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6° Bandiera BLU 2018 – 2023

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Tema 2024: Luci alla Rocca

Segni

di Roberto De Angelis
da Capranica

Buona lettura

Segni

di Roberto De Angelis

C’è un uomo seduto di fronte, odore di fumo inacidito nell’aria, da dove viene? Forse dalla pelle, dalle pieghe untuose della faccia. La voce monotona di vecchia volpe infastidisce e l’altro vorrebbe alzarsi dalla sedia, andare via. Egli non dispera, di tanto in tanto distoglie lo sguardo, oltre i vetri i tetti delle case brillano nel sole: ancora pochi minuti e sarà fuori, potrà respirare a fondo e camminare di buon passo per le vie, salutare persone, pensare ad altro.

“Non possiamo andare avanti così, si deve fare qualcosa!”

Alza la voce, non ha ancora capito, eppure di anni ne sono passati.

“Io e i miei uomini stiamo bruciando le nostre notti. Appostamenti, controlli, che altro dovremmo fare? Se hai qualche idea, ti ascolto.” 

L’altro si ritrae, abbozza un sorriso ed è grottesco, sembra una maschera di cartapesta, di quelle grandi e colorate, che dovrebbero sembrare divertenti.

“Hai ragione, questa storia mi rende nervoso, sai come sono fatti i nostri concittadini, si preoccupano per niente. Buon lavoro e tienimi aggiornato.”

Una caricatura, ecco cosa rimane dei giorni, tanto lontani che forse si tratta di altre storie, altre persone. Eppure era lui, il futuro sindaco, vecchio compagno di classe e fu una bella idea travestirsi da boss per carnevale, il gilet scuro e i baffetti dipinti, ridicoli pantaloni a righine, le bretelle e i modi da mafioso, una premonizione. Nient’altro che un gioco da bambini, Maurizio però si prendeva troppo sul serio, piccolo teppista, capobanda minaccioso e convincente, o con lui o contro, schiacciati dalla sua prepotenza molle e testarda. Poi c’erano quelli come Adriano, non più di tre o quattro, abbastanza forti da non doversi allineare e restare impuniti, spettatori malgrado tutto di scene che non avrebbero voluto vedere. Una caricatura! Ed io, considera Adriano, cosa sono? L’uniforme si è appiccicata alla pelle eppure si sente a disagio quando la indossa e cammina tra la gente, per le strade, prova imbarazzo poiché il dubbio non lo abbandona mai. Egli si chiede: chi è ora che parla e ascolta, si lascia andare, volge lo sguardo, scuote il capo, qualche volta sorride. Chi, dunque, uomo o sbirro? Eppure era lui, ancora bambino, attento a rispettare le regole fino alla pignoleria e che anche gli altri, assurda pretesa, facessero lo stesso. Si giocava a guardie e ladri, egli era l’unico a non avere dubbi su quale fosse il suo ruolo: una parodia. 

Metodo scientifico, indagini, riscontri. Razionalità: cosa farà ora l’uomo della legge? Ora che il modo di agire di sempre mostra i suoi limiti e si arrende, impotente, davanti al mistero? Un bicchiere accompagna Adriano fino al momento di andare ma c’è ancora tempo, istanti buoni per pensare, mettere ordine tra gli strani percorsi che si perdono nel labirinto delle esperienze di ieri. Lasciarsi tentare, come quando, da bambino, era spaventato eppure attratto da tutto ciò che, nascosto nell’ombra, poteva soltanto immaginare, nella stanza da letto, fino a che la paura non paralizzava i pensieri e le braccia, finché il respiro si faceva affannoso ed egli fuggiva via, con una scusa andava a rifugiarsi nelle stanze illuminate dove le voci dei grandi disperdevano la paura come nebbia al sole. Che farà Adriano tra pochi minuti, quando, finito il bicchiere, dovrà affrontare la notte? Basterà l’uniforme per tenere testa ad antichi fantasmi? Anche se trovasse il coraggio per affrontarli, non sarebbe professionale. Nessuno meglio di un uomo della legge conosce le minacce vere: criminali incalliti, balordi, ladri e truffatori senza scrupoli, maniaci. Davanti a figuri del genere, mostri di ogni specie fanno quasi tenerezza. Egli sa che è così, dunque perché l’ansia lo assale? Ora che è giunto il momento e sta per lasciare il locale affollato, chiassoso, per andare, ancora una volta, ad affrontare vecchi fantasmi che non lo hanno mai lasciato, nonostante egli sia ormai un logoro arnese della legge, nonostante la seconda pelle che si trascina dietro e procura tanti affanni e poche soddisfazioni.

