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Los colonos

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VOTO: 8

Epifania di una nazione

Una via cilena al genere western? Forse sì, ma solamente in minima parte. Perché Los colonos, impressionante opera prima del regista originario di Santiago del Cile Felipe Gálvez Haberle, inserisce la cornice tipica per poi avere mano libera nel dipingere il quadro. Per intenderci: gli spazi sono quelli sterminati appartenenti al genere suddetto. L’immensa Terra del Fuoco tra Cile ed Argentina, con le Ande a circondare il panorama. Ci sono i “civili” colonizzatori occidentali e gli indigeni di rito, nemici e “selvaggi” da educare oppure, con soluzione maggiormente sbrigativa, eliminare. Tuttavia Felipe Gálvez ripudia immediatamente qualsiasi tentazione di azione ed epicità racchiudendo esteticamente il suo lungometraggio in una cornice chiusa accompagnata da una fotografia dai colori smorti di giorno e spesso in notturna. Scelta ampiamente condivisibile, poiché concentra tutta la attenzione sia sui personaggi ma soprattutto sugli atti che essi compiono.
Siamo agli albori del 1900. Il ricco proprietario terriero José Menéndez (Alfredo Castro, attore feticcio dell’illustre connazionale Pablo Larrain) chiede al mercenario scozzese Alexander MacLennan di tracciare una strada verso l’oceano in quel territorio ancora inesplorato. MacLennan si affida al meticcio Segundo per l’orientamento, mentre Menéndez, poco incline nel concedere fiducia ad un indio, gli affianca il texano Bill. Subito diviene chiaro il vero obiettivo della missione: sterminare quanti più Ona (questo il nome della tribù di nativi) possibili allo scopo di impossessarsi definitivamente – e non solo burocraticamente – di quelle terre. Inizia un viaggio allucinante e allucinato tra violenze di ogni tipo che molto ricorda, in vari aspetti narrativi, sia Apocalypse Now di Coppola che il romanzo ispiratore “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad. Pur rimanendo sempre ancorato al reale.
Esistono verità sepolte e dimenticate perché la storia viene, a torto o a ragione, sempre scritta dai vincitori. Nel caso di Los colonos – presentato in Italia nell’ambito della 17esima edizione de La Nueva Ola – Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano dopo i successi a Cannes 2023 – non si affronta strettamente l’argomento storico, di come una nazione ponga le proprie fondamenta nel sangue più copioso. Si parla di giustizia. Di un pregiudizio razziale ben radicato anche negli stranieri che si trovano, per sete di guadagno, in quei posti sperduti. Di sopraffazione, grazie all’uso delle armi e di inganni vari, verso coloro equiparati ad animali guidati dall’istinto poiché privi di intelletto. Un corto circuito etico ben conosciuto che ancora oggi mina, anche in altri posti del globo, qualsivoglia processo integrativo.
Una dinamica che rivediamo ogni giorno da mille e più anni, che ha provocato la nascita degli Stati Uniti nonché parecchi altri paesi considerati civili. Un colonialismo violento che fino a pochi anni orsono era invocato e legittimato, mentre ora agisce subdolamente dietro le quinte – ma non poi tanto – delle cronache mondiali.
Felipe Gálvez Haberle ci conduce per mano attraverso tale nefasto degrado, senza apporre in calce al film un superfluo giudizio morale. Los colonos mette in scena i fatti, documentati e incontestabili. I medesimi che il senso di colpa occidentale ha sepolto in qualche sbiadito articolo di cronaca lontano nel tempo. A confermare la qualità di un’opera girata con invidiabile coerenza etica ecco la parte finale del lungometraggio, dove un progressismo di facciata cerca un impossibile conciliazione tra popoli mediante una finzione nella finzione. Sequenza di un rigore stilistico degno del miglior Larrain. E, visto che al nome di Pablo Larrain parlando di cinema cileno non si può sfuggire, invitiamo i nostri lettori a rivedere il suo coevo El Conde assieme a Los colonos: due facce della stessa medaglie a distanza temporale. Per un paese che ha sempre cercato il cosiddetto uomo forte al comando in un passato remoto e in un passato prossimo. Con i risultati che ben sappiamo.

Daniele De Angelis

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