POOR THINGS (Povere Creature): UN FILM STRAORDINARIO E FORSE IRRIPETIBILE!  , recensione di Francesco Sirleto

POOR THINGS (Povere Creature): UN FILM STRAORDINARIO E FORSE IRRIPETIBILE!

“Povere creature” (Poor Things, il titolo l’originale, pessimamente tradotto in italiano) è un film del 2023 diretto da Yorgos Lanthimos, con protagonisti Emma Stone (Oscar come migliore attrice, giustamente!), Mark Ruffalo, Willem Dafoe, Ramy Youssef e altri. La sua lavorazione si può affermare sia cominciata addirittura nel 2009, quando il regista Lanthimos incontrò il romanziere Alasdair Gray, autore dell’omonimo romanzo, del 1992, per acquistare i diritti relativi alla sua riduzione cinematografica. Concluso nel 2023 e presentato alla Mostra di Venezia, ha immediatamente fatto incetta di premi internazionali, a partire dal Leon d’Oro come miglior film, e ha poi temporaneamente concluso la raccolta con ben 4 Oscar nella recentissima edizione del premio (migliore attrice, migliore sceneggiatura, migliori costumi e miglior trucco e acconciatura).

La storia, ambientata nell’Inghilterra dell’età vittoriana (un’epoca di rapidissimi e clamorosi sviluppi della scienza in tutte le sue declinazioni, ma caratterizzata anche da una rigida e ipocrita morale sessuale), è quanto di più avvincente e suggestivo si possa immaginare. Essa inizia con un suicidio di una donna incinta, appartenente alla buona e elevata società, che si getta nel Tamigi. A questo punto entra in scena Godwin “God” (“Dio”, strano nomignolo per un tipico uomo di scienza di quell’epoca, positivista, darwiniano e, ovviamente, agnostico se non ateo in tema di religione) Baxter, scienziato “folle”, chirurgo eccentrico e con il corpo e il volto sfigurati dagli esperimenti ai quali è stato sottoposto, da bambino, dal padre, altro “folle” scienziato i cui esperimenti preludono a quelli del dottor Mengele nel campo di Auschwitz. “God” (i cui lontani modelli sono rappresentati dal Faust di Marlowe e di Goethe e dal Frankestein di Mary Shelley) recupera il corpo della donna morta dal Tamigi, la fa partorire con il taglio cesareo e (orribile a dirsi!) impianta il cervello del bambino nel corpo della madre, riportando quest’ultima in vita, ma con la prospettiva di un percorso di apprendimento e di adattamento al mondo che dovrà essere effettuato il più rapidamente possibile e superando tutte le più prevedibili difficoltà che incombono su qualsiasi essere umano. Se poi consideriamo che l’essere umano in questione è una donna in età vittoriana (in posizione subordinata e totalmente dipendente dai capricci e dalla volontà del maschio padrone, padre o marito che sia), è facile immaginare che gli ostacoli ai quali Bella (questo il suo nome nuovo) andrà incontro appariranno insormontabili.

In questa lunga opera di educazione-formazione-conoscenza (un vero e proprio Bildungsroman), Godwin “God” Baxter si avvarrà dell’ausilio dell’ottimo studente di medicina Max McCandles (una sorta di novello Wagner, classico aiutante del dottor Faust-Baxter-Frankestein), il quale, ingenuo e candido fedele della nuova divinità che si chiama “Scienza”, si innamorerà perdutamente di Bella, disponendosi a perdonarle ogni sorta di eccesso e in primo luogo le continue e ripetute trasgressioni alla dominante morale borghese. Sì, perché, come risulta facile ipotizzare, il percorso di formazione della protagonista passa necessariamente attraverso il sesso, straordinario e imprescindibile strumento di conoscenza del mondo esterno. Inoltre, non bisogna trascurare il dato essenziale: il nesso tra conoscenza e libero arbitrio. La conoscenza del mondo è un processo parallelo alla conquista, da parte di Bella, della libertà di decidere in completa autonomia. Tralascio di riferire sulle straordinarie successive avventure (a volte tragicomiche) che costellano e scandiscono la strada che porta Bella alla liberazione, una liberazione che assume anche valore simbolico: tutto ciò che succede a Bella non è altro che l’allegoria dell’uscita delle donne dallo stato di minorità attraverso la conquista dell’emancipazione.

Il film, che tutte le donne dovrebbero avere la gioia di vedere, si presenta, sul piano del contenuto, come una sorta di moderna “Divina Commedia” (o scientifica commedia) al femminile: solo passando attraverso l’inferno (del suicidio, della prostituzione, della violenza maschile) si giunge al paradiso della libertà. Molte sono le disquisizioni di carattere sociologico-filosofico-psicologico-religioso che si incontrano nel corso del film, condite con elegante e sapida ironia. Ma è soprattutto sul piano estetico che “Poor Things” lascia letteralmente esterrefatti; a cominciare dalla fotografia, alternativamente in bianco/nero e a colori, nella quale abbondano i riferimenti e le citazioni alle moderne avanguardie artistiche, da Escher (letteralmente saccheggiato) ai futuristi ai surrealisti ecc.; ma anche le fantastiche scenografiche ricostruzioni d’ambiente e le architetture che le popolano suscitano stupefazione e, spesso, entusiasmo, per la loro ricchezza e precisione (da William Morris a Gaudì ai contemporanei Lloyd-Wright e Frank Gehry). Solo sulle musiche, nonostante la nomination all’Oscar, mi sia consentita qualche perplessità, causata dagli improvvisi e perentori “scrosci-fracassi” orchestrali che sottolineano le drammatiche svolte della storia di Bella Baxter. Last but not least, da sottolineare con gratitudine la recitazione dei due attori principali (l’eccezionale Emma Stone e l’inossidabile Willem Dafoe) e dei bravissimi comprimari.

In conclusione, a parte alcune trascurabili inezie, è un film assolutamente da non perdere. E lo scrive uno che, fino a ieri sera (data della visione del film presso il cinema Caravaggio con gli amici del Cinecircolo romano), era molto scettico tanto sull’opportunità di vedere questo film quanto sulle sue tanto decantate e molto premiate virtù che, devo riconoscere, ci sono e in misura notevolissima.