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L’ordine pubblico nel codice civile del 1942, tra il liberalismo francese e l’egemonia fascista: le origini del concetto

Partendo dall’analisi dell’origine del concetto di ordine pubblico, ci si deve necessariamente confrontare con il problema della mancanza di una definizione strutturale e funzionale dello stesso. Infatti, ciò che si rinviene dal dato legale-testuale delle principali fonti normative di cui si compone l’ordinamento giuridico italiano nel periodo pre-costituzionale e più correttamente, ante l’interpretazione della Corte Costituzionale delle norme contenute nel codice civile del 1942 nell’ottica finalistica di dare un senso giuridico-legale al concetto di ordine pubblico, è un mero richiamo del concetto nel dispositivo normativo ad esso ricollegato. Ad onore di correttezza, in tale momento storico, si può rinvenire un certo modo di intendere il concetto di ordine pubblico, un senso che viene tratto per derivazione.
Le disposizioni normative del codice civile del 1942 che richiamano il concetto di ordine pubblico, infatti, ereditano la propria sostanza normativa dal codice civile francese, il quale converge l’applicazione del primo, nel senso di rispetto e superiorità della legge “tout court (1)”.
L’influenza normativa francese su quella italiana, almeno nella materia civilistica, è resa manifesta e diretta dall’impianto normativo stesso del codice civile italiano del 1865, su cui poi si baserà la redazione del codice del 1942, di cui l’articolo 12 delle preleggi come norma di diritto privato internazionale e l’articolo 1343 sull’illiceità della causa, rappresentano la riproduzione fedele dei corrispettivi articoli 6 e 1133 del Codice civile Napoleonico del 1804, ricalcandone perfettamente i principi strutturali e funzionali (2).
L’ordine pubblico, quindi, in tale contesto derivativo, assume la veste di norme inderogabili dai privati (richiamo al diritto pubblico) la cui autonomia, sebbene riconosciuta, non può certamente valicare o peggio ancora, contrastare la macrostruttura dello Stato-Nazione.
L’esame delle fattispecie del codice civile, che fanno espresso richiamo al concetto di ordine pubblico, ci fornisce una prima fondamentale informazione, l’area giuridico-materiale, che corrisponde al contratto e alle manifestazioni della volontà dei singoli, diverse da quest’ultimo. Infatti, l’art. 25 c.c. richiama l’ordine pubblico quale limite alle deliberazioni delle fondazioni; l’art. 634, come limite alla volontà testamentaria; l’art. 1229, lo definisce punto non invalicabile delle limitazioni alla responsabilità del debitore; l’art. 1343 rende la violazione dell’ordine pubblico, motivo di illiceità della causa del contratto; l’art. 1354 determina la nullità della condizione apposta al contratto quando la stessa è contraria all’ordine pubblico; l’art. 2031 lo richiama nella disciplina del negozio di gestione affari altrui e lo pone anch’esso come limite; l’articolo 2035 sancisce l’irripetibilità della prestazione quando questa viene eseguita per uno scopo contrario al buon costume; gli articoli 839 ed 840 del codice civile, che si occupano di definire i reati collegati ai beni di interesse storico ed artistico ed alla proprietà, non richiamano il concetto direttamente, ma la dottrina maggioritaria ne ha rinvenuto un collegamento indiretto in ordine alla funzione svolta dal concetto di ordine pubblico, fino a quel momento storico e nell’ambito del diritto civile e l’affinità dell’oggetto materiale a cui si riferiscono quest’ultime disposizioni menzionate e le restanti disposizioni civilistiche richiamate poc’anzi.
La correlazione tra l’impianto normativo civilistico italiano e quello francese, quindi, si traduce nell’applicazione del concetto di ordine pubblico come strumento di tutela dei valori fondanti l’ordine sociale dello Stato e quindi funzionale a limitare l’attività contrattuale dei singoli in relazione al rispetto di quest’ultimi, al fine di garantire l’autonomia privata da una parte ed il rispetto della legge e allo stesso tempo, la superiorità di quest’ultima rispetto alla prima. In tal senso, in sostanza, l’ordine pubblico, diviene limite all’agire negoziale, esprimendo, più specificatamente, l’esigenza legale che i privati, con le loro convenzioni, non sovvertano quei valori fondamentali su cui si fonda l’ordine sociale (3), ma che realizzino i loro rapporti nel rispetto dei valori fondanti il sistema giuridico e l’organizzazione sociale in generale.
Se questa può essere considerata la prima faccia dell’ordine pubblico, così come interpretato, alla luce del momento storico che precede la Costituzione e delle disposizioni civilistiche pertinenti in materia, ci si deve però confrontare con la realtà normo-politica e sociale del tempo e rilevare quanto e come quella realtà sia penetrata nell’assetto normo-valoriale dell’ordinamento giuridico italiano. Infatti, se da una parte il codice civile del 1942, subisce l’influenza giuridica e politica dell’“ancien regime” recependone i principi fondanti, dall’altra, la fine della Grande Guerra e con essa la radicalizzazione del regime fascista, hanno contribuito a rimodellare l’ordinamento giuridico e di questo, per ciò che a noi interessa, l’ordine pubblico in ottica servente alla supremazia dello stesso. La vaghezza del significato in se e la mancanza di una definizione chiarificatrice del concetto di ordine pubblico, ha facilitato l’opera di manipolazione dello stesso al fine di realizzare, concretamente, l’ideale totalitario ed assolutista del regime fascista, cioè al fine di giustificare sul versante legale i poteri impliciti (4) come assetto di autorità e potere al di fuori del principio stesso della legalità. Quello che emerge dall’analisi strutturale e funzionale della normazione del tempo, concentrando la stessa sul concetto di ordine pubblico, è l’utilizzo di quest’ultimo come strumento per affrancare legalmente l’ascesa totalitarista dello Stato fascista.
