Venditti celebra i 40 anni di "Cuore". E a Sangiuliano: "Ha perso l'occasione di sentirmi cantare" - la Repubblica

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Antonello Venditti celebra i 40 anni di ‘Cuore’. E a Sangiuliano: “Ha perso l’occasione di sentirmi cantare”

Antonello Venditti celebra i 40 anni di ‘Cuore’. E a Sangiuliano: “Ha perso l’occasione di sentirmi cantare”

Il ministro ritardatario replica con una battuta: “Sono così fan che pur di vederlo sono persino andato al Festival dell’Unità”

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“Ha perso un’ottima occasione di sentire la mia esibizione. Ministro o non ministro la vita va avanti”. Antonello Venditti si è alzato e ha suonato “Notte prima degli esami” al pianoforte, senza che fosse presente il ministro Gennaro Sangiuliano. Da un’ora lo aspettava. Stamattina doveva essere con lui, nella sala strapiena (solo posti in piedi) al ministero della Cultura per presentare i quarant’anni del disco “Cuore”, ma il responsabile del dicastero si è palesato in chiusura di conferenza: era impegnato al Forum dei commercialisti alla Nuvola.

Pochi minuti e molte più gag. Sangiuliano che confessa: “Sono così fan che per vedere Antonello, a Napoli, andai addirittura alla Festa dell’Unità. Viva Venditti!”. Antonello che risponde: “Direi, Viva l’Italia tutta intera, e libera. Sei d’accordo?”. E questo dopo aver fatto il suo applauso ai giornalisti in difesa del diritto di critica (vedi lo sciopero Rai per censure e pressioni del governo). Poi lo saluta: “È stato un piacere conoscerti”, Sangiuliano risponde: “Ma io ti ho già intervistato da giornalista”, e Venditti: “Ah, non me ne sono accorto”. Infine, davanti agli studenti dei licei “Giulio Cesare” e “Visconti”, l’artista ha detto la sua sulla polizia: “Dovrebbe accompagnare la democrazia, difendere le manifestazioni, non opporsi” e sulla guerra: “Vince chi tende la mano per primo”.

Stoccate qua e là, ma per nulla distanti dal senso di quel disco uscito il 20 luglio 1984, che conteneva il 1966 (anno del suo diploma), il 1968 (gli scontri a Valle Giulia), gli anni ‘70 della contestazione e delle stragi, della condivisione e degli ideali, gli ‘80 dell’edonismo, previsioni su corruzione e dittatura dell’apparenza. Musica, società, politica. Come stamattina.

Sarà ristampato il 14 giugno, con l’inedito Di’ una parola, cover del duo A Great Big World con Christina Aguilera: pezzo intimo, piano, voce e archi, e l’aggiunta di un assolo di chitarra elettrica. Poi Venditti partirà in tour con la superband: Arena di Verona 19 maggio, ospiti Gazzelle e Fulminacci; Terme di Caracalla 18, 19, 21 giugno, e via per l’Italia. L’Italia tutta intera. Il patrocinio istituzionale conta, perché al disco viene riconosciuto un valore storico-culturale. È insieme personale e intergenerazionale, contestuale e universale.

Venditti, come stava vivendo quegli anni ‘80?

“Come una riconquista, di me stesso e dei miei luoghi. Roma per me era kryptonite. Ero stato in esilio brianzolo per due anni, depresso. Dovevo digerire la separazione (da Simona Izzo, ndr), recuperare il rapporto con mio figlio, risolvere problemi economici. Fu Lucio Dalla a impormi di tornare a Roma. Aveva scattato le foto per La sera dei miracoli dalla terrazza di una casa a Trastevere, quasi mi obbligò ad andarci ad abitare”.

Eravate molto legati?

“Per me, Dalla era il futuro. Artisticamente dava la direzione, ci portava tutti avanti. E poi girava in motorino di notte, collezionava le monete del Tevere. Era quasi più romano di me”.

In quella casa entrò prima di tutto il suo pianoforte Anelli, lo stesso su cui a 14 anni compose Sora Rosa.

“Infatti aveva i tasti laterali bruciati dalle sigarette. Mi sedetti e nacquero per magia tre canzoni: Grazie Roma, Notte prima degli esami e Ci vorrebbe un amico, dedicata a Lucio”.

Grazie Roma uscì prima, nel 1983. La fece dal vivo a Circo Massimo.

“Sciolsi il mio voto di non suonarla fino allo scudetto. Fu più di una festa. Io, lì, trovai la grazia. Sparirono paure e paranoie perché la città mi accolse. Se Roma ti è amica, può bastarti. Invece Notte prima degli esami e Ci vorrebbe un amico le misi nel disco, le suonai live per la prima volta al Circo Massimo del 30 maggio 1984”.

Data funesta per i romanisti, sconfitti in finale Coppa Campioni.

“C’era l’eclissi parziale di sole, gli auspici dell’antichità avrebbero consigliato di non giocare. Feci un concerto in due parti, una il pomeriggio, l’altra la sera. Dovetti consolare trecentomila affranti, me compreso. Furono note di luce nel buio. Nella vita si vince e si perde, ma la vera vittoria è stare insieme civilmente. Il canto sublima tutto”.

Ci crede ancora?

“Fermamente. Preferisco il canto al silenzio. È liturgico, una manifestazione dell’anima che fa superare la solitudine”.