Fuori dal locale la notte è un drappo di velluto disteso sulla città, dalla Rocca alla riva, brilla di luci colorate, si lascia attraversare dal respiro del lago, una brezza tiepida che annuncia l’estate. C’è dell’altro nascosto nei cassetti della scrivania, nell’ufficio del sindaco. Il vecchio compagno di scuola teme per la riuscita della bella stagione in arrivo, le lunghe mani protese sulla città, gli affari, potrebbero non trovare soddisfazione. Così lui chiede conto alla legge, guardandosi bene dal tirare in ballo motivi inconfessati. Attività criminali, riciclaggio. Maurizio ha frequentato le aule dei tribunali da imputato, ne è sempre uscito da uomo libero, dunque Adriano deve fare attenzione, muoversi nei i limiti del suo mandato, non può permettersi di perdere credibilità, motivazioni, la stima dei suoi uomini.

È ora di andare, via dal centro abitato, dove le luci non arrivano e il bosco sfiora la riva del lago. Egli sarà solo con le antiche paure, aspetterà che l’altro, chiunque sia, mostri il volto, metta un piede in fallo, dia all’uomo della legge la possibilità di fare il suo lavoro. Segni! Ridicolo, pensa Adriano, non siamo in America e se non sono riusciti loro a risolvere il mistero, con la fede e i muscoli d’acciaio, sceriffi sicuri di sé, le stelle appuntate sul petto e i cinturoni bassi e le colt, che speranza può avere un semplice uomo della legge, lui e i suoi tre compagni, le uniformi lise, sul volto i segni di attese tradite e calpestate.

Via dall’automobile, dentro la notte, tra i suoni del bosco misteriosi, al cospetto dei soliti spiriti, che gia si preparano a banchettare sulla pelle dell’uomo. Chissà, forse si tratta di una banda di adolescenti annoiati e privi di idee. Stufi di scooter e telefonini, giochi elettronici e amori frustrati, hanno deciso di entrare nella storia della loro cittadina, di movimentarne la sonnolenta cronaca. Da giorni, tracce sulla riva, simili a segni di mani grandi quanto pale meccaniche, come se un essere gigante cercasse invano di resistere a una misteriosa forza che lo attira verso le profondità del lago. Che idea balzana e che rabbia, giovani cresciuti nella bambagia stanno mettendo nel sacco l’intera comunità. A questo vuole credere Adriano, concentrarsi sull’ambiente reale, su risposte concrete, ora che, solo nel buio, lontano dalla città, respira ansia circondato da ombre nascoste nel buio e strani suoni, stretto tra la boscaglia fitta e il lago infido che nasconde i suoi misteri. Il sibilare del vento tra le foglie, i lamenti sommessi di vecchi tronchi acciaccati. Passi sulle foglie secche, troppo vicini! Chi va là? Ma si, sono i miei. La luna a tratti sbuca dalle nuvole in movimento e osserva la scena indifferente. Chissà quante ne ha viste, pensa Adriano con un mezzo sorriso, e conosce il nostro uomo, sa come si muove, intuisce le sue motivazioni, lui che forse ora sta agendo indisturbato, altrove, mentre aspetto invano l’alba che mi farà imprecare.

Le ore passano lente, tra la rabbia verso imprevedibili mocciosi e la paura di spiriti beffardi. Chiunque abbia deciso di rovinare la festa alla gente del posto, probabilmente potrà farlo finché vorrà. Ci sarebbero altre soluzioni: schierare l’Esercito o la Forestale, montare telecamere ogni cento metri. Difficile che succeda, il Comune non ha soldi da spendere. Basta così, egli si dice, farà ancora un giro in macchina e via, con la speranza che il poco di notte rimasta basti per scacciare via il profondo senso di impotenza e delusione entrato nelle ossa insieme all’umidità del lago.

Maurizio dice di avere fiducia ma si vede che mente, ha la faccia bolsa di chi si occupa della cosa pubblica ed è suo amico, pensa Adriano. Ripetono fesserie da secoli, sempre le stesse e non c’è modo di spazzarli via per mettere al loro posto qualcuno che valga una nuova illusione o almeno un voto. Le sue parole sono tirate a lucido, come sempre, si sta preoccupando per i concittadini, la loro estate messa in discussione da qualcosa o qualcuno che si sta prendendo gioco dell’intero paese. Non lo dice ma sono i suoi affari che lo preoccupano, un ingranaggio perfetto ma delicato. Alza la voce, ancora una volta, possibile che non abbia ancora capito? Adriano ha un asso nella manica, solo un trucchetto, innocente come il gioco di un bambino. Suggerisce una fitta rete di videocamere da piazzare sulla riva del lago. 

