L'acquisto di un bene di vetusta costruzione evita il risonoscimento di vizi facilmente riconoscibili - PuntodiDiritto

L’acquisto di un bene di vetusta costruzione evita il risonoscimento di vizi facilmente riconoscibili

La garanzia per i vizi redibitori non copre i rischi che l’acquirente per forza di cose assume acquistando un bene in relazione al quale il vizio che lo inficia sia da ritenere facilmente riconoscibile, cioè, individuabile con l’ordinaria diligenza.

E’ ragionevole ritenere che l’acquisto di un bene di vetusta costruzione (il quale è fisiologicamente maggiormente sensibile all’usura del tempo per più note ragioni: la sua diuturna esposizione alle intemperie e ai movimenti tellurici, la sua struttura costituita da materiali compositi e degradabili, la presenza d’impianti tecnologici altamente logorabili, la sua destinazione alla sopportazione di carichi continuati, le tecniche in uso al tempo della sua messa in opera), la cui datazione non sia stata celata dalla parte alienante, possa far ritenere agevolmente riconoscibili vizi, anche importanti, che eventualmente lo inficino.

E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, Sezione 2 Civile, con l’ordinanza del 15 maggio 2024, n. 13425, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato la decisione resa tra le parti dalla Corte di Appello di Bologna con la sentenza n. 40 del 2019.

Con atto di citazione notificato in data giugno 2008, l’Astra S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, Mevio e Augusta Vitruvio, chiedendo che venisse accertata l’esistenza di vizi (riscontrati, in particolare, nel vano sottotetto), da considerarsi occultati da questi ultimi quali venditori, sull’immobile da questi alienato sito in Bologna, viale Fantasia n. 25.

L’instaurazione del processo era stata preceduta da un ATP (il cui procedimento, oltretutto, non era ancora terminato all’atto dell’introduzione del giudizio di merito).

Con la proposta domanda l’attrice invocava la riduzione del prezzo in conseguenza dei vizi riscontrati e la condanna dei venditori al risarcimento dei danni nella misura di euro 500.000,00. I citati convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’avversa pretesa.

All’esito dell’istruzione probatoria, nel corso della quale veniva espletata anche ctu, il Tribunale di Bologna – con sentenza n. 404 del 2016 – rigettava la domanda, con condanna dell’attrice alla rifusione delle spese giudiziali e al pagamento della somma di euro 10.000,00, a titolo di risarcimento danni da lite temeraria.

Decidendo sull’appello formulato dall’Astra Srl, la Corte di appello di Bologna – con sentenza n. 40 del 2019 – lo rigettava, condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte del merito – dopo aver premesso che l’instaurazione di un procedimento di ATP determina l’interruzione della prescrizione, il cui effetto permane fino al deposito della relazione tecnica – rilevava l’infondatezza nel merito della formulata impugnazione, respingendo tutte le contestazioni mosse sulle modalità di espletamento della c.t.u. ed escludendo, come già aveva ritenuto il giudice di prime cure, che i vizi attinenti al sottotetto potessero essere imputati ai venditori, dal momento che gli stessi si erano venuti a manifestare dopo che, nel 2004, la copertura del fabbricato era stata demolita e ricostruita integralmente dal condominio ed erano stati determinati dall’imperizia delle maestranze incaricate dal medesimo condominio nel corso del rifacimento di detta copertura.

Precisava, in ogni caso, la Corte d’appello che l’appellante Astra S.r.l. aveva acquistato un immobile costruito nei primi anni ’50 e, seppure mantenuto in buono stato, non risultava essere stato sottoposto nel tempo ad alcuna opera di ristrutturazione.

Pertanto, la società acquirente non avrebbe potuto ignorare che i solai degli immobili edificati nella suddetta risalente epoca erano stati costruiti con tecniche povere perché non destinati ad alcun uso ordinario.

Avverso la predetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, l’Astra S.r.l.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – l’omesso esame di un fatto decisivo per il processo avuto riguardo al mancato accertamento della proprietà del sottotetto, nella cui area coperta si erano manifestati i vizi dai quali erano provenute le conseguenze dannose a carico dell’immobile acquistato da essa ricorrente.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha lamentato – avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490, comma 1, 1491, 1492 e 1495 c.c., per non avere la Corte di appello rilevato che – anche alla stregua degli accertamenti peritali – era stata acquisita la prova di una situazione di precarietà nella statica del solaio del sottotetto e che tale stato non dipendeva da un deterioramento coerente con lo stato di vetustà dell’immobile, dal momento che vi erano tracce di interventi di riparazione (come le coperture delle lesioni con malta), né trattavasi di uno stato rappresentato ad essa acquirente o dalla stessa prevedibile (presentandosi l’immobile, all’atto della compravendita, come abitabile e in buono stato), ragione per la quale essa ricorrente si era determinata all’acquisto per un valore ben superiore a quello del “fine vita” dell’immobile, dichiarato poi in causa dai venditori.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 13425 del 2024, ha ritenuto i motivi inammissibili e ha rigettato il ricorso con conseguente conferma della decisione impugnata.

