Un Aiace da macelleria e una Fedra tormentata: Siracusa indaga due follie - la Repubblica

Palermo

Le tragedie

Un Aiace da macelleria e una Fedra tormentata: Siracusa indaga due follie

Luca Micheletti è Aiace (foto Franca Centaro)

Luca Micheletti è Aiace (foto Franca Centaro)

 
Al teatro greco i toni foschi di Luca Micheletti per l’eroe omerico sconfitto

e il salto dal musical al dramma di Paul Curran. Spicca il confronto Teseo-Ippolito

2 minuti di lettura

SIRACUSA — C’è una voglia di crudezza bellica nella scena da macelleria di questo “Pulp Aiace”. Sangue, carcasse d’animali, resti che penzolano, pelli sparse per terra. Il regista-protagonista Luca Micheletti ha fatto sua la tragedia di Sofocle, in scena al teatro greco di Siracusa per la stagione dell’Inda, marcandola con il tempo perduto del guerriero gabbato, impazzito e sconfitto dalla malapolitica degli Atridi: due re piccini e spocchiosi (Michele Nani, un Menelao che ha bisogno dei suggerimenti di Atena-Roberto Latini, e Edoardo Siravo, Agamennone) supportati da Odisseo (Daniele Salvo, generoso di gestualità) portatore, almeno lui, di una pietas che rende onore al nemico sconfitto nella disputa sul seppellimento di Aiace. Lui, l’eroe, Luca Micheletti (voce tonante da baritono quale è, tanta energia e bel saliscendi di toni) si tiene la sua dignità e si lascia condurre da Thanatos (la danzatrice Lidia Carew) verso il suicidio accanto a un enorme teschio: una scena horror ma sicuramente memorabile quella di Nicolas Bovey, svelata di colpo dal telo, mentre le pellicce nere di Daniele Gelsi esprimono la rudezza guerriera voluta e la chiave dark.

Siracusa prepara "Aiace" e Fedra": un giorno dietro le quinte dei due spettacoli

La temperatura emotiva non decolla, spicca l’intensità della Tecmessa di Diana Manea e il metamorfismo di Roberto Latini, Atena risolutrice e messaggero caricaturale. Bene il coro che canta sulle musiche di Giovanni Sollima. Applausi.

Da una tragedia fosca, per toni e colori, a un dramma della psiche, disturbata, quella di Fedra. Tutta colpa di una dea offesa, Afrodite (un’autorevole Ilaria Genatiempo con gonna drappeggiata e spacco vertiginoso) che nel disegno registico di Paul Curran incarna l’invadenza degli dei sulla mente dei mortali, simboleggiata dalla grande testa di divinità femminile di Gary McCann che domina la scena. Afrodite ha appena svelato il destino del casto e misogino Ippolito (un Riccardo Livermore di bell’eloquio vestito da McCann con giacca di lamè) che la snobba preferendole Artemide, ma il coro che irrompe in stle “Hair” ammicca al musical più che alla passione rovinosa di una matrigna avvelenata dalla dea.

Gaia Aprea e Alessandra Salamida (foto Maria Pia Ballarino)

Gaia Aprea e Alessandra Salamida (foto Maria Pia Ballarino)

 

Gaia Aprea e Alessandra Salamida (foto Maria Pia Ballarino) ]]

Alessandra Salamida dà corpo con buona misura al tormento ormonale, al dolore e alla vergogna di Fedra, innamorata del figliastro per incantesimo divino, e inutilmente assistita dalla nutrice (Gaia Aprea, autrice di un’ottima prova) e complice del suicidio.

E’ il momento in cui, finalmente, s’accende lo spettacolo: la testa femminile diventa schermo per le proiezioni di Leandro Summo, rosseggiano fuochi, appaiono operai che scandiscono il ritmo e soprattutto piomba Teseo, marito di Fedra e padre di Ippolito, ingiustamente accusato in una lettera della matrigna di averla stuprata. Alessandro Albertin (eccellente) gli dà la sua voce tonante e una disperazione profonda che si muta in rabbia per il figlio, condannandolo a morte attraverso una maledizione. L’inevitabile confronto fra padre e figlio, così serrato, così severo, è una scena madre da non perdere. E allora l’immagine di Afrodite proiettata sulla testa adesso evoca più la morte che l’eros tanto che alla fine si tramuta in teschio, un altro, che si apre in due per l’ingresso dell’altra dea, Artemide (Giovanna Di Rauso). La dea fa crollare le certezze di Teseo: l’innocenza di Ippolito, rantolante sulla lettiga, lo inchioda una seconda volta facendolo sprofondare nel pentimento. La vera colpevole, Afrodite, appare svettante e beffarda sulla sommità del palazzo.

La regia di Curran usa una tavolozza variegata di toni che culmina nel doloroso quanto efficace finale dopo una prima parte sin troppo liscia. Funzionale alle entrate il palazzo tutto ponteggi, eleganti i costumi, scorrevole la traduzione di Nicola Crocetti. E alla fine è standing ovation per tutti.

Due spettacoli da vedere.

I commenti dei lettori