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Morti "nostri"

di Paolo Bartolini

Sto rileggendo qualche pagina di un libro a me caro di Jean Baudrillard. Nel frattempo mi capita di incrociare un articolo molto interessante riportato sul blog di Beppe Grillo, relativo a un nuovo, inquietante servizio digitale basato sulla cosiddetta "intelligenza" artificiale. Parliamo di un programma che, partendo da poche registrazioni della voce di una persona defunta, può creare un soggetto virtuale che parli con noi evocando - appunto - la persona cara che fisicamente è ormai fuori dalla nostra portata. L'articolista sottolinea, giustamente, i nodi etici, emozionali e materiali di questa pratica (che ovviamente apre una potenziale fetta di mercato da sfruttare).

È possibile che le interazioni fittizie, ma cariche di emozione, con il defunto processato a livello informatico e reso "presente" articolandone la voce in digitale, rendano più difficile l'elaborazione del lutto. Aggiungo, ed eccoci a Baudrillard - grande sociologo e filosofo francese - che uno dei problemi sta proprio nell'attitudine della Realtà Integrale prodotta artificialmente a rendere tutto presente, dunque a cancellare il gioco dialettico tra presenza/assenza, coscienza/inconscio, visibile/invisibile che caratterizza la nostra specie.

Nessuno scarto, dunque l'illusione che i segni del linguaggio e della macchinazione digitale possano dire la cosa o addirittura "presentificarla" riducendo a zero quella distanza fondamentale che separa, per l'animale culturale, il simbolo dal suo "oggetto". Dinamica che manda in cortocircuito il desiderio, che attualizza ogni possibile portandoci a uno strano senso di soffocamento. Se non posso piangere l'assenza di chi non c'è più, imparando gradualmente (anche grazie ai meccanismi dell'oblio e alla selettività della memoria) a frequentare una nuova e misteriosa relazione con chi è sottratto alla presa del nostro rapporto precedente, allora rischio una ridondanza di presenza coatta, il corrispondere perpetuo e senza punti ciechi di me che domando e del morto "doppiato" che risponde come se fosse vivo, come se non fosse tra-passato modificando lo status del nostro legame in direzione di un lavoro interiore incessante (finalizzato a integrare la perdita in una vita che va avanti).

La tecnologia al servizio del capitale, giunta a questa rivoluzione di cui non riusciamo ancora a misurare gli effetti, sembra incatenarci alla ripetizione testarda di fantasie di onnipotenza. Più crescono questi "poteri di calcolo" che simulano la complessità della vita umana, più ci accorgiamo che sul piano politico e sociale svaniscono i possibili e il futuro ci è precluso. Un tempo compatto, non più aperto nelle direzioni del passato e del futuro, del ricordo e dell'attesa (del pro-getto). Ottuso, pre-calcolato, soddisfacente solo per chi vorrebbe follemente colmare la divaricazione tra essere vita e averla nel sapere della morte, quindi nel linguaggio. Prestiamo attenzione a quanto sta avvenendo, perché la libertà si contrae proprio quando ci illudiamo di avere padronanza su ciò che, inevitabilmente, è destinato a perdersi.

 

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