“Se la bella stagione rende così bene, qualche sacrificio si dovrà fare.”

L’altro fa marcia indietro, arriva a scusarsi: la situazione lo rende oltremodo nervoso. Gli chiede di tenere duro, non mollare, è la solita vecchia storia.    

Una donna ha rivolto la parola all’uomo della legge e dopo un giorno intero la sua voce resiste nei pensieri. In più egli ha la spiacevole sensazione di essere stato poco cortese e non vorrebbe mai, soprattutto con chi ha vissuto tanti anni. È stata forse l’ironia di lei, solo un istante che però non è sfuggito all’umore provato dell’uomo. In una cosa la donna ha ragione, qualcuno nella casa di Adriano apprezzerebbe un mazzo di rose, gesto che, quasi dimenticato dall’uomo, ha mantenuto intatta la sua forza. Egli decide che tornerà dalla vecchia fioraia, lei capirà che non voleva essere brusco e la moglie avrà i suoi fiori. Intanto però sta ancora cercando di capire, sempre che le parole di lei abbiano un senso e non siano soltanto gli strani percorsi di una mente che ha conosciuto tempi migliori. Oltretutto la donna, egli lo sa, ha sofferto recentemente di un lutto tra i peggiori, la figlia se ne è andata, la malattia è stata impietosa e, immagina l’uomo, non c’è al mondo dispiacere peggiore per una madre. Era tutto ciò che le restava, oltre al negozio di fiori. La ricorda bene, strana donna, taciturna, schiva, l’aria dimessa. Qualche guaio con la droga, niente di serio, è sempre la stessa storia con tipi del genere. Vittime, sbandati che si consumano piano e non si curano di come andrà a finire. Aveva un’aria così fragile, se solo avesse potuto aiutarla. Chi credo di essere, pensa Adriano, l’uniforme non mi da il diritto, non hanno potuto niente le persone che le stavano vicine. La madre però non l’ha capita, prima ha parlato della figlia, di quanto sia adirata la sua anima, poi ha detto qualcosa a proposito dei segni. Cambiando discorso, ha pensato Adriano davanti a lei, ma ora non ne è più certo. Vorrebbe capire cosa passa per la testa dell’anziana signora, anche se fossero soltanto vaneggiamenti stanchi. Si dice che il paese sia cresciuto intorno al vecchio negozio di fiori, un pezzo di passato uscito indenne dalle insolenze del tempo aggrappandosi a più generazioni. Ancora le strane idee, una speranza sottile, inafferrabile, venata dalla stessa ansia di un tempo. Che da qualche parte ci sia un motivo di più, possibili situazioni che vadano oltre la dura barriera del reale. Chissà, forse Adriano sa che non ce la potrebbe mai fare, lui e nessun altro, a battere il mostro con la sola forza delle braccia. A cosa si riferisce non lo sa, al gigante d’acqua che di notte si affaccia sulla riva del lago lasciando i segni del suo passaggio. All’onnipresente, impalpabile strato di malaffare che ammorba l’agire di uomini come Maurizio… di nuovo, egli deve stare attento, non può giocare con i suoi doveri. Ad ogni modo andrà a prendere un mazzo di rose e scambierà due parole con la donna. Qualsiasi cosa pur di non restare inerte, ormai tutto il paese ha sentito parlare dei segni, qualcuno ci scherza su, altri, certo non brillano per fantasia, già parlano del mostro del lago. Soprattutto i cittadini vogliono risposte, certezze, non hanno intenzione di convivere con una situazione del genere. Adriano se ne rende conto, se il problema non sarà risolto li avrà tutti contro. A loro non interessa sapere come, vogliono la soluzione dei problemi, rapida e indolore.

“Sei tornato, lo sapevo.”

C’è da crederle, chissà quante ne dovrà sentire Adriano prima che venga sera.

“L’altro giorno, mi dispiace…”

“Lascia stare, lo so come ti senti. Questa storia, qualcuno può ridere, non tu che devi combatterci. Tanto meno io.” 

