Giovanni Allevi al Salone del Libro: Dolori, remori, ma sono qui | iO Donna
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Giovanni Allevi accolto da un mare d’affetto al Salone del libro: «Oggi sono qui: ho vinto!»

Accolto da un applauso infinito e caloroso, Giovanni Allevi è arrivato nella Sala Oro del Salone del Libro di Torino 2024 con il suo solito entusiasmo. Ufficialmente, l’incontro era fissato in calendario come una chiacchierata su Libri e Musica, attingendo ai tre volumi scritti da Allevi per Solferino (L’equilibrio della lucertola, Revoluzione e Le regole del pianoforte), nei fatti si è invece tenuto un one man show in cui Allevi ha fatto il punto sulla sua condizione di salute. Sulla fragilità che riguarda tutti, sulla meditazione, sulla cultura che aiuta a capire quanto non si è soli. Facendo parecchio commuovere.

Giovanni Allevi: «Che bello essere qui al Salone del Libro»

Dolcevita nero, jeans skinny e massa di capelli ribelli, ormai sale e pepe. Il look-silhouette è quello riconoscibile come l’ombra di Topolino. Dopo i baci al pubblico che ha occupato ogni posto della Sala Ora del padiglione Oval, Allevi non perde tempo, e comincia a raccontare lo stato delle cose dopo l’ospitata a Sanremo.

Al momento ha fatto 12 date del tour che annunciò all’Ariston. E a un certo punto di questi live, ha pensato di dire addio alle scene: prima è spuntato il dolore alla schiena (anche se già presente), poi il tremore alle mani. Un problema fisiologico e uno psicologico che hanno creato una sorta di circolo vizioso, più aumentava la preoccupazione dell’uno più aumentava anche l’altro. Questa crisi arriva dopo due concerti a Locarno. E Giovanni la supera, o l’accoglie, come preferisce dire lui, con esercizi di visualizzazione di psicologia comportamentale.

Giovanni Allevi al Teatro Dal Verme di Milano lo scorso 27 aprile. (Getty Images)

Malattia e fragilità possono essere una forza

«Questi esercizi hanno funzionato così bene che è proprio bello essere qua», conclude. Aggiungendo che è bene tenere a mente che lui, come ogni altro, è un essere umano. E che la paura non va allontanata. «Sul palco trasformo la mia fragilità in forza, e chi ascolta la riceve facendone tesoro. Imparando che niente ci può definire in modo totale».

Dopo la diagnosi di mieloma multiplo, l’incognita sul futuro, Giovanni dice che si è quasi sentito investito da una missione, opposta all’abdicazione al dolore. E cioè quella di voler distruggere certi capisaldi errati della società. L’idolatria del numero, ovvero il successo solo direttamente proporzionale alle vendite, alle copie, ai follower.

E poi la liberazione dal giudizio esterno. Obiettivo che l’ha portato vicino a Kant, citato nel monologo di Sanremo, e al concetto di eternità. Inevitabile quando si ha a che fare con una sentenza di imminenza di morte.

Il ruolo delle meditazione

A questo proposito, di progressiva liberazione dalle trappole della mente, Giovanni ha poi spiegato in dettaglio il ruolo della meditazione. Che ha definito come una pratica che aiuta ad accogliere il dolore («l’espressione fa meno paura di ‘accettare’»). Un percorso senza meta in cui, come gli ha insegnato un maestro tibetano, si unisce al respiro delle parole mentali (semplici «io sto inspirando, io sto espirando»), e la mente tiene lontani i pensieri ossessivi, brutti. 

Lo stadio che si raggiunge è quello di una vita immaginaria (il claim di questo Salone del Libro di Torino), «precedente a me, alla lotta con il dolore. Vero, non si vince, i pensieri non ci lasciano mai», racconta concitato, «ma vinco quasi ogni giorno. Oggi sono qui: ho vinto!»

Giovanni Allevi al Teatro Dal Verme di Milano lo scorso 27 aprile. (Getty Images)

La confessione sugli antidolorifici

Si diventa meno creativi con una malattia? No, ma certi antidolorifici aiutano. Ride Giovanni, mentre confessa: «Non posso dire quali fossero, ma durante la lunga degenza questi farmaci potenti mi hanno liberato la creatività. Ho prodotto in pochi mesi quello che in una situazione ordinario avrebbe richiesto anni».

La cultura: da Omero ad Annibile

Ancora a proposito della fragilità e del sentirsi meno soli, Allevi cita Omero nell’Iliade. In particolare i guerrieri sui cui occhi, vicino alla sconfitta, scendeva una coltre di buio. La stessa che ha visto in molte persone durante le visite all’Istituto dei tumori di Milano. Questa sovrapposizione tra letteratura e vita ordinaria è la salvezza che ci possono dare i libri, dice, «entrambi erano vicini a me, anche se con diverse qualità, ma comunque umani, parte di un’unica coscienza».

Un’altro aiuto dalla cultura è arrivato da Annibale il condottiero, quello degli elefanti attraverso le Alpi. In volo da Vienna a Milano, prima della diagnosi di mieloma ma già dolorante, Giovanni – appassionato di storia – ripensa all’impresa e si chiede come abbia potuto, questo Annibale, compiere un’impresa simile. Ci ripensa poi in cura, fino al punto di chiedere spiegazioni allo storico Giovanni Brizzi (esperto di storia romana di cui legge i libri; oggi suo amico).

Annibale era un grande condottiero, uno dei migliori della storia, ma il genio non si divide, tutto non può controllare. E la consapevolezza che anche i più grandi hanno falle, spegne il fulgore dittatoriale del successo unica cosa di valore, da idolatrare (ancora i numeri che Allevi vuole demistificare; un cerchio che si chiude e che lo rincuora).

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