Bartolini: un’intervista lunga da Trebisacce a Roma

Bartolini: un’intervista lunga da Trebisacce a Roma

Lo scorso 12 Aprile, dopo i singoli Cimitero, Chicco e Ultima Volta, è uscito TILT, terzo album di Giuseppe Bartolini aka Bartolini. Svincolandomi immediatamente, per chi (ahivoi!) non lo conoscesse, dall’omonimia con il corriere espresso e dalle conseguenti battutine (neppure da prima elementari), con TILT Bartolini, cantautore di origini calabresi ma di stanza da anni a Roma, continua a mettere a fuoco la sua musica, oltre che la sua vita, proseguendo il suo processo di evoluzione.

Partendo dall’influenze alterative-rock degli esordi, Bartolini stratifica ulteriormente le sue melodie con influenze Urban e Rap, frutto anche delle sue recenti esperienze da produttore e musicista.

Un disco onesto, più diretto dei lavori a cui ci aveva abituato, che si lascia ascoltare sia per i testi che per le differenti incursioni musicali. Sicuramente il più maturo. Alla solitudine e alle assenze fanno ora da contraltare consapevolezze e rinascita. Non perdendomi in altre descrizioni, vi lascio all’intervista e all’ascolto. D’altronde chi meglio di un artista può spiegare la sua creazione…

Come va? Ora che finalmente è uscito, è passata un po’ l’ansia per “TILT”?

In realtà ho l’ansia dei live. Quindi Insomma.. tutte le prove, l’allestimento… non sai mai come possano uscire i pezzi dal vivo… siamo in quella fase di studio prove. Sono contento perché in un anno e mezzo/due anni di lavoro finalmente è uscito fuori, avevo anche bisogno di liberarlo. È stato molto difficile come processo creativo perché ho avuto tanti ripensamenti: non sapevo se far uscire un EP o un disco, inizialmente, e per diversi mesi non son riuscito a scrivere un cazzo.

I temi ricorrenti nel disco sono appunto lo specchio di questo periodo molto turbolento della mia vita e di conseguenza anche della mia vita creativa. Al momento sto un po’ “TILTato” (sorride ndr), però è così che ci si sente sempre dopo l’uscita del disco, un po’ frastornato e confuso. Sto cercando di rimettere insieme i pezzi. La risposta definitiva (alla domanda) è: TILTato, in questo momento.

Bartolini Tilt
Bartolini – TILT [Ascolta qui]
Volendo dare una visione generale, ad un primo impatto, se in “Penisola”, dal mio punto di vista ingiustamente passato un po’ sottotraccia solo poiché uscito nel famigerato 2020, si sentivano atmosfere aeree/sospese, in “Bart Forever“, oltre a manifestare una certa urgenza, si è ritornati a sonorità che definirei un po’ più terrene, richiamanti anche l’EP “BRT, Vol.1“. Possiamo definire “TILT” come un perfetto connubio dei due? (penso anche a Non odiarmi e Ultima volta in cui riprendi un po’ le sonorità dei precedenti lavori). Per quanto riguarda i testi, invece, ho notato che ci sono anche riferimenti meno terreni a quanto ci avevi abituato finora, penso ad esempio al cavallo nel bosco o al Nirvana. C’è qualche artista/libro che ha influito?

Intanto provo a fare ordine poiché ci sono tante cose da dire.

Sicuramente, partendo dalla domanda sul connubio dei due dischi precedenti, ti rispondo: assolutamente sì. Come puoi ben notare ci sono anche dei rimandi ai lavori precedenti, come appunto in Non odiarmi e Ultima volta che ricordano e riprendono quelle sonorità lì, ma ho cercato in qualche modo di sperimentare e far uscire fuori nuove… non voglio definirle influenze perché comunque le influenze sono ciò che ascolto e più o meno sono sempre quelle: spaziano dall’Hip-hop all’UK garage passando a roba un po’ più noisy o new wave ecc. Quindi sì, il lavoro è stato quello di cercare di mantenere quell’identità plasmata con i primi dischi. Il quadro che hai fatto è assolutamente corretto.