A mero titolo esemplificativo, si può fare riferimento al discorso tenuto dal Guardasigilli Dino Grandi del 31 gennaio 1940 (5), durante il quale nel rapporto di Mussolini alle commissioni per la riforma dei codici si indicava, attraverso il recupero e la reinterpretazione del diritto romano classico giustinianeo in chiave servente al nuovo potere politico, l’opportunità di portare all’approvazione del Gran Consiglio i principii generali dell’ordinamento fascista, letti come il fondamento dell’esigenza dell’autorità dello Stato che si esprime in un nuovo e più ampio concetto di ordine pubblico. Si tentava, quindi, di dare positivizzazione, anche formale, al nuovo ordine pubblico dell’ordinamento fascista per garantire unitarietà, compattezza e solidità al nuovo ordinamento giuridico.
La tutela dell’ordine giuridico, così individuata, portò negli anni della dittatura fascista ad un proliferare di interventi normativi che, in ossequio all’ordine pubblico, producevano norme altamente limitative della libertà: il concetto è stato quindi applicato sostanzialmente attraverso un generalizzato ed indisturbato potere di polizia, rivolto a mantenere l’ordine fascista sul piano ideale. L’evoluzione del concetto di ordine pubblico, in senso palesemente antidemocratico e “praeter legem”, era funzionale alla lettura fascista dell’ordine pubblico stesso, come valore ideale ed autonomo. Questa interpretazione dell’ordine pubblico è stata trasdotta, inevitabilmente, nei lavori preparatori del codice civile del 1942 ed ha trovato indicazione anche nell’articolo 12, disp. prel., allorquando si fa riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, facendo coincidere il concetto di Stato con l’ organizzazione politica della società nazionale e interprete della coscienza sociale, confermando il ruolo assunto dall’ordine pubblico nel significato poc’anzi esposto.
La necessità di tutelare l’ordine fascista, quindi, porta alla strutturazione di un impianto normativo servente allo Stato, definendone i tratti tipici di uno Stato di polizia, volto al mantenimento dell’ordine, inteso non tanto come difesa della cittadinanza, ma come difesa del sovrano da eventuali moti di ribellione. L’impostazione ideologica-strutturale ordinamentale, si traduce nell’effettività dei rapporti e quindi nella sostanza dei fatti giuridico-sociali, con una repressione ideologica ed una catena impeditiva delle libertà positive delle persone. Si trattava di un concetto interpretato in senso assoluto e “ideale”, alla luce del quale ogni espressione di dissenso poteva esser letta come l’avvisaglia di una guerra civile (6). Emblematico, nell’intento di analizzare l’applicazione del concetto di ordine pubblico, rimane il giudizio del grande criminalista tedesco Karl Binding (riportato da INSOLERA, 2016, 294), il quale nel 1922, a fronte dell’analogo titolo previsto nel codice germanico del 1871, non esitava a definire la categoria dei delitti contro l’ordine pubblico come “il ripostiglio (Rumpelkammer) di concetti in cui collocare quanto risulta difficile sistemare altrove”.
Il codice civile del 1942, dunque, è un sostrato di reminiscenze del vecchio codice civile, fedele all’assetto ideologico e valoriale del codice civile Napoleonico e delle forze ideologiche fasciste poste al dominio non solo dello Stato, inteso come apparato, ma di tutta la collettività ancora lontana dal ruolo di sovrano, anzi, in questo periodo ridotta a sudditanza.
Nell’ideologia fascista, infatti, lo Stato esprime direttamente la volontà e gli interessi del popolo, onde i diritti dei singoli esistono in funzione dell’interesse collettivo, che serve a garantire l’esistenza e la libertà dei singoli e della Nazione, appunto perché l’individuo non è il fine, ma il mezzo dell’organizzazione sociale. Quanto fino ad ora affermato può rinvenirsi attraverso l’analisi dell’evoluzione interpretativa dell’articolo 5 del codice civile, che costituisce la più discussa disposizione civilistica, tra le poche redatte, espressiva dei diritti della persona. L’articolo 5 recita: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Tale disposizione, sebbene costituisce una novità sul piano normativo in relazione all’oggetto normativo, la persona, in sostanza ne svilisce l’importanza nell’efficacia del contenuto e nell’effettività della tutela. Infatti, nell’atto di disporre del proprio corpo, la persona si ritrova ad essere fortemente limitata e di conseguenza la tutela accordata alla vita ed in specifico all’integrità fisica della persona, sono relegati ai soli atti