Stella sembra proprio una preghiera.

“Nasceva così, poi dal 1992, strage di Capaci, la dedico agli agenti della scorta di Giovanni Falcone. Nel brano, credo attualissimo, dico che è la rinuncia al potere a renderci grandi. È forse la più cristiana delle mie canzoni. Ma sono anche laico. Una parte di me critica l’altra e da qui nasce la mia libertà”.

Torniamo al 1984: i Clash suonavano alla Festa de l’Unità, eventi cinematografici e teatrali ovunque. Che atmosfera ricorda?

“C’era ancora l’Estate Romana, che dal 1977 combatteva il terrorismo a colpi di bellezza. La cultura passava dai colti ai molti. Le piazze, dal centro alla periferia, erano piene. Io ero finalmente tornato in città, con il privilegio del civis Romanus sum. Il 16 giugno 1983 stavo dietro gli amplificatori con De Gregori alla manifestazione del Pci al Pincio, quando Roberto Benigni prese in braccio Enrico Berlinguer. E c’ero il 13 giugno 1984, ai suoi funerali, fra un milione e mezzo di persone”.

L’inizio della fine?

“Dopo, cominciò la decadenza morale della politica. Berlinguer fu una figura rivoluzionaria. Tentò di superare il comunismo sovietico che, tra l’altro, nessuno che conoscessi sosteneva. Noi avevamo ideali democratici. Mi spiace sia rimasto solo un simbolo, perché invece era un uomo molto concreto. All’epoca esisteva una prepotente lotta fra il suo moralismo concreto e l’edonismo craxiano”.

E lei se ne uscì con L’ottimista, dall’aria socialista, serio nei discorsi ma più felice all’ora di pranzo. Il Psi le diede del perfido agitatore.

“Il brano deflagrò. Craxi non la prese bene, mi evitava. Ero una voce antagonista all’allora presidente del Consiglio. Hanno spesso detto che non scrivevo più canzoni militanti, ma forse erano gli altri che non sapevano più riconoscerle. Comunque, otto anni dopo scoppiò Tangentopoli”.

Anche in Mai nessun video mai anticipò un tema: i pericoli dell’era digitale.

“Il culto dell’immagine negli anni ‘80 avanzava, insieme all’individualismo, alla “musica da vedere”, e il rischio era che ci sfuggisse la realtà, il contatto con gli altri che avevano sperimentato fortemente negli anni ‘70. Nessuno può trasformarci in stream e like, sennò capita di essere più morti da vivi e più vivi da morti. Io ci tengo alla mia fisicità, e ai concerti che danno la possibilità di toccarci e confrontarci”.

Per questo ha proposto una legge per inserire la musica pop nella Costituzione?

«La musica popolare contemporanea è spesso relegata a canzonetta, rientra genericamente tra i beni culturali, come submateria. Invece, oltre a essere un comparto produttivo, è forse il più forte strumento di coesione del Paese. Lo era in quegli anni, lo è tuttora».

La accusavano di disimpegno ma pure in un brano d’amore come Qui infilò gli scontri di Valle Giulia del 1968.

“Quell’1 marzo la celere ci trascinò in caserma. Mio padre, viceprefetto, venne a prendermi a mezzanotte, mi stampò un cazzotto e disse: ‘Vieni a casa cretino’. E dire che era meno rigido di mia madre, professoressa di Greco e Latino. Come faccio a separare il politico dal personale?”.

Non è un nostalgico?

“Per niente. Quasi in ogni canzone riparto dalla storia, me la carico sulle spalle per rileggerla e capire il presente, così da immaginare il futuro. Senza il passato, il futuro è una scatola vuota”.

Che tour sarà?

“Molti brani di Cuore non sono mai usciti dalle mie scalette, ma ci sono alcune rarità tipo L’ottimista, Non è la cocaina, Mai nessun video mai. E poi i suoni saranno fantastici. Registrammo con tecniche all’avanguardia, ci sono tornate utili”.

L’inedito è una cover di Say something. Come mai questa scelta?

“L’ho ascoltata così tanto da assorbirla. Come fu per Alta marea, cover dei Crowded House, che è diventata tra le più mie delle mie canzoni”.

Si chiede come fanno le sue canzoni a durare?

“Prendi Notte prima degli esami, ogni strofa è un film. Dagli studenti si allarga a famiglia e società. Sarebbe interessante darla come traccia alla maturità, per far raccontare i ragazzi di oggi. La chiave del brano sta nei versi: ‘Si accendono le luci qui sul palco, ma quanti amici intorno’. Sono io in concerto, e nuovi amici ogni volta. È un eterno presente, sempre in movimento, poi va in flashback, alla mia maturità. Credo di riuscire a fissare alcune cose immutabili perché il mondo cambia, ma non pone rimedio. Le ingiustizie sociali, le guerre, le invasioni russe, sono le stesse. L’unico sentimento stabile e in grado di rinnovarsi è l’amore. Canto ‘se l’amore è amore’, appunto”.

Che rapporto ha con il tempo?

“Quantistico. Ho una visione delle cose da dentro, da fuori, da sopra, unitaria, a più dimensioni. Cerco di posizionami nella vita sfuggendo alle regole cronologiche. Forse per questo i miei vecchi brani sembrano scritti oggi. La prossima canzone nuova? L’ho già scritta (ride, ndr)”.

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