Nei testi ho cercato di dare più riferimenti cinematografici o proprio immagini della mia quotidianità. Ho letto diverse cose e sono stato influenzato, banalmente, per esempio da Dylan Dog che ha comunque delle atmosfere molto oniriche in cui mi sono rivisto molto. Ho anche giocato di più con le parole, in generale sono stato più tempo sui testi e le produzioni su questo disco qui.

La chiave del racconto, come puoi notare, è sempre il mio vissuto però in maniera più esplicita.

Penisola aveva l’obiettivo di rimanere anche un po’ nascosto, cioè di proteggere anche delle persone, delle immagini, delle sensazioni e delle emozioni per far sì che queste fossero poi reinterpretate da chi poi lo ha ascoltato e continua a farlo.

Bart Forever, invece, è stato molto difficile nel making of perché appunto venivo dal lockdown, quindi: trauma del primo disco uscito, trauma del lockdown, tour cancellato… Fare il secondo disco è stato molto molto complicato per cui lì sono partito più dal mio vissuto, però in una chiave più adolescenziale; quindi, ho ripreso delle suggestioni legate a un periodo della mia vita ben preciso.

La differenza rispetto a questi due lavori, in TILT, sta proprio nel cercare di rendere esplicito al massimo la mia quotidianità. Spero sia riuscito a emergere nei testi. Per esempio, Ultima volta è proprio un manifesto di questo flusso di coscienza, per il resto invece ho cercato sempre di mantenere un po’ l’atmosfera e il linguaggio onirico. Non lo so, forse essendo Pesci non riesco proprio a farne a meno (sorride ndr), però sì sono contento che si sia notata questa cosa, ecco.

Un po’ in tutto l’album manifesti la tua maggiore consapevolezza sull’essere soli e responsabili, frutto sicuramente delle esperienze e dalla maturità che ne deriva. In questo senso, come dici in “Smettila“, senti che stai diventando come tua madre?

Sì, sicuramente sono diventato e sto diventando più grande e quindi alcune responsabilità, ansie e paranoie che prima conoscevo ma non vivevo al 100% adesso son venute tutte anche a me. In questi due anni ho avuto anche la fortuna di avere delle persone vicino che mi hanno sempre supportato, ispirato a scrivere e a continuare questo viaggio musicale.

Si tratta proprio di questo: non poter più scappare, non potersi più rifugiare in quella sorta di bolla post-adolescenziale (magari più presente in Bart Forever) e quindi affrontare quelli che poi sono i “mostri” di una vita adulta a cui siamo costretti. Poi c’è sempre una bivalenza tra il bambino che vive dentro e che è il motore di tutto, quell’inner child che emerge nel ritornello di Cimitero (la mia voce pitchata), e l’essere soli, non avere più quei punti di riferimento che prima potevano proteggerti e aiutarti nella gestione di alcune cose quotidiane.

Da qui la frase “più divento grande più divento un po’ mia madre” poiché appunto adesso capisco tante delle paturnie che magari mia madre viveva e che non riuscivo a vedere né capire; diventando sempre più grande sono anch’io un po’ più apprensivo. È come se andassi a ricercare quei modi che magari i miei genitori avevano per affrontare la vita adulta che invece da piccolo mi sembravano un po’ esagerati o assurdi. Quando sei piccolo non capisci certe cose, questo è un po’ il senso.

Hai citato “Cimitero“,  primo singolo estratto e sicuramente una delle canzoni più forti (emotivamente parlando) di tutto l’album. Sebbene sia un tema che hai più volte costeggiato (la morte di tuo padre) mai l’avevi fatto in maniera così diretta, per una canzone intera almeno. Il “tutururru” post ritornello, a un primo impatto spiazzante, com’è nato? L’avevi già previsto/immaginato in fase di scrittura come espediente per “alleggerire” la canzone?

Era il mio obiettivo quello di risultare spiazzante. È nato proprio tutto in freestyle, sono andato in studio da Pietro (Paroletti aka Goldenyears, produttore dell’album ndr) per fare dei beat, scrivere ecc. come abitualmente facciamo, e volevamo sicuramente usare quel tool lì della voce “pitchata” perché io stavo in fissa e non l’avevo mai fatto.