circoscritti a parti staccate dal corpo, perché quest’ultime vengono oggettivate sul piano giuridico divenendo cose e, per lo stesso motivo, la tutela si rivela come tutela di beni autonomi e separati dalla persona alla quale appartengono, circoscrivendo in tal modo il limite della normazione del tempo che si sostanzia nella spersonalizzazione, cioè nell’assenza della persona in tanto tale e di conseguenza nell’assenza del potere e del diritto di autodeterminarsi in tutte le situazioni giuridiche che le fanno capo. Ma non è tutto: da tale impostazione di principio, la disposizione del corpo intesa nel senso appena descritto deve avvenire esclusivamente per ragioni di pubblica utilità, non in funzione solidaristica, ma in funzione servente. Infatti, se viene concesso un diritto di disporre sul proprio corpo, esso deve essere indirizzato al perseguimento degli obiettivi generale senza che possano travalicarsi i limiti imposti dallo Stato, poiché lo scopo per ogni consociato deve essere quello di adempiere ai propri doveri sociali in ogni ruolo assunto dal medesimo nella società.
L’ordine pubblico, quale strumento di potere per la realizzazione e la giustificazione ideologica dei poteri impliciti (7), per tali motivazioni funzionali, influenza la stessa nozione di diritto soggettivo. A causa delle ragioni ideologiche appena descritte, l’unica via per disporre effettivamente del proprio corpo era rappresentata dal ricorso al combinato disposto di tale norma specifica, l’articolo 5 del codice civile con l’articolo 50 del codice penale, che disciplina il consenso dell’avente diritto, ritenendo che la disponibilità del corpo umano si esaurisse nell’ambito di applicazione di tale ultima disposizione; siffatta correlazione fu, peraltro, suggerita tanto dalla Relazione ministeriale del progetto definitivo al codice penale, quanto dai lavori preparatori dello stesso codice civile, i quali richiamavano espressamente l’art. 50 c.p. A tal proposito è utile richiamare brevemente un caso storico di disposizione del corpo, in relazione proprio all’articolo 50 del c.p. Qui di seguito viene esplicitato il fatto in questione: “Un giovane studente napoletano, ricoverato all’Ospedale degli Incurabili di Napoli per un’infezione intestinale, acconsente alla cessione di un proprio testicolo a favore di un facoltoso brasiliano, dietro un compenso di £ 10.000; nonostante l’esito positivo dell’operazione, venne promossa un’azione penale a carico dei medici e del giovane ricevente per il reato di lesioni personali. In tutti e tre i gradi di giudizio, seppur con argomentazioni diverse e in parte contraddittorie, viene esclusa l’illiceità penale del fatto, poiché ritenuta operante la scriminante dell’art. 50 c.p.. In particolare, la Corte di Cassazione attribuì rilievo centrale alla volontà dello studente, perché, pur ritenendo il bene integrità fisica indisponibile, evidenziò che nel caso di specie il pregiudizio derivante al disponente non fosse particolarmente grave, posto che non avrebbe impedito l’adempimento dei suoi “doveri in rapporto alla famiglia e allo Stato”; dall’altro lato, il ricevente aveva ottenuto un beneficio dall’operazione, in quanto ne risultavano ampliate la vigorìa sessuale e le potenzialità generative, a tutto vantaggio della Nazione e della sua politica demografica. La pattuizione del compenso venne, altresì, considerato un fattore irrilevante, in quanto non in contrasto con la morale sociale corrente (8)”.
In buona sostanza, il consenso dell’individuo (capace) ha la funzione di giustificare, rendendolo non punibile il comportamento di chi compia atti lesivi nei suoi confronti, solo se questi ultimi siano astrattamente consentiti al titolare del potere di disposizione e tale consenso normativo legittimante si valuta sulla base del parametro funzionale, già esplicitato, e relativo all’interesse collettivo, quindi funzionale allo Stato, perché sostanzialmente, in tale momento storico, non esiste la persona in quanto tale e quindi titolare del diritto di autodeterminarsi, ma esiste la persona in quanto funzionale agli scopi pubblici.
In tale fetta della normativa civilistica l’ordine pubblico indica, quindi, i principi basilari del nostro ordinamento sociale (9) avente la funzione di criterio valutativo della meritevolezza dell’agire negoziale, sia esso riferito allo strumento contrattualistico, che ad atti di disposizione del corpo, nell’ottica finalistica a vantaggio dello Stato. Il passaggio cruciale e progressista, che segna la svolta nel sistema dei diritti, avverrà dalla fine del regime fascista e dall’accentramento della tutela nella persona con la nascita della Costituzione. E’ proprio con la Costituzione, infatti, che si verifica l’evoluzione del sistema normativo, che dal servire lo Stato passa a servire la persona ed attribuisce a quest’ultimo il compito di tutelarla, non solo da se stessa e dagli altri, ma anche e soprattutto dallo Stato stesso. Con il cambiamento dell’assetto valoriale e dei principi posti alla base della convivenza sociale, muta anche il ruolo e la funzione svolta dall’ordine pubblico, che con la Costituzione, o meglio attraverso i principi in essa espressi, si avvia a divenire ciò che attualmente sembra essere una forma di tutela in funzione personalistica.