Deve darle del tu? D’accordo, l’uniforme, la differenza di età ma un tipo del genere non si formalizza, sarebbe ridicolo.

“Sai perché sono qui…”

La donna lo interrompe.

“Vediamo… vuoi scusarti, conoscere il mio parere sui segni e forse potresti prendere delle rose per la tua signora, giusto?”

Assecondarla, farla parlare, egli non chiede di meglio.

“Sei infallibile, dunque saprai darmi delle risposte.”

“Risposte” un lungo sospiro, fragile come una bolla di dolore, “conoscevi mia figlia, sicuro.”

“La ricordo bene e mi dispiace per come è andata. Una donna particolare, certo non cattiva. Quelle come lei non lo sono mai, ho fatto un po’ di esperienza sull’argomento.”

L’altra esita, la pena è ancora lì, nell’aria. Ha ricevuto l’uomo tra i fiori del suo negozio, il silenzio è più cupo che mai tra essenze e colori. Lui stesso non ha più niente da dire e lascia alla donna tutto il tempo e lo divide con lei e vorrebbe fare lo stesso con il dolore ma non conosce la formula, ammesso che ce ne sia una.

“Una brava ragazza, te lo assicuro. Aveva le sue idee, nessuno lo sa meglio di me. Non avrebbe fatto del male a nessuno, mai. A lei ne hanno fatto.”

Adriano non vorrebbe, gli sembra di approfittare della donna, del suo bisogno di sfogarsi. C’è dell’altro, sta forse cercando indizi contro un fantasma? Lei può lasciarsi andare, è una che ha sofferto ma lui, sarebbe poco professionale.

“L’altro giorno mi dicevi dei segni, ti sei fatta un’idea?”

“Dovrei dirti quello che so per farmi prendere in giro, magari essere rinchiusa in manicomio?”

La donna ha ragione, Adriano è disposto a crederle, qualunque sia la sua verità?

“Le indagini sono ferme, non possiamo fare niente. Se hai qualcosa da dirmi, qualsiasi cosa, te ne sarei grato.”

“È lei, la mia bambina…”

 Adriano ha aspettato la notte tra le mura amiche della sua dimora cercando di non pensare, sperava di liberarsi dal peso delle parole. Non c’è niente da fare, esse lo perseguitano e non ne vogliono sapere, vorticano nella testa, confondono i pensieri. Ora il tutore dell’ordine cosa dovrebbe fare? Ha sentito una storia con una sua logica, sebbene fuori dalla realtà. L’uomo, chiunque sia, ha fatto un boccone della povera donna, usandola e poi gettandola via. la malattia ha trovato una donna fragile, provata dal dolore. La madre ne è convinta, se lui l’avesse aiutata, oggi sarebbe ancora viva. Una storia verosimile, fin qui, ma c’è dell’altro. Lei afferma che i segni sulla riva sono la conseguenza dell’ira, l’anima della sfortunata non trova pace e reagisce a modo suo. Adriano non può credere a niente di simile, c’è la vecchia razionalità che lo ha sempre aiutato, sarebbe come tradirla. C’è l’uniforme che gli impedisce di uscire dal sentiero della logica. La donna lo ha capito, non c’è bisogno che le creda ma forse ora potrà dare una direzione alle indagini. Magari fosse così, egli è più confuso di prima, non può mettersi sulle tracce di uno spirito. 

È stato ancora una volta dal sindaco e non è riuscito a nascondere il turbamento che si porta dentro. Contrariato, ha pensato che sarebbe un pessimo truffatore. L’altro insisteva per farlo parlare, inutilmente, Adriano non ha niente da dire al vecchio compagno di scuola. Qualcosa dentro bussa piano, una specie di allarme, gli dice di non abbandonare la pista del mistero, lasciarsi tentare per una volta dall’impossibile, vedere con altri occhi, da punti di vista inesplorati e al diavolo le vecchie paure, una volta per tutte: ciò che non si conosce, non è detto che sia un male.

Maurizio non l’ha bevuta, Adriano gli nasconde qualcosa, non c’è da fidarsi degli sbirri. Uno dei suoi lo terrà d’occhio, prima o poi farà un passo falso, si scoprirà e allora il sindaco chiuderà la partita e sarà ancora in sella, come sempre.