Il pezzo è nato in mezz’ora, non ho avuto neanche il momento per realizzare la cosa; è stato tutto mega trascendentale e ho sempre cercato quel balance un po’ agrodolce. Volevo parlare di un tema pesante, di un luogo pesante per me che è appunto quello del cimitero però cercando di alleggerire il più possibile sia con il sound sia attraverso questo coro che altro non è che il mio bimbo interiore nascosto che emerge, esiste e adesso deve fingere di essere adulto e va al cimitero, ecco.

“Penso solo ai fatti miei”, “non mi importa niente di quello che fa la gente”, sin dai tempi di “Manchester”, “Millennials” ecc. È un reminder che continui a darti o un manifesto che continui a esplicitare?

Direi un manifesto che continuo a esplicitare, dovuto anche a una lotta continua con me stesso riguardo al mio chiudermi. È più tipo una denuncia verso me stesso: dovrei e vorrei essere più aperto, vorrei uscire di più, fare più cose e invece poi finisco sempre per essere schiacciato un po’ dalla città, dalla mia pigrizia, dai miei problemi e dalla frenesia della mia quotidianità.

Quindi è sì manifesto ma anche tipo “penso ai fatti miei” e questo è un lato tossico ed egoista di un essere umano. In questo caso mi prendo per il culo da solo, non so come dire (sorride ndr). È proprio tipo “sono chiuso nel mio mondo, sto qui, vivo su una nuvola nel mio Truman show“.

Come richiamato in copertina

Esatto, anche se è tutto volto al “non dovrei pensare solo ai fatti miei ma dovrei anche cercare di fare altro”. Però devo dire che negli ultimi anni sto cercando anche di migliorare da quel punto di vista.

Dietro le quinte della copertina di TILT di Bartolini
In ADHD, invece, fai tuoi i versi di Pavese (Verrà la morte ndr) attualizzando la morte ai giorni nostri la quale, “umanizzandola”, non arriva più con i nostri occhi bensì con i denti storti neri di fumo o i capelli sporchi tinti di nero…

Esatto, anche lì parlo di me: sono io che mi uccido da solo. Ci sono due lati di me, un po’ come mister simpatia: c’è un lato del Bart cute, giocoso, tranquillo ecc propenso alla vita e poi c’è l’altro Bart che appunto vuole uccidere quel Bart di Penisola e di Bart Forever. Quindi, per questo, “arriverà la morte con i capelli sporchi tinti di nero”: sono io, il mio lato tossico da Evil Bart che ogni tanto esce fuori e che ammazzerà quel Bart che vuole fare le cose.

Che è un po’ quello che interpreti nei video suppongo…

Sì, esatto! I ragazzi, Giulio (Mealli, il regista ndr) e Davide Rossi Doria (art director e grafico), lì hanno fatto un lavoro meraviglioso.

Dopo il singolo “Ragnatela

Sei il primo che mi chiede di Ragnatela, cazzo, nelle mie interviste!

Dal mio dal mio punto di vista, dimmi se ti piace questa definizione, “la Bimbi degli anni ‘20”

Ci volo, ci volo, bellissimo! Sì, ma me l’aveva detto pure Davide

Ah, non sono il primo allora…

No, ma questo è bello invece! Questo è bellissimo perché è proprio il feedback che cercavo, cioè solo tu e Davide che vive e lavora con me l’avete detto; quindi, sarei contento se fossi in te (sorride ndr)

Dicevo, dopo “Ragnatela” (pezzone) hai nuovamente collaborato con Tripolare per “Chicco“. Nell’album è inoltre presente un featuring con Lil Kvneki che hai seguito in tour, nel suo progetto solista, come chitarrista degli American Boyfriends. Come sono nate queste collaborazioni e che tipo di apporto hanno dato rispettivamente? Hai lasciato carta bianca per i versi o è stata un lavoro comune? 

Allora, fun fact Chicco è nata molto prima di Ragnatela, quindi è proprio un pezzo antico. I primi pezzi che ho scritto per questo disco sono stati Cimitero, subito dopo l’uscita di Bart Forever, e Chicco totalmente random. Queste collaborazioni nascono in modo totalmente spontaneo e tranquillo. Per esempio, Gabriele (aka Tripolare ndr) era a Roma, è passato a casa a prendere un caffè e ci siamo chiusi poi a cazzeggiare tra mille cose, la play e Ableton e abbiamo buttato giù il pezzo; tant’è che io stavo giocando a Red Dead Redemption 2 e la barra sul cavallo mi è venuto perché letteralmente stavo giocando col cavallo (sorride ndr), cioè stavo giocando alla play.