Note

(1) Sulla nozione di ordine pubblico nel codice civile si v. G.B. FERRI, voce Ordine pubblico (dir. priv..), in Enc. dir., XXX, Giuffè, Milano, 1980, p. 1043 ss.; G. Panza, voce Ordine pubblico (teoria generale), in Enc. giur. Trec., XII, Istit. Enc. It., Roma, 1991, p. 1 ss.; A. Guarnieri, voce Ordine pubblico, in Dig. disc. priv., XIII, Utet, Torino, 1995, p. 156 ss . Il Codice Napoleonico si limitava ad affermare, all’art. 6, che “le leggi che interessano l’ordine pubblico o il buon costume non possono essere derogate dalle convenzioni particolari”. In buona sostanza, l’ordine pubblico veniva inteso come sinonimo del carattere inderogabile della legge: dall’esame dei lavori preparatori si evince infatti che lo scopo dei compilatori del codice francese era quello di recepire nell’art. 6 la regola di Papiniano, secondo cui “Ius publicum privatorum pactis mutari non potest”, nonché la regola di Ulpiano, in virtù della quale “Privatorum conventio iuri publico non derogat”, entrambe, interpretate alla luce di un principio elaborato da Bartolo, vale a dire che “Contra tenorem legis privatam utilitatem continentis pacisci licet”.

(2) MALAURIE, L’ordre public et le contrat, Matot-Braine, Reims, 1953, p. 3; G. Passagnoli, Note sull'”ordre public” dopo la riforma del “code civil”, in Persona e Mercato, 2017, fasc. 4, pag. 7.

