La vittoria dell'ucraino Oleksandr Usyk, che in Arabia Saudita ha conquistato il titolo di campione mondiale dei pesi massimi, sottolinea le contraddizioni di un Paese in guerra. Su di lui, nell'ora del trionfo, convergono ora passioni nazionalistiche e propaganda, ma anche polemiche. La vittoria del pugile trentasettenne (dunque non molto più giovane del presidente Zelensky) ha infatti qualcosa di fuori dal comune. Ha sconfitto un avversario, l'inglese Tyson Fury, largamente favorito, fino ad ora imbattuto e molto più pesante di lui, oltre che di quindici centimetri più alto. (Usyk viene dalla categoria inferiore, quella dei mediomassimi).
Naturalmente della sua volontà ferrea e del carattere indomabile si è impossessato immediatamente il presidente Zelensky, paragonandone la resilienza a quella del popolo ucraino in guerra. E fin qui nulla di nuovo, se si pensa al rapporto speciale che i campioni di boxe hanno da sempre con i governi che rappresentano (come nel caso di Carnera con il fascismo) o con i movimenti di cui sono esponenti (vedi Muhammad Alì nei confronti dei musulmani neri d'America). Per non parlare di un altro campione ucraino dei pesi massimi, quel Vitalij Klyko che in seguito è stato eletto sindaco di Kyiv ed è diventato un leader politico. A complicare le cose, però, c'è il fatto che Usyk è originario di Sinferopoli, in Crimea, la regione a maggioranza russofona occupata da Putin già nel 2014, come prologo all'invasione successiva. E, per un certo periodo, la sua mancanza di prese di posizione pubbliche sulla guerra gli ha attirato sospetti e antipatie. Che si sono fatte più pesanti quando, nel 2021, è apparso in un documentario su Pechersk Lavra, un monastero in cui abitano monaci fedeli al Patriarcato di Mosca. Con l'aggravante che la presentatrice era la moglie di un politico ucraino amico di Putin, accusato di finanziare il terrorismo e in seguito riparato in Russia.
Ancora, subito dopo l'invasione del febbraio 2022, Usyk ha lanciato un appello pacifista ai russi, in nome della fratellanza slava. Poi, tutto è cambiato. Si è arruolato nel Gruppo di difesa territoriale a Kyiv, ha fondato un'associazione che raccoglie fondi per l'esercito, ha sventolato la bandiera ucraina in occasione delle sue vittorie internazionali. Oggi, la maggior parte dell'opinione pubblica sembra averlo perdonato, ma c'è ancora chi lo accusa di scarso patriottismo, in un intrecciarsi di passioni politiche, nazionali, religiose e sportive. Nella evoluzione di Usyk sembra rispecchiarsi insomma quella di tutto un popolo, costretto a prendere faticosamente coscienza di sé stesso.
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