Quindi, insomma, nasce un po’ tutto così, un po’ tutto freestyle, un po’ tutto istintivo, ci siamo gasati e il pezzo è nato lì.

Era già mezzo prodotto a casa mia ma poi ci abbiamo messo un anno e mezzo per chiuderlo perché siamo due bolliti che non riescono a trovarsi perché facciamo 100.000 cose.

Con Alessio, invece, c’è proprio un rapporto fraterno. Quest’anno abbiamo vissuto praticamente insieme scrivendo ogni giorno tantissima roba ma anche lì è tutto freestyle: scriviamo le nostre cose, ci diamo una mano e poi se vediamo che dopo un’ora ci rompiamo le palle smettiamo di farlo e usciamo. Siamo più tranquilli (sorride ndr). Quest’anno abbiamo fatto tantissima musica insieme.

Quanto dell’esperienza negli American Boyfriend c’è dentro questo album, considerando anche il tuo lavoro in fase di produzione?

Personalmente mi ha aiutato tanto tutta l’esperienza con gli American Boyfriend perché, anche dal punto di vista dei live, mi sono tolto tante ansie da dosso prima di salire sul palco. In generale, come esperienza è stata mega formativa e umanamente bellissima e mi ha consentito anche di instaurare un rapporto più intimo con Fabio Grande con cui poi ho lavorato anche su TILT, insieme a Pietro Paroletti. Quindi sì, quell’esperienza è stata per me molto molto stimolante e se potessi rivivere tutto l’anno scorso non ci penserei un attimo (sorride ndr).

Hai accennato, ma anche nelle tue storie Ig metti in bella mostra, la PS2, una costante come descritto anche in “Ferrari“. A cosa giochi oltre a Red Dead Redemption 2?

Adesso sto giocando a Fortnite tantissimo, mi sto ammazzando e questo è un problema perché la soglia della mia creatività si sta abbassando drasticamente.

Vabbè alleni un po’ le dita per la chitarra…

Sì, questo è vero… oltre a far venire la tendinite però (sorride ndr). Si è creato un bel gruppetto con amici e colleghi, ci troviamo sempre tutti lì sull’isola di Fortnite e sta diventando lavoro pure quello in qualche modo (sorride ndr). Di base adesso sto giocando a quello poi, vabbè, i miei giochi preferiti sono The Last of Us, appunto Red Dead Redemption 2 e GTA, ovviamente, che cito anche nel disco facendo un parallelismo con la città di Roma: è proprio GTA quando hai 4 stelline, gli sbirri e le guardie che ti cercano con la difficoltà super hard e i civili incazzati, quando mettevi il trucco civili arrabbiati che si menavano tutti tra di loro (sorride ndr).

Ho letto, sempre nelle tue storie Ig, che ti ispiri a Mac Miller e Lil Wayne. In cosa/quali canzoni pensi di avere (raggiunto) più punti in comune con loro?

Durante tutto quest’anno e mezzo l’artista che ho ascoltato di più è stato appunto Mac Miller. In realtà l’ho sempre ascoltato però, in particolare, in questi ultimi mesi mi sono chiuso sui testi, su tutta la sua storia, ogni giorno ho ascoltato i suoi dischi e continuo a farlo. Ultimamente sto ascoltando tantissima roba, sono tornato un po’ alle mie origini. Devo dire che, in generale, c’è stata una grande influenza dal mondo dell’hip hop, dall’ “old school” al rap italiano: Fibra, Uomini di mare, insomma tutti i primi dischi di Fibra mi hanno sempre molto spesso ispirato.

Tra i pezzi in cui, secondo me, si sente molto questa cosa sicuramente Heath Ledger sembra molto Mac Miller(oso) ma anche nelle strofe di Bugia ci sono dei riferimenti a quel linguaggio lì; ovviamente è difficilissimo individuarlo poiché non sto a fare la traduzione dei suoi testi in italiano, sono delle suggestioni e delle immagini che mi colpiscono e che cerco poi di rendere mie. Un po’ in tutto il disco c’è questa cosa.