(3) L’ordine pubblico nel sistema giuridico francese, diviene sinonimo di ordine sociale sul piano empirico, derivante a sua volta, dall’Ancien règime e si fonda in sostanza, sull’abolizione della distinzione sociale sul piano ideologico e sul pieno riconoscimento della proprietà e dell’autonomia economica, sul piano concreto e normativo. Si tratta di una formula affermatasi nel momento in cui gli ideali rivoluzionari vengono cristallizzati in un corpo normativo organico, quale la codificazione napoleonica. Dopo i disordini del periodo giacobino, infatti, occorreva sostituire allo spirito della Rivoluzione, un quadro giuridico normativo, in grado di restituire il senso di dignità che la prima aveva, per certi versi, deluso. Nasce così un codice civile che si presenta sostanzialmente come “code du citoyen”, conforme al pensiero liberale radicato sul riconoscimento dei due tradizionali diritti fondamentali: “proprietà” e “libertà”, da intendersi come libertà economica, perché è proprio la ricchezza e come essa viene amministrata, a fungere da nucleo centrale ordinamentale. L’affermazione di quei principii fondanti la rivoluzione francese e la successiva normazione, può trovare effettività, solo attraverso l’equa distribuzione delle ricchezze e l’ordinato svolgersi dei rapporti negoziali e contrattuali.

(4) Sui poteri avocati da Mussolini durante il regime fascista, si prenda visione di Trifone Gianpaolo, Dallo Stato di diritto al diritto dello Stato, e-Book, p. 65, G. Giappichelli,2019; D’Addio Mario, “La crisi dello stato liberale e l’avvento dello stato fascista”, Il Politico, vol. 64, no. 4 (191), 1999, pp. 501–561.JSTOR, www.jstor.org/stable/43101905. Accessed 14 Oct. 2020.

(5) In I lavori preparatori dei codici italiani, una bibliografia, ministero della giustizia dipartimento per gli affari di giustizia biblioteca centrale giuridica, 2013, giustizia.it.

(6) Cit. Alessandra Pellegrini De Luca, La persistenza della cultura fascista si manifesta nel comportamento delle forze dell’Ordine, articolo pubblicato in The Vision il 3 Gennaio del 2020.

(7) FIANDACA-MUSCO, 2012, 474, secondo la cui valutazione in sostanza l’ordine pubblico così inteso sarebbe sinonimo di ordine legale costituito.

(8) Il caso si trova citato e descritto da S. RODOTÀ, ult. op. cit., p. 84, Cit. di I. Rapisarda, Il corpo umano come oggetto di diritto nell’era biotecnologica, Tesi di Dottorato, 2016; R. ROMBOLI, Sub. Art. 5, in Commentario del c.c. Scialoja Branca, a cura di Galgano, Delle persone fisiche, Bologna- Roma, 1988, 225 e ss; P. D’ADDINO SERRAVALLE, Atti di disposizione del corpo e tutela della persona umana, Napoli, 1983, p. 21; e ss; A. SANTOSUOSSO, op. cit., p 139 e ss..

(9) G. CORSO, voce Ordine pubblico (dir. pubbl.), cit., p. 1058, (nel codice civile l’ordine pubblico era – ed è – da intendere come limite di efficacia alle manifestazioni di autonomia negoziale dei privati).

Bibliografia

A. Pellegrini De Luca, La persistenza della cultura fascista si manifesta nel comportamento delle forze dell’Ordine, articolo pubblicato in The Vision il 3 Gennaio del 2020.
D’Addino Serravalle, Atti di disposizione del corpo e tutela della persona umana, Napoli, 1983.
D’Addio, Mario. “La crisi dello stato liberale e l’avvento dello stato fascista”, Il Politico, vol. 64, no. 4 (191), 1999, pp. 501–561, JSTOR, www.jstor.org/stable/43101905.
Malaurie, L’ordre public et le contrat, Matot-Braine, Reims, 1953.
G. Passagnoli, Note sull'”ordre public” dopo la riforma del “code civil”, in Persona e Mercato, 2017, fasc. 4.
Trifone Gianpaolo, Dallo Stato di diritto al diritto dello Stato, e-Book, G. Giappichelli, 2019.

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