Barbie, il potere di un’icona che non smette di sorprendere

Tra mostre, strategie di marketing, film e dubbi sulla sua immagine - icona antifemminista o di inclusione? - ora Barbie viene raccontata in un libro scritto dallo storico dell'arte Massimiliano Capella

Lo storico dell’arte e della moda Massimiliano Capella attraversa in un libro illustrato la storia, i segreti e le evoluzioni di Barbie, l’icona pop tra le più famose del mondo. Cinque sezione e una timeline davvero aggiornata (1959-2024) ne raccontano il fascino che – compreso o meno – ha influenzato intere generazioni, rendendosi strumento ed immagine sociale, incredibilmente partecipe della storia e dei suoi cambiamenti.

È il 9 marzo 1959 quando per la prima volta, viene messa in commercio la prima bambola di Barbie. Inizialmente nasce come innocuo giocattolo per bambini – grazie a una iniziativa di Ruth Handler, co-fondatrice della Mattel – ispirata da sua figlia Barbara che era solita giocare con bambole di carta: era infatti anni in cui mancavano sul mercato riferimenti così espliciti al sesso femminile, fatta eccezione per le bamboline in porcellana che però poco avevano in comune con la super emancipata bambolina in plastica.

Un successo immediato non tuttavia scevro da diverse controversie politiche: un corpo bianco, poco realistico e dunque di conseguenza assolutamente non inclusivo. Era il 1963 quando l’azienda fece uscire la problematica e discussa Barbie Babysits, con tanto di libro su Come perdere peso e mini-bilancia compresa negli accessori con un peso fisso a 49 kg: solamente nel 2016 la Mattel ha introdotto altre tipologie di corpo. Nel 1968 arriva la prima bambolina nera, che però (strano a dirsi!) non era la tipica icona di Barbie.

Tra scivoloni e cadute di stile di un giocattolo che doveva essere strumento concreto di empowerment per le donne di tutto il mondo, alcune Barbie di fine anni ’60 cercavano di rispecchiare quelle che inizialmente erano le reali intenzioni della bambola e della sua produttrice, ovvero che «ogni bambina ha bisogno di una bambola attraverso cui proiettare sé stessa nei propri sogni futuri. Barbie rappresenta una donna che ha delle scelte». E così ecco la Barbie astronauta (impensabile per l’epoca), la Barbie chirurgo (in un periodo storico in cui le donne medico in America erano una rara eccezione) la Barbie business woman e così via.

Amata o odiata, oggi è sicuramente molto più inclusiva: dalla Barbie con la sedie a rotelle, con la protesi o con l’impianto cocleare, al Ken con la vitiligine. In una repentina attualità come la nostra, lo stereotipo è sempre dietro l’angolo e Barbie, a volte, ci casca ancora. Tutte strategie di marketing ovviamente, ma ciò non toglie che sia uno specchio della società contemporanea, un oggetto storico e antropologico, un’icona estetica attraverso cui rileggere moltissimi fenomeni sociali e culturali che hanno attraverso gli ultimi sessant’anni della nostra esistenza. Barbie, nel bene o nel male, è design, moda, arte, tendenza, testimone oculare di un tempo che è stato e che sarà. E Massimiliano Capella in questo libro, ce lo dimostra benissimo.

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