Anche Dominic Fike, per esempio, mi ha ispirato tanto

Ci sono dei pezzi in cui parla della sua famiglia, dei suoi cazzi, del fatto che è stato in prigione, della sua dipendenza ecc. Questa cosa mi ha ispirato anche a dire “c’è una chiave di lettura diversa, posso anch’io spingere su quella cosa lì” anche se non ho ancora quella confidence, quelle skill. Anche Lil Wayne, pur facendo una roba totalmente diversa, mi ha sbloccato da questo punto di vista. Kid Cudi, per dire, cita più volte la perdita del padre e mi fa pensare “cazzo voglio fare pure io questa roba, questa roba l’ho vissuta anch’io” e quindi provo a dirlo a modo mio.

Poi magari può essere un fallimento, magari il risultato finale non è come inizialmente avevo pensato che fosse però ci ho provato (sorride ndr).

Come avviene il processo di scrittura di un brano? Quando scrivi una canzone è uno sfogo scritto che successivamente pensi a musicare o la melodia è contestuale?

La maggior parte dei brani li scrivo partendo sempre da una produzione, da una demo o da un loop di 30 secondi e poi ci costruisco sopra il pezzo; altri nascono magari chitarra e voce come tipo ADHD, nata proprio così: mi sono svegliato la mattina e avevo questo motivetto in testa dell’A-A-A-A-A-A, che poi forse è un plagio a qualcosa (sorride ndr), e sono stato quattro giorni chiuso in casa con fogli, penna e chitarra proprio a ragionare a una struttura e al testo. È un lavoro mega macchinoso però necessario perché poi escono i pezzi un po’ più stabili e forti, almeno per quanto riguarda la mia esperienza.

Per il resto invece, in particolare per questo disco, sono stati tutti freestyle e quindi mi sono concentrato prima sul bit (ho studiato molto da solo) e poi “mumblavo” (da mumble=mormorare ndr) delle robe; mi sono messo a registrare delle bozze, dovute a un flusso di coscienza, da cui sono poi nate delle parole che ho preso e ho (successivamente) costruito tutto il testo.

Quanto ti sei avvicinato alla tua idea di musica? Mi spiego meglio, c’è qualche canzone, comunque contenuta nell’album, però non uscita al 100% come l’avevi in mente per la quale ti sei (anche serenamente) arreso al risultato ottenuto o che magari a posteriori avresti cambiato? O ancora, una canzone immaginata in un modo e poi in studio trasformata radicalmente?

Paris McDonald’s è stata un po’ così, aveva un’altra anima tant’è che dovrei droppare una sua versione Uk garage/lofi House remixata da me e la primissima demo scritta chitarra e voce del pezzo che ha una sonorità un po’ più emo, magari più “Penisolosa” per intenderci; ho avuto tanti ripensamenti su questo brano e poi grazie a Pietro e Fabio lo abbiamo stravolto in studio e devo dire che il risultato è stato molto molto figo, mi piace tanto come suona.

Non so se posso dire di essermi avvicinato alla mia idea di musica perché quando in testa ci sono 1000 references hai un’aspettativa gigante.

Penso che sia molto complicato come discorso però sì, alla fine mi ritengo soddisfatto delle cose fatte soprattutto con questo disco perché volevo che fosse più variegato rispetto agli altri, anche a costo di farlo risultare meno compatto. Se Bart Forever aveva una color sonora legata ad alcune influenze (così come Penisola una sua per l’idea di un viaggio) invece su TILT volevo proprio anche giocare di più, spiazzare di più, cercando di essere un po’ più variegato rispetto ai precedenti lavori.

Smettila, che apre l’album con sonorità più differenti alle mie solite (in cui le mie reference erano Dominic Fike o OutKast) è seguito da Non odiarmi che è un pezzo in stile BRT, Vol.1, quindi più vicino a un sound UK da basso e batteria dritti; poi c’è ADHD, pezzo che considero mega pop, e Paris McDonald’s che è marcio, jungle e allo stesso tempo pop.

