Avsi. I quaderni di Samia
I progetti di sostegno a distanza di Avsi in Iraq (Foto Avsi)

Avsi. I quaderni di Samia

Il "Sostegno a distanza" per 450 bambini iracheni. Un progetto dell'Ong italiana partito nel 2015, per aiutare un popolo a tornare a vivere dopo l'occupazione dell'Isis
Luca Fiore

Samia è una bambina azyda di 12 anni, abita a Duhok, città del Kurdistan iracheno, a Nord di Mosul, dove partecipa ai progetti del Sostegno a distanza di Avsi. «Aveva solo due anni quando l’Isis ha catturato lei e l’intera famiglia», spiega Emanuela Girardi, project manager di stanza a Erbil: «Oggi le sono rimasti la madre, la nonna, due fratelli e due sorelle, una delle quali era stata venduta a un militante dell’Isis, che l’ha tenuta prigioniera per due anni». Lo Stato islamico aveva affidato Samia a una famiglia affiliata di Mosul. La bambina era poi stata liberata a seguito di un riscatto ed è riuscita a tornare. Il padre, quattro fratelli e tre sorelle rimangono ancora oggi dispersi. «Quando nel 2018 Samia si è ricongiunta alla famiglia non riconosceva nessuno, perché era piccolissima quando era stata portata via. Noi l’abbiamo accompagnata passo passo nel processo di riadattamento alla sua nuova vita, adesso è felice e sta frequentando la scuola insieme ai suoi nuovi amici».

Alcuni dei bambini aiutati con il Sostegno a distanza a Qaraqosh e Duhok, in Iraq (Foto Avsi)

La sua è una delle tante storie dei 450 bambini iracheni, tra i 4 e i 14 anni, a cui va l’aiuto di Avsi, reso possibile dal Sostegno a distanza. «I nostri progetti sono iniziati nel 2015 in risposta all’occupazione dell’Isis», spiega Lorenzo Ossoli, responsabile Avsi nel Paese: «Il primo obiettivo era quello di sostenere i bambini sfollati e le loro famiglie cristiane provenienti da Qaraqosh, garantendo loro cibo e istruzione. In particolare, abbiamo sostenuto l’asilo e la scuola elementare che le suore domenicane avevano aperto nel campo profughi di Erbil». Nel 2018, quando le famiglie hanno deciso di tornare a Qaraqosh, continua Ossoli, Avsi ha continuato ad accompagnarle fornendo supporto educativo, nutrizionale e medico e con finanziamenti importanti alla comunita locale per la ricostruzione delle imprese agricole distrutte dalla guerra, vero motore economico della zona. «Nel 2021, abbiamo esteso il progetto di Sostegno a distanza all’area di Duhok per sostenere la comunità yazide. Quella yazida è l’etnia più colpita dallo Stato islamico, ancora oggi sono 3.000 le donne e le bambine rapite, ancora in mano ai terroristi».



Sia per i bambini cristiani a Qaraqosh, sia per gli yazidi a Duhok, si tratta innanzitutto di procurare il materiale che permetta loro di frequentare la scuola: matite, quaderni, pennarelli. Ma il grande lavoro è quello dell’organizzazione di momenti di aiuto allo studio, iniziative ricreative come l’arte-terapia, con una forte componente, come si dice nel gergo un po’ asettico, “psicosociali”. Ascoltando il racconto della vita di Samia, però, è facile capire che cosa voglia dire. Tutti i bambini hanno avuto almeno un parente ucciso. Alcuni ne hanno avuti otto, nove. Sono ferite interiori con le quali è difficile immedesimarsi. Ed è utopistico pensare di poterle rimarginare. È possibile, però, aiutare i bambini a recuperare un equilibrio che permetta loro di andare avanti. È una sfida che non ha a che fare solo con la guerra dello Stato islamico. La comunità cristiana di Qaraqosh è stata colpita anche da una tragedia più recente. «Il 27 settembre scorso è scoppiato un incendio in una sala per ricevimenti durante una festa di matrimonio», racconta Emanuela: «Erano presenti circa mille invitati. Ci sono stati 107 morti e 82 feriti. Una delle vittime era una bambina che partecipava ai nostri progetti». Ancora lutti. Su un corpo sociale ferito e ipersensibile.

Il Sad consente di procurare il materiale che permetta ai bambini di frequentare la scuola: matite, quaderni, pennarelli (Foto Avsi)

Dopo l’esodo di massa del 2014, per i cristiani è stato difficile tornare nelle loro terre e ricominciare la vita di prima. Per molti non è stato possibile e hanno abbandonato il Paese. Chi per ragioni economiche, chi per un senso di insicurezza e perché quei luoghi erano legati a traumi personali impossibili da dimenticare. C’è chi invece è riuscito a far ripartire la propria attività: artigiani e commercianti, soprattutto.

INFO - Il sito di AVSI

Per gli yazidi, invece, la situazione è ancora più complicata. Nella regione di Duhok sono ancora rifugiati e dunque dal punto di vista economico la loro situazione è ancora più precaria. Con conseguenze sulle famiglie anche dal punto di vista della sicurezza alimentare. Per questo Avsi ha organizzato, in accordo con le autorità locali, attività lavorative di interesse pubblico. «Con il loro aiuto, abbiamo rimesso in funzione un pozzo, in modo da garantire l’accesso all’acqua per un quartiere della città. L’anno scorso abbiamo poi rimesso a nuovo alcune strade, rendendole più facilmente percorribili. E abbiamo istallato delle luci solari per l’illuminazione notturna. Quest’anno faremo lo stesso con quelle di un’altra parte del centro abitato», spiega Emanuela. E continua Lorenzo: «Da una parte è il modo per aiutare le famiglie ad avere un piccolo reddito, dall’altra è un segnale che diamo agli abitanti della città che vede il contributo attivo dei rifugiati alla vita del luogo che li ospita. È qualcosa che contribuisce alla coesione sociale».