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Luca Barbarossa: «Le canzoni? Il teletrasporto emotivo»

Stanno suonando la nostra canzone!”. Le canzoni ci accompagnano. Ci ricordano momenti belli e brutti, baci, liti, addii, incontri. Fanno ridere e piangere. Evocano luoghi, periodi, sensazioni. Sono di protesta e di denuncia, ma quelle che cantiamo sotto la doccia, o nelle serate con gli amici, nove volte su dieci parlano d’amore. Escono dalla radio, entrano in casa con la tele, concorsi, gare, talent. Sono ovunque: negli stadi, nei teatri, nelle piazze.

Siamo passati dal grammofono al giradischi, poi al mangiadischi, alle musicassette più o meno piratate di Mixed by Erry, il film di Sydney Sibilia, e ai cd, per arrivare allo streaming. Le canzoni sono cinema: La febbre del sabato sera, Dirty Dancing, La La Land, ma anche My Heart Will Go On, ascoltata miliardi di volte tra le lacrime per Leonardo DiCaprio e Kate Winslet in Titanic. Le canzoni sono balli sfrenati da discoteca o da taranta, sono preghiera e ninna nanna, musical e cori da stadio, sono quasi tutto. E c’è posto per tutti, da Checco Zalone a Shakira, da Al Bano a Bob Dylan.

Alzi la mano chi non ha una playlist. «Alzi la mano chi non ha almeno una canzone della vita» chiede Luca Barbarossa, cantautore di successo (nove volte a Sanremo, una vittoria nel 1992 con Portami a ballare), conduttore di Radio 2 Social Club e scrittore elegante. Cento storie per cento canzoni (edito da La nave di Teseo) è – spiega – «la valigia musicale che porterei con me se dovessi partire all’improvviso. Per ricordare chi sono, chi siamo, cosa abbiamo ascoltato e cantato e perché continueremo a farlo».

Luca Barbarossa, 63 anni, già vincitore del Festival di Sanremo, è anche conduttore radiofonico. (Foto: Ilaria Magliocchetti Lombi)

Ecco, perché? Perché la musica è così importante?
Perché è un mezzo di trasporto emotivo, viaggia nello spazio e nel tempo ci riporta esattamente dove stavamo, la bici, la spiaggia, l’amore e la storia che c’era intorno, cose che altrimenti dimenticheremmo, sommerse dal nostro presente affollato. Alcune canzoni sono davvero universalmente condivise, patrimonio dell’umanità.

Un esempio?
Tanti auguri. Quante volte l’abbiamo cantata? Pochi sanno che nel 1893, le sorelle Hill, due maestrine del Kentucky, inventarono una canzoncina per accogliere gli alunni in classe: Good Morning to All. Un anonimo cambiò le parole in «Happy Birthday to You». Non c’era TikTok, niente internet, eppure da allora non c’è più stato compleanno in cui non sia stata cantata e suonata. Celeberrima la sensuale versione di Marilyn Monroe per J. F. Kennedy: Happy Birthday Mr. President. E tutto senza un centesimo di diritto d’autore, fino a quando non fu acquisita dalla potentissima Warner/Chappell, e da allora si paga, anche molto, per usarla. Ma continua a essere nostra, ci fa rivivere la festa e il triste destino di Marilyn.

Marilyn è anche Candle in the Wind di Elton John.
L’aveva scritta per lei, poi ha cambiato le parole per Lady Diana. Avevano la stessa età, erano bellissime, amate, infelici. Queste due solitudini separate da venticinque anni trovano un legame in quei versi.

C’è una canzone d’amore del passato che esprime il nostro tempo?
Ah, l’amore, cantato, sussurrato, urlato, rappato in tutti i luoghi, in tutti i laghi, in ogni epoca e latitudine. Quante volte è stato banalizzato, semplificato, mortificato, esaltato. Ma Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco scardina i canoni della canzone d’amore, spazza via secoli di romanticismo, sposta l’attenzione non sui tradimenti o sugli abbandoni, ma sulle sconfitte, sui fallimenti esistenziali. Siamo nel 1962, in pieno boom economico, la società del benessere. Lui ne mette a nudo le inquietudini e le contraddizioni come fa in letteratura Luciano Bianciardi con La vita agra.