Alla fine, quando esce un disco, finisci per odiarlo ed è necessario perché altrimenti non faresti gli altri. Devo dire, però, che su TILT la consapevolezza sta nel fatto di aver passato molto più tempo da solo a studiare i pezzi, c’è molto di più la mia mano sulle produzioni; poi c’è anche un cambio di produzione poiché comunque era la prima volta che lavoravo con Golden Years e Fabio Grande su cose prettamente mie.

Bartolini
Bartolini
In “Heath Ledger”, invece, dopo aver affrontato e manifestato (così come per tutto l’album) una presa di coscienza e di consapevolezze anche per il tempo speso a non imparare niente ed evidenziando come tu abbia ora chiaro cosa desideri, chiudi facendo saltare il banco (“ma io non so più come respirare“) e mandando tutto a fanculo. Uno switch che mette comunque in mostra insicurezze sempre presenti.

Sì, penso che sia proprio manifesto di tutto quello che abbiamo detto fino ad ora. Penso che sia la canzone che parli di più forse dell’anno appena trascorso, della quotidianità, dei pensieri tossici e positivi: c’è una presa di coscienza sul cosa mi faccia stare bene e poi alla fine e come se rompessi tutto.

“Fanculo questo gioco” è sia legato magari a una relazione o a un’amicizia sia, in particolar modo, al mio rapporto con la musica, le aspettative, le mille sovrastrutture insensate, le paranoie che mi creo da solo… È proprio, secondo me, manifesto di tutto questo mix di sentimenti.

A cosa è dovuta questa dedica al celebre attore e regista?

La chitarra, che ho fatto lì per lì quando ho “reccato” a casa, mi facevano pensare a lui. Io sono un suo stra mega fan e, soprattutto mente “reccavo” il pezzo, c’era in sottofondo su Sky il documentario sulla sua vita; quindi, ho scritto questo pezzo proprio guardandolo in sottofondo, mutato.

Tra l’altro sono un mega fan di Lords of Dogtown, primo film in cui l’ho visto “actare”, e c’è qualcosa nella sua storia e in tutto il tema della canzone che mi fa pensare alla sua vita, in particolare poi a come è finito purtroppo. Mi sembrava un po’ anche un modo per omaggiarlo: tutto questo “struggle” l’ho vissuto anch’io e mi sono sentito molto vicino, insomma. Per me lui era una vera rockstar ancora prima che essere un attore.

Nelle tue canzoni, sin dagli esordi, in modo diretto e indiretto è persistente il concetto di presenza/assenza, principalmente l’assenza (penso anche ad Alessandro e Marco). Sei riuscito ad esorcizzarla nella consapevolezza della tua presenza? E quindi di non vivere di riflesso, nell’ombra dell’assenza di qualcuno?

Sto ancora cercando di farlo. Per fortuna una di queste due persone che ho citato (Marco e Alessandro ndr) l’ho recuperata nella mia vita. In realtà non l’avevo neanche persa in maniera irrecuperabile ma era più un riferimento a una situazione nostra, specifica, che avevamo già affrontato insieme, tant’è che quando è uscito il pezzo ero insieme a questa persona per cui è stato ancora più strano (sorride ndr).

Però sì, in generale, sto cercando di metabolizzare tutte queste assenze tant’è che poi nel brano cito anche “il nostro posto” che appunto è la massima espressione di questa cosa, ovvero dei luoghi che sono strettamente collegati a una persona importante; è stato molto difficile ritornarci per un po’ mentre adesso lo faccio con tranquillità e leggerezza. Secondo me anche questo è già un modo per ripartire da quella che può essere un’assenza.

Poi di Marco nella mia vita ce ne sono stati diversi e il riferimento è anche per un amico che ormai non c’è più, venuto purtroppo a mancare un anno fa; era super mega fan, mi seguiva ovunque e quindi è una dedica anche a lui.

In attesa dell’annuncio di un nuovo tour, sarà possibile vedere Bartolini in concerto venerdì 17 maggio a Massa Lombarda per Ingranaggi, il 24 maggio al MI AMI festival e ascoltarlo su tutte le piattaforme.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *