*Non passa lo straniero* di Vincenzo D’Anna*

Alzi la mano chi avendo ascoltato le note della “Leggenda del Piave” non si sia commosso. Intendo certo riferirmi  a coloro nei cui capelli prevale ormai  il riflesso dell’argento, che declina verso il bianco, segno tangibile di un tempo già lungamente vissuto. Quella canzone fu scritta da Giovanni Ermete Gaeta, salernitano poi trapiantato a Napoli, nel lontano 1918, con lo pseudonimo di “E A Mario” per ricordare la vittoriosa conclusione del primo conflitto mondiale. Un conflitto che ci consentì di annettere i territori del Trentino, del Friuli Venezia Giulia, di Trieste e della Dalmazia a vocazione (e lingua) italiana. Sia il testo della canzone che l’accompagnamento musicale erano noti a tutti gli studenti che, nel dopoguerra, hanno frequentato la scuola italiana, in uno con l’inno nazionale di Mameli. Lo erano anche per un vasto segmento della popolazione che per decenni ha assistito alle celebrazioni che in ogni piccolo o grande centro abitato si celebravano il IV Novembre con il corteo dei combattenti e dei reduci. I Cavalieri di Vittorio Veneto, insieme con le autorità civili e militari del luogo, portavano la corona di alloro al monumento ai caduti innalzato in ogni comune italiano. Sulle note del Piave si onoravano e ricordavano i settecentomila morti della Grande Guerra, le gesta di eroismo di cui furono protagonisti i fanti italiani corroborati, dopo la disfatta di Caporetto, dai “ragazzi del ‘99” che,  appena diciottenni, furono chiamati alle armi e  si immolarono sulle sponde del fiume sacro. Quel corso d’acqua era diventato, infatti, l’estremo argine di resistenza contro le armate tedesche ed austriache che minacciavano di conquistare tutto il Veneto e parte dell’Italia settentrionale. La loro ferrea resistenza trasformò quel fiume in leggenda facendolo assurgere a simbolo della tenacia di un popolo in armi che difendeva strenuamente l’Italia unita. L’entrata in guerra del Belpaese, a fianco di Francia, Inghilterra e poi Stati Uniti, contro gli imperi centrali della Germania e dell’Austria-Ungheria, datava 24 maggio 1915 e fu il segno della compattezza di popolo che si fuse nel crogiolo di una lunga e sanguinosa guerra di trincea. Le popolazioni sfollate dalle zone in cui si combatteva e che poi furono occupate dal “nemico”, furono trasferite nel Meridione ed accolte dalla gente del Sud che già pagava un alto tributo in termini di perdite di vite umane, tra le fila del Regio Esercito. Quel Sud che, seppur annesso con la forza al Regno di Vittorio Emanuele II, si mostrava generoso verso una Patria che i fatti storici, in seguito mostrarono essere stata matrigna nei confronti dei vecchio sudditi del Regno delle due Sicilie. Ora la ricorrenza del 24 maggio si approssima nell’assordante silenzio dei contemporanei e spesso per la mancanza di ogni celebrazione. Se una frase può assurgere a sintesi di un periodo tragico ed al tempo stesso glorioso, quale fu la guerra del 15-18, per per il nostro popolo, fu quella scritta da una mano anonima sul muro di un ridotto militare: “Tutti eroi, o il Piave o tutti accoppati!!”. Cosa n’è stato di quella generazione e cosa del lascito che ci ha consegnato? Cosa è rimasto della tempra, del coraggio, dell’amor di patria e del sacrificio di migliaia di giovani immolatisi per difendere la propria terra, la propria identità culturale, per onorare il sacrificio dei propri figli di ogni estrazione sociale e provenienza. Insomma il primo tangibile esempio di unità per un popolo oltre che per liberars quella parte di Italiani che viveva ancora oppressa sotto un governo che non sentivano proprio e nel quale non si identificavano fin dal Risorgimento? A guardare quel che si vede oggi in giro, laddove imperano sciatteria, indifferenza, ignoranza e oblio di taluni valori identitari e coesivi che sono praticamente scomparsi tra le fila delle ultime generazioni, possiamo rispondere che è rimasto ben poco!! In fondo si mastica amaro e si conferma l’intuizione presaga di quel grande giornalista del secolo scorso che fu Ugo Ojetti secondo il quale gli Italiani sono un popolo di contemporanei. Calati in una nazione che vive nella quotidianità, che non ha né antenati né discendenti, perché, semplicemente, ignora la propria Storia. Da cosa dipende tutto questo? Dagli stili di vita opulenti ed edonistici, dal diffuso benessere, dall’ignoranza scolastica, catalizzatori di un processo di cancellazione del passato e del valore di un popolo già di per stesso incline solo all’opportunismo ed  all’utilitarismo. L’Italia del terzo millennio spesso cammina a tentoni, senza prospettive di un progetto che si fondi su valori comuni e rispetto per quello che siamo stati. Tutto questo dipende anche dall’anonimato culturale in cui siamo caduti come italiani. Gente sospesa tra il nazionalismo farlocco ed un ipotetico Europeismo C’è solo da augurarsi che non venga mai il giorno in cui potremmo essere costretti a schierarci sul Piave, inteso come ultimo baluardo della nostra civiltà e dell’integrità di nazione, per non scoprire che pochi potrebbero combattere perché “non passi lo straniero”. Quest’ultimo inteso non solo come popolo estraneo o paese nemico, ma anche come insieme di valori e di principii, di un umanesimo che viene da lontano, che si cancelleranno in futuro.

*gia parlamentare