Le canzoni che ci segnano

Certe canzoni spiegano più di mille parole. Per questo passano da una generazione all’altra?
Sì, e molte sono interpretate da Mina. La canzone di Marinella di Fabrizio De André (disse: «Se non l’avesse cantata lei rendendola un successo mi sarei dovuto cercare un lavoro vero»), E se domani, Il cielo in una stanza, con quel soffitto viola.E poi Almeno tu nell’universo di Bruno Lauzi, scritta per Mia Martini, che non venne capita, ma ci dice tutto di una tormentata storia d’amore, della speranza di essere speciali per qualcuno, e non a caso resta nella memoria collettiva per lo struggente film di Gabriele Muccino Ricordati di me.

Poi ci sono i canti di protesta, di battaglia, come La ballata di Sacco e Vanzetti e Bella ciao.
Sacco e Vanzetti erano i due anarchici italiani ingiustamente accusati di omicidio e condannati alla sedia elettrica nel 1927 a Charlestown. Il film di Giuliano Montaldo, ma soprattutto La ballata di Sacco e Vanzetti, scritta da Ennio Morricone e cantata da Joan Baez, voce dei diritti negati, ha consegnato le loro vite alle generazioni future più dei libri di storia. E Bella ciao? Il primo a inciderla, nel 1962, è stato Yves Montand. È finita nella serie La casa di carta, l’hanno gridata i ragazzini di Fridays for Future. Un canto popolare di lavoro, che accomuna, unisce, avvicina, creando uno spirito di appartenenza.

Cento storie per cento canzoni (La nave di Teseo): Luca Barbarossa lo presenta al Salone del Libro di Torino domenica 12 maggio, Sala Magenta (ore 15.15).

Anche Battiato ci fa fare un viaggio, ci riporta agli anni ’80, alla ricerca di un centro di gravità permanente.
Franco Battiato era straordinario, dolcissimo. Filosofia orientale, culture millenarie, citazioni colte unite a uno sguardo ironico e spietato sulla contemporaneità avevano prodotto qualcosa di unico. “Gesuiti euclidei, vecchie bretoni, bonzi e contrabbandieri macedoni” si ritrovarono nella hit parade. Era un’opposizione gentile all’edonismo reaganiano.

Forse cominciamo a capire perché non possiamo fare a meno delle canzoni. Non è perché traducono in parole e musica quello che non riusciamo a esprimere? Pensiamo a Emozioni di Lucio Battisti.
Già. «Guidare come un pazzo a fari spenti nella notte. Parlar del più e del meno con un pescatore per ore ed ore. E ricoprir di terra una piantina verde sperando possa/ Nascere un giorno una rosa rossa…». Mi sono fatto raccontare da Mogol quel «Capire tu non puoi/ tu chiamale se vuoi /Emozioni». Aveva scritto i versi, ci aveva rimuginato su, e voleva farli ascoltare alla moglie. Che però era in cucina a preparare la cena per i figli. Altre priorità. La canzone dice che dobbiamo trovare il tempo e la voglia di guardarci dentro. La canzone sembra stia parlando di te.

Combattiamo per i diritti, l’autodeterminazione, la parità. Sarebbe utile sapere che tutto è già stato cantato? Che potremmo semplicemente fare un ripasso?
Certo. Insieme a te non ci sto più, del 1968, un anno simbolico, è l’inno delle donne che si liberano di un rapporto malato. Era di Paolo Conte, Caterina Caselli volle cantarla a tutti costi, ma la tonalità non andava bene, fu costretto a riscriverla, di notte. La troviamo in molti film. «Cercavo in te /La tenerezza che non ho /La comprensione che non so /Trovare in questo mondo stupido/ Quella persona non sei più / Quella persona non sei tu/ Finisce qua / Chi se ne va che male fa?».È un evergreen, purtroppo: continuiamo a fare i conti con la violenza degli uomini contro le donne che se ne vanno.

Nel libro non ci sono le sue canzoni. Ne scelga una, che potrebbe essere stata scritta quest’anno.
L’amore rubato. È il racconto di uno stupro, dei sogni spezzati. L’avevo portata a Sanremo. Ci fu una polemica allora, il tema era abbastanza inedito e difficile, ma Dario Fo e Franca Rame mi mandarono un telegramma per incoraggiarmi. Era il 1988. E, davvero, vorrei che questa mia canzone non fosse più d’attualità.

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