La Catalogna premia i socialisti, l’indipendentismo arretra, l'incertezza resta - HuffPost Italia

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La Catalogna premia i socialisti, l’indipendentismo arretra, l'incertezza resta

I sondaggi per una volta ci azzeccano, una decisa avanzata dei socialisti in Catalogna che dopo diversi lustri ridiventano il primo partito, l’onda separatista dell’indipendentismo per la prima volta dall’inizio del procés di disconnessione avviato oramai quindici anni or sono si è arenata, è stata battuta ma non è finita.
Nel duello interno alle due formazioni maggiori, una di sinistra (Esquerra Repubblicana), l’altra di origine centrista di destra trasformatasi nella formazione più intransigente dell’indipendentismo (Junts per Cat), ha prevalso quest’ultima. Carles Puigdemont ha riconquistato seggi perduti, la sinistra ha pagato il prezzo alle sue carenze governative e al dialogo con Madrid, il popolo referendario che aveva massicciamente partecipato alla sbornia sovranista è rimasto in casa.

Nel voto ha prevalso la posizione socialista di Salvador Illa possibile futuro presidente della Regione-Nazione che si è incaricato di porre fine allo scontro radicale fra le fazioni unioniste e separatiste puntando principalmente su un'idea ed un programma politico le cui premesse erano quelle che fosse necessario voltare pagina.

Nonostante la vittoria chiara, non sarà affatto facile né scontata la possibilità di formare un governo. I numeri dicono che esiste una maggioranza (68 seggi) solo se il Psc si allea con i suoi alleati del governo centrale di sinistra (Comun, la filiale catalana di Sumar/Podemos) e con la formazione indipendentista di sinistra Erc che sostiene Pedro Sanchez a Madrid, ma che è uscita ridimensionata e in definitiva sconfitta dal voto che il presidente della Generalitat Pere Aragones aveva voluto anticipato.

Il risultato elettorale comunica, oltre alla disaffezione al voto, prassi che ormai sembra accomunare le democrazie europee, un aumento della presenza politica di formazioni conservatrici e addirittura estreme di destra; l’immigrazione senza controllo, l’impoverimento della classe media ed anche il perdonismo verso gli insorti separatisti ha restituito un po’ di smalto al Partito Popolare che duella con Vox, l’ultradestra alleata europea di Giorgia Meloni, per avere la guida dell’oltranzismo spagnolista; e se il Partito che trionfó alle elezioni del 2017, Ciudadanos, scompare addirittura dal Parlamento, entra una formazione gemella di Vox, Aliança Catalana, xenofoba e nazionalista.

Sarà il voto europeo in definitiva a tracciare un quadro politico più chiaro tanto in Spagna che in Catalogna. Non ci sono scossoni anti-europeisti e questa è la buona notizia per tutti; la società catalana dopo i provvedimenti di amnistia appare assai più tranquilla e disponibile a soluzioni intermedie che aggrediscano le emergenze più urgenti.

È ritornato attraverso Puigdemont lo spirito “convergente”, ovvero quella duttilità tattica e politica che fu propria della formazione moderata catalana che governò per un lungo periodo, mai spingendosi ai confini del separatismo. La forza tranquilla e determinata di Pedro Sanchez si è trasferita anche nelle elezioni catalane, il socialismo locale non è una cinghia di trasmissione, tuttavia ha colto al volo la possibilità di essere la formazione politica più in sintonia con i cambiamenti mediterranei ed europei.

Una maggioranza per governare deve fare 68, allo stato nessuno ha questo risultato in tasca, balla ancora un seggio la cui attribuzione verrà effettuata dopo lo spoglio delle schede provenienti dall’estero. Si tratta di un seggio della provincia di Lleida, città sulla strada per i Pirenei: fu sotto dominio romano, seppe resistere ai cartaginesi ma non agli arabi secoli dopo. In epoca moderna fu bombardata da noi italiani, i morti di guerra civile furono altissimi. È una roccaforte di voti indipendentisti che i socialisti hanno espugnato. Ma si attende il voto degli espatriati. Decisivo.

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