La spesa, gli amici. La Toscana di Mika: “Qui ho trovato il mio posto del cuore” - la Repubblica

Firenze

L’intervista

La spesa, gli amici. La Toscana di Mika: “Qui ho trovato il mio posto del cuore”

La spesa, gli amici. La Toscana di Mika: “Qui ho trovato il mio posto del cuore”
Il musicista sarà a Lucca il 19 luglio, ospite del Summer Festival, per l’unica data italiana del suo tour
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C’è il Mika libanese. Quello francese. Quello inglese. E quello italiano, che si divide tra Milano e un casolare nella campagna intorno a Firenze. Qui, nel 2018, la popstar multicolor e multitasking ha trovato la quadratura al cerchio della sua vita, in un momento non facile: «Litigai con il mio compagno da 19 anni, Andreas Dermanis, e non feci troppi discorsi. Noleggiai un’auto, chiamai un’agenzia e in tre giorni girai l’Italia per cercare un posto dove chiudermi nella mia bolla e scrivere canzoni - racconta - Sono stato in Brianza, poi a sud di Roma e, giusto l’ultimo giorno sono approdato in questo piccolo paese toscano a me sconosciuto, dove ho sentito un’energia che mi piaceva. Non è un borgo noto, come Greve in Chianti o Fiesole, ma molto defilato, appartato, ottimo per comporre. Appena finiti i lavori per realizzarvi lo studio di registrazione, ho chiamato Andreas: sono in Toscana, da domani inizio a lavorare al mio nuovo album. Se mi raggiungi ok, altrimenti capirò. Lui è corso, e oggi adora la Toscana. Figuriamoci, è un mezzo greco delle montagne, tutto ceramiche e animali. La Toscana ci ha riuniti».

DANILO D'AURIA
DANILO D'AURIA 

La scelta di Lucca come unica città italiana toccata dal suo Apocalipse Calypso Tour, il 19 luglio in piazza Napoleone per il Summer Festival, è dunque naturale, oltre che d’affezione («a Lucca ho trascorso il Capodanno sparando petardi nelle piazza del centro, ma forse non dovrei svelarlo»). E invita la popstar a raccontare la “sua” Toscana per la prima volta, rompendo la proverbiale riservatezza: «Non dirò mai che l’ho scelta per il cibo - ride, di una risata bambina - anche perché a Firenze i ristoranti cucinano gli stessi piatti a prezzi impossibili e a misura di turista. Io preferisco fare la spesa nel vivaio vicino a Lucca dove c’è un piccolo orto biologico a costo di viaggiare per un’ora, poi c’è il mio amico Aldo che fa i cesti a San Casciano, ci sono i ceramisti di Montelupo o l’anarchico dell’argento Gianfranco Pampaloni con cui passo serate che sembrano il teatro dell’assurdo di Ionesco, nella sua fabbrica. Conosco tutte le lavoratrici delle Coop di San Casciano e di Montelupo. E quando organizzo una festa in giardino, è fondamentale che ci siano tutti, dal conte al panettiere. Altrimenti perché mai avrei dovuto scegliere la Toscana?».

DANILO D'AURIA
DANILO D'AURIA 

Nel momento in cui torna a fare concerti, sul palcoscenico Mika vuole «costruire un mondo, ispirato da grandi come David Bowie o David Byrne. Lo spettacolo per me non è la promozione di un nuovo album, ma uno show con un inizio ed una fine, che magari dica qualcosa di nuovo. Dentro c’è il mio eclettismo che mescola pop, classica, elettronica, c’è il mio essere libanese, inglese, francese, italiano. I concerti così sono una sfida perché significa sperimentare, andare oltre lo schema, adattarli ai luoghi dove approdano. Anche in Italia sarà così, ma nessun omaggio, parola che non sopporto. La scelta delle canzoni, secondo me, vale più delle parole».

L’allegria è il collante di un live teatralissimo e ballatissimo, «come un rave a Manchester negli anni Novanta. È la mia forma di resistenza, e spero che rimarrà anche quando avrò 80 anni. Io la chiamo joie engagée, goia impegnata. In realtà è come una bestia che mi abita non quando faccio la spesa, ma sul palco. Se non ci fosse, a quest’ora sarei a estrarre succo di mele nella campagna americana o a Ibiza a perdermi nelle cattive abitudini che non mi sono permesso in gioventù». Ed è anche uno stupore infantile «che mi permette di parlare di cose normalmente taciute, di dare valore a ciò che non è considerato, a spingere la discussione su diversi livelli di coscienza e a provocare risposte d’istinto, come faceva la psichedelia. Il calore della mia origine libanese si è mescolato con la coolness francese e inglese, i look stravaganti di mia madre mi hanno influenzato tanto quanto quelli controllatissimi, alla Mister Ripley, di mio padre. Un mix che ha fatto di me qualcosa di difficile da inscatolare fin da bambino, e che ha suscitato il rifiuto delle persone che ho avuto accanto: prima dei compagni di classe, poi delle case discografiche. Sono un enfant terrible, che in italiano però suona male».

I colori come lotta ai dolori privati: la perdita della madre, che un giorno gli fece un augurio indimenticato, Que ta tête fleurisse toujours, che la tua testa fiorisca sempre: Mika lo ha scelto come titolo del nuovo album, il primo in francese. Il dolore come antidoto ai tanti strazi del presente. Alle guerre. E Mika la guerra l’ha vista in faccia, quando era piccolo, a Beirut, da cui fu costretto a fuggire: «Nel concerto c’è la testimonianza di una donna libanese a cui, il giorno del suo matrimonio, hanno bombardato la casa. Lei ha perso un occhio, e anche il futuro marito, che non l’ha più voluta sposare perché sfregiata. Una storia così assurda da sembrare una commedia, eppure lei la racconta senza lacrime, senza pathos. In scaletta, subito dopo le sue parole io canto Any other world, una canzone su un mondo dove tutto quello che sta accadendo non si verificherebbe. E sulla futilità: a cosa sono serviti i 25 anni di guerra in Libano, finestra del Medioriente sull’Europa, paese dove coabitavano cultura e religioni diverse e oggi frantumato in mille pezzi, popolato da tanti poveri e pochi ricchi che hanno rubato? Chi ha vinto? E cosa ha vinto?».

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