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Niente da perdere

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VOTO: 7,5

Pronta a tutto

Nemmeno il tempo di scrollarci di dosso, dalla testa e dal cuore le tante emozioni che Il coraggio di Blanche e la doppia performance di Virginie Efira ci hanno regalato, che ci ritroviamo a meno di un mese di distanza ad essere travolti da uno tsunami di eguale potenza e intensità. Dopo averla ammirata nell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Valérie Donzelli, nella quale si era sdoppiata per vestire i panni di due gemelle, l’attrice belga torna nuovamente sugli schermi nostrani con un’altra straordinaria interpretazione, verrebbe da dire l’ennesima di una carriera che almeno sino ad oggi non ha conosciuto particolari battute d’arresto se non qualche piccolo e insignificante passo falso. Dal 16 maggio eccola infatti protagonista di Niente da perdere, l’opera prima di Delphine Deloget, che arriva nelle sale con Wanted Cinema dopo l’anteprima mondiale nella sezione Un Certain Regard del 76° Festival di Cannes.
Nell’esordio della reporter e cinéaste du réel francese l’attrice indossa i panni di Sylvie, una donna emancipata e madre appassionata di Brest che si trova a crescere da sola due figli tanto amati quanto problematici di nome Sofiane e Jean-Jacques. Essere genitore si sa è un mestiere complesso e la donna dovrà fare i conti con la dura realtà quando una notte, mentre lei non c’è e i figli sono a casa da soli, il piccolo Sofiane si ferisce gravemente. Denunciata per inadempienza, il bambino viene dato in affidamento in attesa di un processo. Convinta di essere vittima di un errore giudiziario e forte dell’amore dei suoi figli, Sylvie cerca di riconquistare Sofiane ad ogni costo.
In Niente da perdere un piccolo incidente domestico scatena conseguenze imprevedibili e si trasforma in un dilemma morale in cui la burocrazia e la macchina amministrativa e giudiziaria si scontrano con l’amore e il sacrificio autentico di una madre-coraggio, imperfetta, orgogliosa e indomabile, interpretata in maniera commovente da una Efira in stato di grazia. È lei con la sua performance a restituire tutte le sfumature di un personaggio assai complesso (torna alla mente la Anne Dorval nelle vesti di Diane “Die” Després in Mommy di Xavier Dolan) e ad alzare ulteriormente la temperatura di un dramma sociale toccante e dal grande impatto emotivo, che pone lo spettatore davanti all’ennesimo scontro corpo a corpo tra Davide e Golia, laddove il primo è una madre pronta a tutto per riavere suo figlio ma finisce suo malgrado con l’essere schiacciata dagli ingranaggi kafkiani di un sistema, quello delle istituzioni che glielo hanno sottratto, che portano a una spirale di eventi negativi gestiti dal sistema dei servizi sociali. A una prima lettura il film potrebbe sembrare un attacco preciso a questo sistema, ma non è così. Quello che l’autrice e i compagni di scrittura Olivier Demangel e Camille Fontaine hanno voluto fare è stato piuttosto sottolineare come le procedure e le decisioni possano talvolta portare a conseguenze non intenzionali e dannose. Ad emergere è quindi la sostanziale incomunicabilità tra l’individuo e le istituzioni, con il secondo incapace di tenere conto del singolo caso e delle sue problematiche. Ecco che la lotta per liberarsi da questo ingranaggio diventa sempre più disperata per colpa dell’impersonalità e della rigidità di un sistema disumanizzato che scaraventa Sylvie in un incubo che farà vacillare il suo equilibrio mentale. La donna dovrà fare ricorso a tutta la sua forza interiore per affrontare lunga e dura battaglia per riportare a casa suo figlio e dimostrare le sue qualità genitoriali.
La storia al centro di Niente da perdere esplora temi dal peso specifico rilevante quali l’identità, le relazioni familiari e le sfide socio-economiche attraverso una narrazione che si muove efficacemente sulla linea di confine tra documentario e la finzione. Il forte realismo che caratterizza la messa in scena e la messa in quadro traspare infatti da ogni singola immagine, frutto dall’approccio stilistico e contenutistico della Deloget alla materia che ha preso in esame. Nel suo passaggio dal cinema del reale alla fiction, la talentuosa cineasta di Paimpol, oltre a dimostrare una grande maturità e delle spiccate doti, porta sullo schermo un’evoluzione naturale del suo percorso artistico. Il documentario e l’interesse nei confronti di certe tematiche e di dinamiche familiari in contesti di crisi non potevano venire meno poiché parti integranti del suo background. Già nel suo primo documentario dal titolo Who Remembers Minik aveva raccontato la storia di un bambino sradicato dalla sua famiglia e trasferito altrove: in quel caso si trattava di un piccolo Inuk, prelevato con l’inganno dall’esploratore Robert Peary per portarlo negli Stati Uniti. L’avere messo mani in precedenza con le suddette argomentazioni l’hanno dunque aiutata a rendere credibile e veritiero anche la vicenda narrata in Niente da perdere, una vicenda dura e dolorosa indagata con uno sguardo rigoroso ma al contempo partecipe attraverso una macchina da presa che resta incollata alla sua protagonista dal primo all’ultimo fotogramma utile.

Francesco Del Grosso

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