12 maggio 1974, una giornata particolare - Treccani - Treccani

«Lo svolgimento del referendum non ha dato luogo a incidenti di rilievo. Gli italiani hanno dato una prova di comportamento civile, sereno, responsabile». Martedì 14 maggio 1974 il Corriere d’Informazione riepiloga così la due giorni referendaria che ha portato alle urne quasi 38 milioni di elettori. Domenica 12 maggio (si vota anche lunedì 13), una bella giornata di sole, gli italiani, infatti, sono chiamati a scegliere se abrogare il divorzio o no. Quello stesso giorno, la Lazio di Tommaso Maestrelli vince il suo primo scudetto con una giornata di anticipo, riportandolo a Roma dopo trentadue anni, e al Gran Premio del Belgio di F1, quinta prova del Mondiale, Emerson Fittipaldi su McLaren-Ford batte per trentacinque centesimi di secondo pilota, Niki Lauda su Ferrari.

La sera prima del referendum va in onda l’ultima puntata di Milleluci, il varietà diretto da Antonello Falqui e condotto da Mina e Raffaella Carrà. Quello del «Non gioco più», la sigla finale cantata da Mina, ultimo suo spettacolo in TV prima di ritirarsi dalle scene qualche anno dopo. «Non gioco più me ne vado. Non gioco più davvero» avverte, infatti, in una delle strofe la cantante.

In quell’Italia, che si avvia verso la stagione buia del terrorismo (il 18 aprile a Genova le Brigate Rosse rapiscono Mario Sossi ‒ è il loro primo sequestro ‒, il 28 maggio in piazza della Loggia, a Brescia, una bomba uccide 8 persone ferendone 102 e il 4 agosto l’attentato al treno Italicus causa 12 morti e 48 feriti), un referendum, promosso dalla Democrazia cristiana (DC) di Amintore Fanfani insieme al Movimento sociale, vuole cancellare la legge Fortuna-Baslini che ha introdotto l’istituto del divorzio, approvata nel dicembre 1970 dopo un iter parlamentare iniziato il 5 giugno 1968. Per il NO si schierano tutte le altre forze politiche (non senza spaccature all’interno, ad esempio, del Partito comunista italiano o della DC) con il sostegno esterno dei Radicali, in prima linea sul tema sin dall’approvazione della legge. Poche settimane prima, il 2 maggio, viene approvata la legge Piccoli sul finanziamento pubblico dei partiti.

Quello sul divorzio è il primo referendum abrogativo nella storia repubblicana. Le settimane che precedono il voto sono scandite da una campagna referendaria senza esclusioni di colpi, come dimostrano gli spot o le affissioni, che ricorre persino a personaggi del mondo dello spettacolo. È coinvolto anche il mondo dello sport: ad esempio, lo sciatore Gustav Thöni (protagonista di uno di questi manifesti in cui sulla sua immagine in primo piano campeggia la scritta «La famiglia deve vincere») e il calciatore Gianni Rivera si schierano per il SÌ, mentre Gigi Riva, altro giocatore di punta di quel periodo, è per il NO. 

Il risultato delle urne è chiaro: 19.138.300 (59,26%) elettori votano contro l’abrogazione della legge. «L’Italia è un paese moderno. Vince il no, il divorzio resta» (La Stampa), «Grande vittoria della libertà» (L’Unità), «Vittoria della ragione» (Paese sera), «Una valanga di no» (L’Avanti) titolano in prima pagina i quotidiani all’indomani del risultato.

Domenica 12 maggio il campionato, invece, è agli sgoccioli. Mancano 180 minuti alla conclusione. La Lazio è in testa alla classifica con 40 punti, segue la Juventus a 37. Così, mentre gli italiani si recano ai seggi, la Lazio di Tommaso Maestrelli, che già l’anno prima aveva tentato il colpo mettendo in difficoltà la Juventus di Čestmír Vycpálek, vince 1-0 sul Foggia, fino al 1971 allenato proprio dal tecnico laziale, e conquista lo scudetto. «Il Foggia ce l’ho nel cuore ‒ dice Maestrelli al Corriere della Sera alla vigilia dell’incontro contro i rossoneri ‒, chi mi conosce bene sa che sono sincero e che le mie non sono parole di circostanza». Un rigore trasformato da Giorgio Chinaglia, giocatore simbolo di quella Lazio e capocannoniere della stagione con 24 goal, decreta la vittoria con una giornata di anticipo.

«Lazio nel sogno» è il titolo a tutta pagina del Corriere dello Sport del 13 maggio. «Lo scudetto è sempre un’emozione ‒ scrive Mario Gismondi sul quotidiano romano ‒ ma quando lo si vince per la prima volta è persino difficile scriverne. Si vorrebbe essere all’altezza di ciò che rappresenta nei settantaquattro anni della Lazio, senza macchiarsi con la retorica delle grandi occasioni». «Finalmente una variante al calcio all’italiana» scrive Gianni de Felice sul Corriere della Sera. Per Giorgio Mottana, che firma l’editoriale sulla Gazzetta dello Sport, «l’evento è felice quanto strepitoso; diciamo pure: fantastico, nessun aggettivo essendo nella circostanza sciupato. (...) È uno scudetto ‘rivoluzionario’, come già i due della Fiorentina, come lo scudetto del Bologna e del Cagliari, i traguardi isolati epperciò clamorosi che ruppero nel dopoguerra l’egemonia del calcio di Milano e di Torino».

La Lazio di Maestrelli, dopo la promozione nel 1971-72, rompe, infatti, il biennio della Juventus dell’era Boniperti, che aveva fatto la doppietta nei due campionati precedenti. ​​Quella Lazio è una squadra «grande e maledetta», come ha ricordato una recente docuserie prodotta da Sky Sport, figlia di una stagione sociale e calcistica contraddittoria e segnata dopo lo scudetto da una scia di lutti come la morte di Maestrelli e quella di Re Cecconi. La Lazio del 1974 si sfalda ben presto.

«Tre bambini ‒ scrive Angelo Carotenuto nel suo Le canaglie che ricostruisce quella stagione dei biancocelesti tra storia e calcio, il romanzo «di una squadra che ha travolto ogni regola» ‒ piangono impauriti perché si sono persi tra la folla quando Ameri alla radio finalmente lo dice, dopo 74 anni, 4 mesi, 3 giorni e 90 minuti dal giorno in cui è nata la Lazio. “Fine della partita. Sono le 17 e 45 del 12 maggio. La Lazio, che ha battuto il Foggia di misura e su rigore, è campione d’Italia”». Mancano, invece, ancora alcune ore perché l’Italia scelga, come scrive La Stampa, di essere «un Paese moderno».

 

Immagine: L’allenatore della Lazio Tommaso Maestrelli osserva i festeggiamenti della squadra, Campione d’Italia nel 1974 (12 maggio 1974). Crediti: Fonte, Wikimedia Commons [Public Domain], attraverso picryl.com

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