, il rinvio e poi la rinuncia alla genitorialità come scelta di vivere più felicemente la vita, la disparità di genere declinata al maschile con il fenomeno (mondiale) delle donne laureate che superano di gran lunga di numero i maschi, la deriva del maschio e l’indice Neet riferito al maschile. Conclude l’Autore: “i divari culturali tra i sessi fanno male alla natalità”, e aggiunge poi: “la risposta alla denatalità deve arrivare in prima battuta dai maschi”, evidenziando la necessità di una maggiore responsabilità da parte maschile nella scelta della procreazione, nella coppia e nella sua impostazione solida e funzionale. Tema di complesso spessore quanto di estrema attualità. Ma in Italia è un caso che la maggioranza dei trentenni vive ancora a casa dei genitori? Domanda che invita a riflessioni ulteriori e a trovare risposte adeguate.

E poi l’altro grande problema è la questione dei flussi migratori dall’esterno. Certo, l’arrivo degli stranieri va ad equilibrare alquanto l’inarrestabile calo di popolazione italiana. È un dato di fatto, malgrado serpeggi il timore della sostituzione etnica insinuato da forze politiche che ne hanno cavalcato le paure. Così come è pregiudizievole ritenere che l’utilità del flusso migratorio sia circoscritta alla capacità di esimere gli italiani dal fare i lavori più umili. Ciò che serve invece oggi è una nuova visione della questione emigrazione, una prospettiva etico#culturale che collochi il tutto nella cornice del cambiamento e dell’apertura alle spinte del futuro.

COME INVERTIRE LA ROTTA La seconda parte del libro è la pars construens, cioè è quella che raccoglie tutti gli spunti sparsi e li convoglia in un quadro costruttivo dal respiro ampio ed anche suggestivo, da cui prende forma una visione di Italia che è quella che ciascuno di noi intimamente sogna: il Belpaese, di nome e di fatto, in cui vogliamo vivere nel rispetto del principio di giustizia e di equità, fonti di ogni pacificazione sociale e civile, nella cooperazione per il bene comune e il benessere della nazione, nel godimento dei propri diritti di cittadinanza affermati nella Costituzione Repubblicana, baluardo della nostra democrazia. Nel configurare gli interventi per correggere la rotta, l’approccio si dilata dunque su più fronti e in più Azioni Parallele con un taglio squisitamente culturale. L’Autore si configura un Paese che, da “caso Italia” sotto i riflettori del mondo, si trasforma in un Laboratorio in cui prende forma il futuro della vita nazionale, divenendone modello. Utopistico o semplicemente ottimistico che sia, giova ricordare come, lungo il corso della storia, l’Italia abbia dato modo di “stupire il mondo” in tanti ambiti, malgrado tuttavia non sempre in senso positivo.

Ecco in sintesi la traccia di un Paese rinnovato. L’immigrazione. Non si tratta di aprire le frontiere indiscriminatamente. Essa va controllata e programmata con alcuni parametri che vanno a comporre la società del futuro: “…l’immigrazione ideale è quella di giovani studenti universitari, con parità di genere in ciascuna comunità, modelli culturali aperti e localizzazione diffusa sul territorio” sintetizza l’Autore. Ripensare la integrazione degli stranieri in Italia con parametri nuovi (es. borse di studio per l’università, accordi internazionali ed intese con i Paesi di provenienza) porterebbe solo che giovamento al nostro Paese anche e soprattutto sul piano dell’incremento demografico. E poi l’integrazione etica, che è l’opposto della paventata sostituzione etnica. Essa si fonda sui valori dell’accoglienza e del rispetto della persona, che trovano le radici nella cultura umanistica della nostra civiltà.

La riforma pensionistica. Occorre riscrivere il patto tra le generazioni. Un nuovo sistema pensionistico che favorisca tanto chi esce dal lavoro quanto chi entra. Regole chiare e trasparenti come: età pensionabile, possibilità di part time e di part pensione, una pensione conquistata con i contributi versati ma anche, se possibile, con il contributo demografico in base al numero dei nipoti. Una vera rivoluzione!

Un monitoraggio della natalità. La natalità come fatto nazionale ha bisogno di un Monitoraggio ad hoc, continuo, costante e l’Istat ha tutte le carte in regola per impostarlo e condurlo al fine di fornire a chi decide le sorti del Paese l’aiuto necessario per gli interventi mirati.  Il Sud decolonizzato e con una sua Rai. E’ questa la chiave di volta della maggior parte dei problemi italiani. “Decolonizzare il Sud significa portare ovunque il meglio di cui è capace l’Italia: binari, asili nido, centri di cura e di ricerca, ovviamente “: spiega l’Autore. In una sola frase: fare investimenti al Sud! E non più vista come proposta stravagante. Immaginiamoci ad esempio un Sud con una sua Rai per “raccontare e raccontarsi”. Quale migliore occasione per allontanarlo dal silenzio in cui vive da decenni?

Il riequilibrio tra i sessi. Occorre una crescita culturale di entrambi i generi. La emancipazione della donna ha bisogno di essere completata con un “maschio ritrovato”. Senza parità si generano solo e sempre squilibri e tanto più nella coppia. Il ruolo decisivo in questo è della formazione e della scuola, oltre che della politica.

Nota critica. Il messaggio ricorrente nel saggio è: “fare presto”. E’ rivolto naturalmente agli organi istituzionali interessati alla predisposizione dei piani di interventi per il Paese. Dalla lunga disamina effettuata appare che l’emergenza natalità è già presente oggi in tutta la sua gravità. Il 2032 sarebbe l’anno decisivo per il cambiamento di rotta che dovrebbe prendere la direzione voluta entro il 2040. Fuori da queste date si profila l’imponderabile. “O cambiano le parole d’ordine subito, oppure sulla denatalità dell’Italia Elon Musk scriverà soltanto: «I said it». «Lo avevo detto» dice l’Autore. La domanda che ha dato il titolo al presente lavoro di recensione del saggio – l’Italia ce la potrà fare? – si ripropone dunque intatta. Non resta che sperare che questo importante saggio, così attuale, utile ed incisivo, si trasformi in un potente detonatore che possa accendere un grande riflettore su quell’ “interesse delle future generazioni” dell’art. 9 della nostra Costituzione visto come diritto non solo in materia di ambiente, ma come rispetto della garanzia della sostenibilità e della tutela dei diritti inalienabili anche di ciascun cittadino che vivrà nel futuro di questo Paese. Emma Tarulli, docente e Responsabile Promozione Culturale ARPSESS Roma

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