Non c’è niente da fare, Adriano ha esaurito idee e possibilità ma non vuole ammettere la sconfitta. Si agita, continua ad andare avanti e indietro lungo la riva, di notte, quando sono andati tutti via. È nervoso, alza la voce con i suoi uomini per pentirsi un istante dopo. Essi lo conoscono e non se la prendono. Decide di tornare di nuovo al negozio di fiori, tanto per non restare inerte, potrà sempre prendere delle rose per la sua donna.

È così dunque, una congiura! Lui e la vecchia strega, la pagheranno! Da quando il suo lacché gli ha riferito di aver visto Adriano nel negozio di fiori, Maurizio non trova pace, è infuriato, sospetta della propria ombra. Non è tipo da arrendersi, darà fuoco alla bicocca della donna, lei capirà quanto è pericoloso frequentare gli sbirri, poi regolerà i conti con Adriano, una volta per tutte. Quel tipo non gli è mai piaciuto, erano ragazzini e gia si metteva di traverso. L’uniforme impeccabile, i distintivi, una nullità! È il momento di fargli capire chi comanda.

Maurizio va da lei di sera, poco prima della chiusura. La sorprende, non c’era mai stato prima. La donna lo saluta con rispetto, fa per servirlo.

“Non ho tempo da perdere. Avanti, raccontami dei segni.”

No! Anche lui vuole sapere. Certo, il sindaco ha le sue grane ma… perché chiede a me? Chissà, forse crede che io conosca i segreti del lago. Il mio negozio, la lunga discendenza. Forse è stanco, non deve essere facile, per loro che non sanno. Lui è diverso dall’altro, non capirebbe, meglio il silenzio.

“Perché chiedi a me? Che vuoi che ne sappia…”

“Fa attenzione, sto per perdere la pazienza.”

I modi bruschi, lo sguardo cattivo, egli non è qui per caso. Ma allora… no! Ho forse davanti l’uomo che stavo cercando? La donna è sconvolta, non vorrebbe credere, d’altra parte egli sta gettando la maschera. Eppure arrogante, è venuto da lei, come una furia, a chiedere conto. Lui che è rimasto a guardare, impassibile, la fine della sua bambina, lui che in qualche modo l’ha perfino spinta. Maledetto! Dovrà pagare, c’è un solo modo. Il viso della donna cambia ma lui non se ne accorge, troppo preso dalla sua ira. C’è concentrazione, la durezza della vendetta che passa accanto e la si deve afferrare con un colpo secco.

“Tu vuoi sapere. Va bene, sarà facile. Vai sulla riva, avrai le tue risposte ma devi andare ora!”

“Non sfidarmi, ti pentirai!”

Il furore spinge i passi dell’uomo e non si accorge di essere solo lungo la riva, mentre il sole scivola via e la luce sfuma, si estingue. C’è silenzio ma lui niente, procede spedito, le orme sul terriccio umido. Intanto l’oscurità ha preso ogni cosa. È allora che si ferma, volge lo sguardo intorno, non c’è nessuno dei suoi uomini. Idioti, dove sono andati a nascondersi? Li immagina in preda al panico, perché? È forse quella cosa che lo stringe al petto, toglie il fiato. Sarà forse l’assenza di suoni che, ora si, appare minacciosa, confonde i pensieri. Proprio ora che, l’uomo non vorrebbe credere, i segni si stanno formando davanti ai suoi occhi sgranati, egli li riconosce nell’oscurità appena rischiarata dalle luci del centro abitato, troppo lontano per chiedere aiuto.

È così che le certezze di una vita intera si sgretolano, franano nella notte e non c’è nessuno ad assistere, se non l’essere invisibile che si avvicina piano, costringendolo addosso al muro del terrapieno, perso nelle spire del terrore, un burattino inanimato che non riesce neanche a gridare e perde conoscenza, rimane così, piegato in due sulla dura terra, lungo la riva del lago.

“Cosa è successo? Dimmi qualcosa di verosimile.”

“Non vuoi dividere con me il segreto?”

“Lo sai, devo fare rapporto.”

“Inventa una storia, per la cronaca.”

“È un uomo finito, difficile che si riprenderà. Neanche più la forza per difendersi nei processi che lo riguardano.”

“Ti dispiace?”

“Lo conosco abbastanza. Sta solo pagando i suoi debiti. I segni, torneranno?”

“È finita. Allora, prendi dei fiori per la tua signora?”

“Ma si, ora lei non aspetta altro. Credo che sarò un buon cliente.”

“Segni”
è un racconto scritto da Roberto De Angelis

per il Festival dei Racconti Brevi di Trevignano Romano Turismo

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