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Roberto Minervini, italiano di nascita e americano d’adozione, con i suoi documentari ha raccontato un pezzo sommerso dell’America. Stop The Pounding Heart e Louisiana in particolare sono film guardando i quali non si è certi se sia un documentario o un’opera di finzione con attori presi dalla strada. La verità è che non solo sono documentari ma che nessuno potrebbe mettere in scena o inventare quello che viene ripreso in quei film: umanità ai margini, persone che si schiudono davanti alle videocamere con un’ingenuità commovente e storie eccezionali. È il servizio migliore che si possa fare a quelle comunità o quelle persone, mostrare a tutti che solo riprendendoli, senza scrivergli nulla, possono avere la statura del grande cinema.

Ora, dopo aver cambiato molte delle regole dei documentari e aver allargato la definizione di quello che di solito consideriamo essere un documentario, Minervini ha girato un film di finzione. E non sorprende che sembri un documentario! Ospitato a Cannes nella sezione Un Certain Regard I dannati è già in sala in Italia. È ambientato nel 1862 e i personaggi sono un piccolo plotone della guerra di secessione, sperduto, in marcia per non si sa dove nel Montana. Non si sa proprio niente, nemmeno i loro nomi. Non esiste una vera trama, li incontriamo che sono in marcia e li lasciamo che continuano la marcia. Nei 90 minuti del film vediamo scene ordinarie della loro vita sotto le armi e, a un certo punto, un agguato con sparatoria (molto ben ripreso). Tutto senza alcun fascino da cinema ma con una crudezza che si avvicina alla vita reale.

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courtesy of Lucky Red

L’idea è eccezionale, ovviamente: ricreare un’aria da documentario ma nel 1862. L’esito non sempre a livello, perché il cuore del film sono le conversazioni tra questi soldati che parlano di massimi sistemi, di piccole paure o convinzioni, ma lo fanno palesemente con l’aria dell’uomo moderno. Non sono attori, almeno non lo sembrano, hanno volti che non sono propriamente quelli degli attori (e questo è bene) ma sono palesemente quelli delle vere persone. Alcuni sono anche le stesse persone che Minervini ha ripreso in Stop The Pounding Heart. Il feeling è però sempre quello della mascherata, perché la credibilità d’epoca non è centrata.

È un problema di scrittura, o almeno di quello che possiamo definire scrittura, perché non è chiaro vedendo il film se si tratti di improvvisazioni, battute scritte, battute concordate all’ultimo o dialoghi spontanei. Il problema è che se i temi sono cocenti e eterni (buoni oggi come nel 1862) le conversazioni paiono casuali, cioè non rivelano granché né sui personaggi né sul mondo in cui vivono o la loro condizione. Non esce molto da ciò che dicono. Il punto, sembra di capire, è più la creazione di un feeling generale. Com’è vivere nella guerra di secessione, in marcia nella neve con il nemico invisibile che può sparare in ogni momento? Com’è sentirsi un uomo di quell’epoca, in un’America divisa (come oggi), che si interroga sul senso della propria vita?

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courtesy of Lucky Red

È la guerra come la intende La sottile linea rossa, ma senza niente di quella costruzione spettacolare o di quella speculazione filosofica o anche dell’ammirazione naturalista, anzi con tutto di autentico e non ripulito. L’impressione di realtà è molto più importante del realismo effettivo qui. Almeno per il film. Per gli spettatori forse meno. Le conversazioni di oggi nella bocca di uomini dell’800 non riescono mai a farsi appassionanti. Ed è incredibile perché non è quello che accadeva nei documentari migliori di Minervini, in cui conversazioni ugualmente ordinarie, erano montate, riprese e messe insieme in modi che le rendevano, se non significative, almeno rivelatorie.

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I dannati non rivela nulla invece. E quando alla fine compare il titolo, mentre lasciamo i personaggi come li abbiamo trovati, nelle terre disperse del Montana, a rischio della vita nell’indifferenza più totale della natura, non è difficile capire il senso dell’operazione. Proprio grazie a quel titolo: sono dei dannati che vagano in attesa della morte. Tutto sensatissimo sulla carta. Meno nel film.

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        Gabriele Niola

        Nasce a Roma nel 1981, fatica a vivere fino a che non inizia a fare il critico nell'epoca d'oro dei blog. Inizia a lavorare pagato sul finire degli anni '00 e alterna critica a giornalismo da freelance per diverse testate. Dal 2009 al 2012 è stato selezionatore della sezione Extra della Festa del cinema di Roma, poi programmatore e per un anno anche co-direttore del Festival di Taormina. Dal 2015 è corrispondente dall'Italia per la testata britannica Screen International.  È docente del master di critica giornalistica dell'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico, ha pubblicato con UTET un libro intervista a Gabriele Muccino intitolato La vita addosso e con Bietti un pamphlet dal titolo "Odio il cinema italiano". Vanta innumerevoli minacce da alcuni dei più titolati registi italiani.     
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