La motivazione

A dire del Collegio, il primo motivo è stato ritenuto inammissibile per la preclusione da “doppia conforme” – come stabilita dall’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c. – dal momento che la Corte di appello ha motivato sulla contestata proprietà del sottotetto in modo conforme alla sentenza di primo grado e la ricorrente non specifica come il percorso logico-giuridico-argomentativo addotto a sostegno della sentenza impugnata si discosti da quello adottato dal Tribunale (cfr. Corte di cassazione, n. 26774/2016 e Corte di cassazione, n. 5947/2023).

In ogni caso, la valutazione del fatto assunto come omesso è stata compiuta dalla Corte di appello, la quale ha accertato che il sottotetto era parte condominiale e che, indipendentemente dal titolo petitorio effettivo sullo stesso, la disponibilità e fruibilità dell’area coperta era di esclusiva pertinenza del condominio, per cui i vizi manutentivi non potevano essere addebitati ai proprietari dell’appartamento sottostante (donde anche la “non decisività” della denunciata circostanza), aggiungendosi che era rimasto, altresì, accertato che nell’atto di compravendita il sottotetto non era menzionato come facente parte dell’oggetto del contratto e che in esso si era dato atto che a tale struttura non potesse nemmeno accedersi dall’appartamento compravenduto.

Quanto al terzo motivo esso, in sostanza, si incentra nella valutazione di merito compiuta dal giudice di appello conformemente a quella resa dal Tribunale, escludendo – al di là della circostanza che i vizi si erano manifestati nel sottotetto, il quale non era, come evidenziato, nella disponibilità dei venditori – la natura occulta dei vizi stessi in considerazione dell’acquisita consapevolezza dell’acquisto, da parte della ricorrente (società oltretutto operante nel settore immobiliare), di un immobile la cui costruzione risaliva agli anni ’50, ragion per cui, seppur mantenuto in buono stato, non risultava essere stato mai sottoposto ad alcuna opera di ristrutturazione, onde la stessa acquirente non poteva ignorare che i sottotetti degli immobili edificati nella predetta epoca erano costruiti con tecniche povere perché non destinati ad alcun uso ordinario.

La giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., ad es., Corte di cassazione, n. 3348/2018) ha, a tal proposito, chiarito, in via generale, che «la garanzia per i vizi redibitori non copre i rischi che l’acquirente per forza di cose assume acquistando un bene in relazione al quale il vizio che lo inficia sia da ritenere facilmente riconoscibile, cioè, individuabile con l’ordinaria diligenza».

E’, pertanto, ragionevole ritenere che l’acquisto di un bene di vetusta costruzione (il quale è fisiologicamente maggiormente sensibile all’usura del tempo per più note ragioni: la sua diuturna esposizione alle intemperie e ai movimenti tellurici, la sua struttura costituita da materiali compositi e degradabili, la presenza d’impianti tecnologici altamente logorabili, la sua destinazione alla sopportazione di carichi continuati, le tecniche in uso al tempo della sua messa in opera), la cui datazione non sia stata celata dalla parte alienante, possa far ritenere agevolmente riconoscibili vizi, anche importanti, che eventualmente lo inficino.

La circostanza che la parte degradata e bisognosa di ristrutturazione possa, eventualmente, riguardare parti strutturali dell’edificio immediatamente non percepibili con il senso della vista, quali, a titolo d’esempio, il tetto, i solai o le fondamenta, appare, di conseguenza, irrilevante.

Da tutte queste considerazioni deriva – come correttamente ritenuto nella sentenza impugnata – l’insussistenza della natura occulta dei vizi denunciati.

Avv. Amilcare Mancusi

Ciao, sono un avvocato civilista, ideatore e curatore del sito Punto di Diritto. Sono custode e delegato alle vendite presso il Tribunale di Nocera Inferiore. Mi occupo di consulenza e assistenza legale in materia di esecuzioni immobiliari, problematiche condominiali (sono amministratore di diversi condomini), risarcimento danni, famiglia, successioni e volontaria giurisdizione, consulenza alle aziende. Nel tempo libero sono un runner amatore e leggo con piacere noir e gialli italiani o romanzi di grandi autori moderni.

Arricchisci l'argomento con un tuo commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

error: Il contenuto è protetto!